3. moto rettilineo uniforme

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Era passata una settimana dall'attentato e Peter era in laboratorio con il dottor Connors: stavano testando dei prototipi di braccia meccaniche

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Era passata una settimana dall'attentato e Peter era in laboratorio con il dottor Connors: stavano testando dei prototipi di braccia meccaniche. Non si poteva dire che il ragazzo avesse un lavoro stabile ma era sufficiente a guadagnarsi qualcosa per sopravvivere, in più era il perfetto connubio tra lavoro e passione per la fisica e la meccanica.

"allora, come ti sembra?" chiese il dottor Connors, provando il prototipo su se stesso. Gli mancava un braccio ma la causa della perdita rimase sconosciuta a Peter.

"ti sta benissimo, doc!" esclamò sorridendo "vediamo se riesci a brindare con una tazza di caffè" aggiunse prima di porgergli la tazza che conteneva il liquido bollente e nero come la pece, prenderne una anche per sé e brindare alla nuova invenzione. Dopo di che uscì dal laboratorio Oscorp e si diresse verso l'università: avrebbe assistito alla lezione di fisica insieme ad Harry e Maya.

Le stanze erano tutte bianche e i banchi l'uno attaccato all'altro. L'odore di carta si fece strada tra le narici di Peter. La lezione passò in fretta e il ragazzo rimase soddisfatto dai copiosi appunti che aveva preso.

La campanella suonò e finalmente gli studenti uscirono dalle aule. Peter era sovrappensiero: pensava a Fisk e ai numerosi covi che aveva sparsi nella Grande Mela, ai prossimi cattivi che avrebbe dovuto affrontare... Era talmente sovrappensiero che non notò nemmeno una figura minuta camminare verso di lui. In un attimo i corpi si scontrarono e la ragazza stette quasi per cadere a terra quando Peter, con immediata prontezza, la prese per i fianchi e la rimise in piedi in un batter d'occhio, prima di incrociare il proprio sguardo con il suo.

"Devon, scusami...non sapevo frequentassi la ESU, in che dipartimento sei?"

"fisica...grazie per avermi preso, queste scarpe non fanno al caso mio" gli disse Devon, guarandosi le stringate nere che portava ai piedi. Belle, sì ma altrettanto scomode. Si aggiustò le calze che le arrivavano fino a metà coscia e si sistemò la felpa, ovviamente nera. Peter la osservò con occhi attenti, soffermandosi sul choker che portava e sulla sua acconciatura particolare. Gli piaceva la sua frangetta, le metteva in risalto gli occhi grigi come il cielo uggioso.

"anch'io...se vuoi" si schiarì la voce "in uno di questi giorni possiamo studiare insieme, che ne dici?" propose, colto da un alone di ansia.

"ma certo! Sai, no ho ben capito l'ultimo argomento, non mi entra proprio in testa..."

"nessun problema, io l'ho capito, se vuoi posso aiutarti io"

"sei troppo gentile" gli disse accarezzandogli il braccio, il che causò delle scosse elettriche in entrambi. Si conoscevano da così poco eppure si comportavano nel modo opposto. Peter aveva sentito questo legame così forte solo con Mary-Jane, nessuna ragazza dopo di lei gli aveva fatto battere il cuore in questo modo. C'era qualcosa in Devon, un alone di mistero che lo attraeva e poi quando la aveva vista così indifesa e bisognosa di aiuto il cuore gli si strinse in una morsa. Voleva aiutarla, voleva proteggerla.

"se vuoi puoi venire a casa mia, tanto vivo da solo" disse d'impeto.

"a casa tua?" rise nervosamente Devon.

"no! Cioè, non intendevo...ah lascia stare" si maledisse per aver pronunciato quella frase. La gamba destra gli tremava dall'imbarazzo e le pupille si erano allargate alla vista del corpo così femminile e sensuale di Devon. Peter non ci capiva più niente.

"tranquillo, è tutto a posto" lo rassicurò per poi avviarsi verso l'uscita dell'università con il ragazzo. La gonna bordeaux plissettata svolazzava e Peter colse l'occassione per adocchiarle la pelle chiara delle sue gambe.

"dove abiti?" chiese Devon tutto d'un tratto, rivolgendosi al ragazzo dagli occhi nocciola.

"nel Queens, se prendiamo la metro sarà molto più facile, la fermata è a pochi minuti da casa mia"

la ragazza annuì per poi scendere verso la fermata della metro e salire su di essa. Il viaggio durò poco, giusto qualche fermata. I due arrivarono a casa di Peter, il quale fu colto da un improvviso imbarazzo: si era scordato che casa sua era un completo disastro.

"non fare caso al disordine, non ho" deglutì "avuto tempo di riordinare" disse prendendo una maglia sporca che era appesa sul passamano delle scale per poi buttarla dietro di sé.

"studierai un sacco" esordì Devon per sdrammatizzare, guardandosi attorno. Il parquet della casa era leggermente impolverato, la cucina e il salotto pieni di scatoloni.

"la mia camera è di sopra, se vuoi accomodarti"

accidenti, Peter, perchè lo hai detto? Così penserà che-

il rimprovero verso se stesso venne interrotto dal momento in cui vide Devon accingersi a salire le scale in legno aranciato e dirigersi in camera sua. Il letto era disfatto da chissà quanti giorni, il computer acceso e vestiti ovunque, fortuna che l'equipaggiamento di Spider-Man era tutto dentro uno scatolone chiuso con il lucchetto nell'armadio. Il suo alter-ego era l'unica cosa che gli importava, forse un po' troppo dato che a causa di ciò trascurava l'altra versione di se stesso.

Si sedettero alla scrivania e la ragazza estrasse i quaderni e le penne. Peter fece altrettanto.

"allora, cos'è che non hai capito in particolare?"

"il moto rettilineo uniforme" rispose Devon, lasciando trasparire delusione nella sua voce "scusami, è che sono un frana"

"no, no tutto si può imparare, basta essere pazienti" disse Peter mettendo una mano sulla spalla della ragazza dalla pelle che ricordava la luna. Si schiarì la voce e iniziò a parlare.

"la formula è questa" disse per poi scrivere a matita su un foglio "velocità uguale spazio percorso fratto tempo impiegato, che chiameremo DeltaS e DeltaT"

cominciarono a svolgere qualche esercizio e nel giro di un'ora Devon aveva capito tutto. Si sentiva soddisfatta e Peter lo potè intuire dal modo in cui quegli occhi profondi le brillavano. La ragazza dai capelli corvini lo abbracciò ed egli rimase immobile per una frazione di secondo per lo stupore, prima di ricambiare l'abbraccio. Nessuno lo aveva mai fatto sentire utile e importante eccetto quando era travestito. Si sentiva spaesato.

"si è fatto tardi...è meglio che vada, grazie ancora, Pete" gli sussurrò per poi uscire dalla porta di casa di Peter e avviarsi verso la stazione della metropolitana. Erano le sette di sera, il tramonto aveva lasciato spazio al blu cobalto della sera.

Peter non voleva che Devon fosse sola. Sapeva che era una ragazza assennata e responsabile ma non si fidava della gente che girava in città a quell'ora. Perciò, decise di indossare la sua amata tuta e di raggiungerla. La guardava camminare e riusciva a sentire il ticchettio che producevano le sue scarpe. I capelli ondeggiavano liberi.

"serve aiuto?" chiese Spider-Man.

"hey, come facevi a sapere che io fossi qui" rispose stupita Devon con gli occhi che le brillavano ancora.

"Spider-Man sa sempre dove trovare le brave persone...vuoi un passaggio? A quest'ora non gira brava gente, soprattutto in queste zone"

"mi farebbe comodo, grazie, mio eroe" sorrise con le gote rosse dal freddo e dall'imbarazzo, seguito da numerose farfalle nello stomaco. Spider-Man la cinse ancora per i fianchi e oscillò tra i palazzi di New York fino a portarla a Manhattan, Più precisamente a Midtown. Il vento giocava con i capelli di Devon che si stava godendo appieno il panorama fatto di palazzi imponenti.

In un attimo arrivarono a casa della ragazza, la quale salutò l'amichevole Spider-Man di quartiere con un casto bacio sulla guancia, al che egli arrossì al di sotto della maschera.

Devon si stava innamorando.

UNDER MY SKIN - spider-man Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora