CHIAMATE

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"Wishing I was someone else, feeling sorry for myself"

Ehi Margherita, sono Matteo, è tutto il pomeriggio che provo a chiamarti, spero soltanto che tu non abbia cambiato idea riguardo l'uscita, chiamami appena puoi.

Ehi sono di nuovo io, volevo soltanto che sapessi che l'esame è andato bene e che vorrei festeggiare con te questa sera.

Ciao di nuovo, so che non dovrei ma mi sto preoccupando seriamente, dimmi soltanto che va tutto bene.

Silenzio. Margherita vorrebbe afferrare il telefono e cancellare quei messaggi, vorrebbe eliminare ogni traccia che ha lasciato di sé a Matteo, preferirebbe scomparire, sprofondare nel vuoto che l'ha accolta una volta che quelle quattro mura sono tornate a schiacciarla. Margherita non riesce a respirare. Margherita piange. Margherita si sgretola, ora che nessuno può vederla, ora che nessuno può aiutarla. Margherita si nasconde anche da se stessa. Occhi. Occhi pesanti. "Nessuno può provare qualcosa per te". Ripete queste parole come un promemoria. Margherita non può permettersi una sbavatura. "Tu non puoi provare nulla". Aggiunge guardando dritto nello specchio. Margherita non può provare nulla, è questo ciò che crede, è questo che ciò che ha vissuto l'ha portata a pensare, è questo ciò che giornalmente si impone rigidamente e freddamente. Margherita non riesce ad accettare che quella mattina lei qualcosa lo abbia provato. Margherita non riesce ad accettare di non essere riuscita a controllare il suo sorriso o la sua risata, di non aver avvertito il bisogno di misurare i suoi gesti o le sue parole, di non aver dovuto nascondere se stessa, di aver potuto sputare fuori la verità non ricevendo alcun giudizio al riguardo. Margherita non riesce ad accettare di aver acconsentito a quello stupido invito, dimenticandone volutamente per quell'istante le conseguenze. Rumori. Passi. Serratura. Chiave. Porta. "Marghe, sei qui?". Si asciuga velocemente le lacrime. Fa un breve respiro. Si siede. "Ehi, va tutto bene?". Cenno. "Dove sei andata questa mattina?". "A Milano". "Perché?". "Non lo so". Silenzio. Respiri. Pensieri. "Penso sia stato il destino a portarmi lì, ho conosciuto una persona". "Da quando credi nel destino?". "Non credo nel destino". Risata. Sorriso. "Com'è che si chiama?". Esitazione. "Matteo". "E cos'è che ti ha tanto colpito di lui da farti dire qualche parola in più del solito?". "Lui è diverso". "Diverso...?". "Diverso da me, da te, da chiunque. Lui è quello che ho sempre immaginato che sarei diventata, lui è quello che io non sono potuta essere". "Margherita, abbiamo smesso con i rimorsi, tu stai bene, noi stiamo bene". "Lo so". "Lui  sa di...". "No". "Margherita, se lui è davvero come dici, lo capirà". "Non voglio che conosca ciò che si nasconde dentro di me". "Perché?". "Perché ho paura". "Hai paura che lui si accorga di quanto tu sia speciale?". "Io non sono speciale, ecco io credo di non essere nulla e ho paura che lui non abbia visto questo". "Perché dici così?". "Perché è la verità, Giulia. Margherita ha smesso di esistere ormai da due anni". "Ma puoi sempre ricominciare a farlo". "Come? Come cancello quello che sono diventata adesso?". "Potresti uscire con questo ragazzo, era da un po' che non parlavi con me, eppure lui, non conoscendoti e in una sola mattinata, è riuscito già a spingerti a farlo". "Io non posso, Giu, non posso rovinare il suo sorriso, non posso rischiare di abituarmi alla sua presenza". "Perché, altrimenti cosa succederebbe? Hai paura di scoprire che c'è qualcuno che possa scegliere di rimanere al tuo fianco nonostante tu creda di dover passare il resto della tua vita sola con i tuoi pensieri e i tuoi attacchi di panico? Perché è questo che pensi, no Marghe?". "Hai detto bene, sono i miei pensieri, i miei attacchi di panico, le mie paure, non è giusto, non è giusto che lui sia costretto ad affrontarli e starmi accanto vuol dire questo, vuol dire smettere di esistere, vuol dire diventare come me, nessuno desidera questo, nessuno, Giulia, nemmeno tu". "Eppure sono qui, Margherita, sono qui. Te lo sei mai chiesto perché un anno fa ho rinunciato al lavoro che mi avevano offerto a Milano? Io non potevo lasciarti andare, non potevo permettere che ti distruggessi proprio come stai facendo adesso perché io Margherita, la vera Margherita l'ho conosciuta e lei, la Marghe di sempre, non mi avrebbe mai abbandonata se al tuo posto ci fossi stata io. So di non essere stata la migliore amica che tu potessi desiderare, so che molto spesso non sono riuscita a capirti, che mi sia accorta troppo tardi che tu non stavi bene ma sono sempre stata qui, ero qui quando ti chiudevi pomeriggi interi nella tua stanza, ero qui a tenerti la mano quando avevi un attacco di panico, ero qui quando hai smesso di mangiare, ero qui quando credevi di essere rimasta da sola e niente potrà farmi andare via". "Giulia, tu sei la migliore amica che potessi desiderare". "Anche tu lo sei e non ti è permesso ribattere". Sorrisi. "Quello che ho visto è un sorriso?". Risate. "Devi assolutamente farmi conoscere questo Matteo". "Non se ne parla". Sorrisi mischiati a risate. "Ehi, ti voglio bene Margheritina". "Sai che odio questo nomignolo, Giulia". "Margheritina è un nomignolo bellissimo". "È terribile". "Ricevuto, non lo userò più". Giulia lascia la stanza con un sorriso stampato sulle labbra. Margherita vorrebbe essere lei. Telefono. Matteo.

Ehi, Matteo
Margherita, va tutto bene?
Si, sono soltanto appena tornata a casa
Bene, avevo chiamato per sapere se avessi cambiato idea riguardo alla proposta che ti avevo fatto
Le promesse sono promesse
Allora, ti andrebbe se questa sera andassimo da qualche parte insieme?
Si
Perfetto, ti passo a prendere alle otto se mi mandi il tuo indirizzo
Va bene
Ci vediamo dopo, allora
Ci vediamo dopo

Sorrisi||Matteo PessinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora