Dottie le stava pettinando i capelli. Le sue mani delicate e gentili districavano i nodi a colpi di spazzola e li acconciavano in semplici trecce dietro la nuca. Anna stava facendo penzolare le gambe dallo sgabello della sua toeletta, ancora troppo alto per le sue gambe non ancora cresciute. A volte essere piccola e minuta la faceva sentire in imbarazzo rispetto alle altre bambine della sua età ma poi si ricordava come ritornasse utile nei momenti in cui si doveva nascondere o intrufolare in spazzi piccoli e ristretti. La luce del mattino entrava dalle finestre mentre i merli cantavano in un pacifico venerdì mattina. "Ecco fatto signorina" disse Dottie facendola alzare e sistemandole la gonna azzurra per eliminare le pieghe che si erano formate. Anna sorrise guardandosi allo specchio. L'azzurro pallido del vestito ben si abbinava ai suoi occhi del medesimo colore e alla carnagione chiara con una leggere spruzzata di lentiggini sulle guance scarne. Era sempre stata molto magra nonostante mangiasse tutto quello che le venisse posto nel piatto e facesse frequenti spuntini nel corso della giornata. Fece un piroetta e un piccolo inchino alzando i lembi del vestito. Dottie rise e le augurò una buona giornata mentre usciva per proseguire le sue faccende. Passetti veloci le si avvicinarono da dietro quasi correndo sul pavimento tap,tap,tap,tap. Anna si voltò e fece in tempo a vedere due gambe da bambino che svanivano nel muro avvolte da lembi di fumo. "Coccio?" chiamò la bambina. Nessuno rispose.
Il sogno le aveva dato ispirazione. Era da quando si era alzata di getto alle 5 del mattino che lavorava ininterrottamente alla trama del libro. Finalmente un barlume di ispirazione le era giunto alla mente e ora la sua mano era sporca d'inchiostro, i capelli scarmigliati in testa e le occhiaie che già erano evidenti sotto i suoi occhi. Eppure nonostante la stanchezza Emilia sorrideva. Si sentiva come se finalmente avesse potuto dare inizio a qualcosa di vero e concreto. Poco importava che essendo appunto all'inizio avesse ancora tanta strada da fare. L' importante era essere finalmente riuscita a camminare. Si passò una mano sopra la fronte e probabilmente si macchiò d'inchiostro ma se ne curò poco. Alzò lo sguardo spostandolo dallo scrittoio alla finestre e vide due merli sul ramo della quercia che cinguettavano allegri. Il cielo era di un limpido azzurro. Si voltò sullo schienale per vedere l'ora sull'orologio ornamentale appoggiato sulla cassettiera. Erano le 7:30 di mattina. Riportò lo sguardo sul suo operato. Le parole che si rincorrevano sulla carta, la sua grafia disordinata a causa della fretta e del desiderio di scrivere. Le lettere assomigliavano a impronte di insetti che si erano divertiti a danzare sul foglio. Le cancellature erano evidenti e ben marcate. Emilia sospirò, si stropicciò gli occhi e si alzò stiracchiandosi come un gatto al sole. Roteò le spalle e si diresse in bagno.
Mentre l'acqua scorreva e la ragazza cantava nella doccia, un'ombra apparve al centro della sua stanza. Alta e dal muso lungo con un cappello a cilindro e un ombrello a sostenerlo Lupo si diresse allo scrittoio e lì vi trovò un quaderno. Le pagine aperte e sospese per aria. Le voltò delicatamente scorrendo con gli occhi ciò che vi era scritto. Si soffermò con il dito su alcuni passaggi, socchiuse gli occhi su altri con fare critico e rimase impressionato dalle descrizioni che vi venivano riportate. La ragazza aveva talento, non c'era che dire. Ma sarebbe stata adatta?
Durante l'ora di pranzo Emilia ricevette dalla zia la proposta di fare una passeggiata sotto il sole primaverile nel parco pubblico poco distate dalla loro abitazione. La ragazza aveva acconsentito felice e per una volta desideriosa di parlare con qualcuno di abiti e merletti. Quella sera ci sarebbe stato il ballo dei signori Bossi. L'idea di poter finalmente partecipare ad un evento simile dopo circa due anni la emozionava e al contempo la spaventava. Ma la sua natura di ragazza vanitosa non poteva fare a meno che pensare a quanto le sarebbe stato bene l'abito elegante da sera che aveva messo in valigia e che avrebbe abbinato agli intricati orecchini di perle e argento dono della madre per il suo sedicesimo compleanno, pochi mesi prima della sua morte. Raramente la sua mente vagava nel ricordo della figura materna con cui aveva condiviso una relazione affettiva quasi superficiale, seppur caratterizzata da un affetto fragile ma presente. Il suo rapporto con i genitori era sempre stato solitario nel corso dell' infanzia. Dovendo questi ultimi viaggiare e spostarsi spesso per il lavoro da ricercatore del padre e di cantante lirica della madre. Tournè in giro per il mondo e incontri importanti tra le grandi menti dell'epoca erano sempre stati il centro, il turbine e perno, della vita dei suoi genitori negli anni in cui la loro unica figlia cresceva e imparava a scoprire il mondo. Emilia poco aveva ereditato delle capacità di canto della donna. Una gallina a confronto sarebbe stata più intonata a suo modesto parere, ma in compenso se la cavava discretamente nell'arte del disegno un passatempo che la madre aveva da sempre posseduto e al contempo custodito con gelosia. Fu solo nel corso dell'adolescenza e con l'aggravarsi della malattia materna che Emilia conobbe veramente coloro che l'avevano messa al mondo. Trascorrevano sempre più tempo nella grande villa in cui era cresciuta e meno in giro presso città europee e altrettanto spesso americane. Emilia raramente accusava la mancata presenza dei genitori nel corso della sua infanzia. Comprendeva il desiderio di vita che li aveva posseduti in quegli anni. Una coppia ricca e felice con l'unico desiderio di divertirsi e inseguire i propri talenti. Molti lo descriverebbero come un atteggiamento di puro egoismo. Eppure Emilia non poteva nascondere di trovare anche nel suo animo quell'egoismo. Quel desiderio smanioso di voler mostrare a tutti il suo valore, la sua intelligenza e bellezza. Quell'obiettivo di raggiungere il successo. Ma tutte queste vanterie e fantasticherie, i suoi piani e progetti radiosi e colmi di luci e applausi dovevano scendere dal loro podio e stringere la mano con la realtà dei fatti. Lei non aveva ancora raggiunto nulla, non aveva ancora superato il difetto di star ferma a fantasticare sulle cose piuttosto che realizzarle concretamente. Non era ancora nessuno e in parte provava invidia per quei genitori che erano riusciti ad arrivare tanto in alto nelle loro vite. Anzi, provava una profonda invidia nei confronti di tutti coloro che scalavano le vette e le opinioni della società. Coloro che erano in grado di evidenziarsi rispetto agli altri. I soldi di suo padre le avrebbero aperto molte porte, permesso di ottenere favori e raggiungere posti privilegiati. Ma la parte più cocciuta e indipendente di lei non lo avrebbe mai concesso. Il suo successo o la sua caduta sarebbero stati determinati unicamente dalle sue mosse e decisioni. Non voleva l'aiuto di nessuno se non di se stessa. Il suo libro era sì un romanzo, una storia con dei personaggi e degli sviluppi, ma anche uno studio delle decisioni e sentimenti umani. Il suo smanioso desiderio di successo era avvolto alla volontà di essere riconosciuta come un'indagatrice della natura umana. Voleva dimostrare di saper accordare armoniosamente, come si farebbe con un strumento musicale, lo studio scientifico con le opinioni filosofiche. Il trasporto dei sentimenti a contrasto della razionalità. Era a caccia della perfezione. Perché era convinta che solo ottenendo quella avrebbe raggiunto i suoi scopi.
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La Carrozza dei Sussurri
ParanormalUna giovane donna imprigionata nei meandri della sua mente. Immersa in un mare di pensieri. Una bambina sola che vede ombre e le conosce per nome. Biscotti e tè a merenda, indispensabili per accogliere chi la carrozza ospita. Anna ed Emilia sono cu...