Il Motivo di Jonah

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L'angelo Uriel si girò finalmente verso di loro. Il suo volto era sereno e radiante, ma i suoi occhi emanavano un'intensità che metteva soggezione.
I tre si guardarono perplessi, ma decisero di andare verso di lui.
"Mi chiamo Uriel." disse l'angelo con una voce calma e melodiosa.
"Sono stato inviato dall'alto per dirvi che ora questo caso non è più vostro, ma lo prenderemo noi."
"Quindi lo prende la F.A.I.?" chiese Gabriel.
Catheline si girò verso Jonah e chiese: "Cos'è la F.A.I.?"
"La Federazione degli Angeli Internazionale. In questa associazione lavorano solo gli angeli come detective. Quando i casi si fanno troppo difficili o hanno qualcosa a che fare con il mondo degli inferi, si intromettono loro." spiegò Jonah.
"Questa è una missione di vitale importanza per il destino dell'umanità." disse Uriel.
"Si, finché non ci sarà la fine del mondo dite sempre così." constatò Gabriel.
Uriel con tranquillità spiegò: "La fine del mondo è un disegno divino e quando accadrà noi saremo al nostro posto."
"Si, a vedere le persone morire in modi cruenti." continuò Blackwood.
"Ora non siamo qui per parlare di qualcosa che succederà e che non sappiamo neanche noi quando." interruppe l'angelo.
"E se fosse questa la fine del mondo?" chiese Jonah riferendosi alla presunta evocazione di Beelzebub.
"Oh beh...non si può sapere finché non ci sono le convocazioni dei cavalieri dell'Apocalisse."
"E ci sono?" chiese nuovamente il ragazzo.
Uriel si avvicinò a Jonah con un sorriso e disse: "No, tranquillo però questo potrebbe essere un bel casino, e potrebbero servire uno o due miracoli."
L'angelo fece l'occhiolino facendo scrocchiare e aggiustare il naso di Jonah.
"Ahia!" esclamò il ragazzo provando una leggera irritazione.
"Comunque questo caso è troppo per voi, quindi per piacere abbandonatelo."
Uriel ad un tratto, con un gesto della mano, come se fosse un mago che fa comparire delle carte, fece apparire tre buste.
"Ecco a voi il vostro stipendio..." disse l'angelo porgendo due buste a Gabriel e Jonah. Poi continuò: "...come se aveste risolto il caso. Catheline, per te i soldi dei lupi mannari, dei Semynov, benzina e tutto il resto, con qualcosina in più."
I tre rimasero immobili e sorpresi, con le buste in mano.
"Ah, e comunque per le taglie abbiamo risolto. Le abbiamo tolte e quando troveremo chi le ha messe, riceverà la peggior punizione. E ora buon riposo." concluse Uriel prima di scomparire nel nulla. 
Gabriel si scosse come se avesse avuto una sorta di brividi.
"Un angelo. Va beh...meglio per noi. Ora se la vedono loro."
"Gabriel non possiamo fregarcene." intervenne Jonah preoccupato.
"Perché? la paga ce l'hanno data, siamo apposto così."
"No! Dobbiamo pensare a Catheline..."
"Tranquillo Jonah, me ne occuperò io o gli angeli..." disse la cacciatrice.
"Scout, ora è tutto nelle mani degli angeli. Sicuramente ce la faranno." concluse Gabriel, cercando di rassicurare Jonah e sé stesso.
"Sai perché voglio risolvere questo caso?! Sai perché sono diventato detective?! Perché sei stato tu ad aiutarmi anni fa, ma non te lo ricordi!"
"Ehi, ehi scout tranquillo."
"E non mi chiamare scout!" disse Jonah alzando il tono di voce, visibilmente agitato.
"E la sai una cosa?! Non mi hanno assegnato a te così a caso. Ho scelto io di stare con te! Io ho deciso di diventare detective per un motivo!" esclamò Jonah.
Poi deglutì, cercando di riportare la calma nella sua voce.
"Anni fa..."

Un temporale perseverava ormai da giorni in una cittadina del Connecticut.
Le strade erano buie e deserte, illuminate solo dai lampioni e dalla luce proveniente da una casa isolata. 
I due alberi all'ingresso del cortile sembravano più scuri degli altri e uno di essi era piegato, come se si inchinasse a chiunque entrasse.
Jonah, che aveva solo undici anni, era seduto con la madre intorno ad una modesta tavola.
La stanza era fredda e grigia, come se i colori si fossero dileguati, sbiaditi rapidamente.
Il bambino e la madre iniziarono a pregare.
"Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno..." recitarono insieme.
Ad un tratto un urlo di dolore echeggiò dal piano di sopra.
"Continua." disse la donna al figlio.
"...e sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra..."
"Basta!" urlò la ragazza al piano di sopra, interrompendo la preghiera.
"Mamma, perché Clara urla quando preghiamo?!" chiese Jonah, confuso e spaventato.
"È solo una coincidenza, lei urla contro il male che ha." rispose cercando di tranquillizzarlo.
"E cos'ha?"
"È una malattia veramente brutta e la fa stare molto male." disse con il tono della voce rivelando la tristezza che stava provando.
"Quando potrà mangiare con noi?"
"Non lo so Jonah... oggi però verranno dei dottori per visitarla." disse la madre con gli occhi lucidi.
"Finiamo la preghiera." continuò.
"Va bene."
Jonah riprese: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori..."
"Aaaaaah!"
"E non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male. Amen." conclusero cercando di ignorare l'urlo della ragazzina.
"Smettetela!"
Le luci della stanza, già fredde e sbiadite, iniziarono a lampeggiare.
Si spegnevano e si riaccendevano sempre più velocemente creando un effetto stroboscopico. Poi, un suono familiare fece smettere l'intermittenza.
«Din don»
"Sono i dottori?" chiese Jonah.
"Penso di si."
"Non farli entrare!" urlò Clara.
La madre si alzò e andò verso la porta.
"Salve." disse con un filo di voce.
"Salve." rispose un signore entrando insieme al suo collega.
Jonah si alzò in piedi, curioso di vedere chi fossero.
Uno dei due disse: "Salve io sono Jhon Clartole."
Era alto, magro, con occhi azzurri scavati. Il suo naso pronunciato gli conferiva un aspetto un po' sinistro e sopra la sua bocca aveva dei baffi grigiastri.
Accennò un sorriso a Jonah, poi si tolse il cappello rivelando i pochi capelli sottili e bianchi che coprivano la sua testa. Indossava un giaccone grigio e nero che appoggiò con cura sul appendi abiti mostrando il suo corpo magro e curvo.
Dietro di lui, un altro uomo più giovane, che sembrava avere una trentina d'anni, si presentò: "Detective Gabriel Blackwood." con tono sicuro e deciso.
Era un pò più basso del primo ed era in perfetta forma fisica.
"Lei si trova al piano di sopra." disse la madre indicando la direzione.
I due detective si guardarono per un istante, poi salirono le scale verso il piano superiore.
"Andate via!" urlò Clara di nuovo dall'alto con voce piena di paura.
La madre si avvicinò a Jonah cercando di spiegargli la situazione.
"Noi rimaniamo qui, così che i dottori possano lavorare in tranquillità."
Jonah guardò curiosamente i due uomini scomparire al piano di sopra, sentendo lo scricchiolio del pavimento ad ogni loro passo.
Poi sentirono la porta aprirsi.
Quello che i due detective videro quando entrarono nella stanza era una scena da brivido.
Una ragazza, con gli occhi vitrei e il viso pallido, era legata al letto. Rimasero in silenzio osservandola attentamente e aspettando che facesse qualcosa di strano.
"Che c'è?" chiese la ragazzina.
"Niente, stiamo solo osservando." rispose Gabriel cercando di non allarmarla.
"Non parlare con lei." lo rimproverò il detective Clartole.
Blackwood stette zitto assecondando il suo collega.
Si avvicinarono al letto, pronti ad affrontare qualsiasi eventualità.
Clartole aprì la sua borsa e lanciò a Gabriel una piccola boccetta.
"È acqua santa." disse Jhon con tono serio. "Buttagliela addosso."
Blackwood esitò per un attimo, ma poi obbedì.
Gettò l'acqua santa sulla ragazzina legata al letto.
Clara iniziò a urlare sempre più forte e improvvisamente la voce del demone che la possedeva uscì fuori riempiendo la stanza di terrore.
"Smettetela!" urlò Clara con voce distorta e piena di rabbia.
"Eccolo." disse Clartole con un'espressione di soddisfazione sul volto.
Gabriel lo guardò e disse: "Continuo?"
"Certo, vai avanti."
Gli occhi del ragazzo erano dispiaciuti, mentre l'acqua santa bruciava la pelle di Clara.
Al contrario, quelli di Clartole erano freddi e fissi su di lei che urlava, quasi come se stesse godendo nel vedere una scena così disturbante.
"E ora?!" chiese il ragazzo cercando di far sentire la propria voce sopra il fragore che si era scatenato nella stanza.
Il collega uscì da quella sorta di trance, poi iniziò a trafugare nel suo borsone.
Tirò fuori un crocifisso e una Bibbia.
Iniziò a recitare dei passi agitando la croce.
La ragazzina ora sembrava più cadaverica, scavata e con la voce più cupa e terrorizzata.
Clara li guardò e alzò le braccia puntandole verso i due detective facendoli sbattere contro le mura.
"Cosa facciamo ora?!" urlò Gabriel con voce piena di dolore, mentre un terremoto e un uragano invasero la stanza nello stesso momento.
"Non possiamo procedere!"
"Perché?!"
"Non lo vedi?! Questo è un caso particolare! Se mandiamo via il demone, lui si prenderà l'anima della ragazza e la porterà con lei!"
Una risata che sembrava provenire dagli inferi echeggiò sempre più forte.
"Lei è mia! Bastardi!"
Jonah, nel frattempo, sentendo i rumori provenienti dal piano di sopra, salì velocemente le scale. Il suo cuore batteva forte nel petto, preoccupato per la sorella e ansioso di capire cosa stesse succedendo.
Mentre la madre, con la mano davanti alla bocca che era bagnata dalle lacrime, rimase impietrita di terrore e sofferenza per la figlia.
Jonah, una volta raggiunta la porta, fece spuntare solamente la testa cercando di non farsi notare. Ciò che vide lo lasciò senza parole e gelò il sangue nelle sue vene.
Clara, una volta così vivace e piena di vita, ora era emaciata e il suo viso era segnato da un sorriso malvagio.
I due detective erano attaccati alle pareti e impossibilitati a muoversi, mentre parlavano tra loro con toni concitati.
Jonah, con le lacrime agli occhi, continuò a guardare la sua amata sorellina in quello stato. Era come se qualcosa di oscuro e maligno avesse preso possesso di lei completamente. Provò un senso di impotenza e disperazione di fronte a quella terribile visione.
Vedeva la sorella ridere di gusto.
Poi gli occhi verdastri di Clara si fermarono proprio su Jonah.
Si sentiva osservato nel profondo della sua anima, era come se quello sguardo malvagio e penetrante volesse scrutare ogni suo pensiero, ogni sua emozione.
"Tua sorella non sarà mai tua."
Era spaventato, ma non poteva abbandonarla. Doveva trovare un modo per aiutarla, per liberarla da quell'oscurità che la stava consumando.
I due detective con grande sforzo, girarono la testa verso il bambino, con i loro corpi ancora attaccati alle pareti a causa della forza invisibile.
Gabriel con voce ansiosa disse: "Non entrare!"
Il vento si placò e le scosse cessarono, ma l'atmosfera rimase tesa.
Il piccolo Jonah, guardando dentro la stanza, capì istantaneamente che quella non era una semplice malattia, ma qualcosa di completamente sconosciuto per lui.
"Bambino vai via!" esclamò Clartole cercando di proteggerlo.
"Clara, i due uomini sono qui per aiutarti a far andare via qualsiasi malattia tu abbia." le disse Jonah.
"Jonah..." sussurrò lei mentre piangeva.
"Vai via! O ti squarto le budella e me le mangio!" urlò con voce ancora più distorta e profonda.
Jonah fu spinto indietro con una forza inarrestabile, sbatté contro il muro e rimase fuori dalla camera.
La porta si chiuse di scatto e il bambino si mise a tirare pugni contro di essa cercando di rientrare.
La madre arrivò di corsa afferrandolo tra le braccia cercando di allontanarlo.
Jonah si dimenava freneticamente, urlando: "Lasciami! È mia sorella, lasciami!"
La donna, preoccupata, stringeva il bambino con forza temendo che potesse tornare nella stanza.
Intanto, i due detective si trovavano in una situazione disperata, stretti nella morsa di una forza invisibile che li stava soffocando lentamente. Mentre i loro polmoni si stavano riempiendo di disperazione, Jhon e Gabriel cercavano disperatamente una via di fuga.
"Uso il miracolo di Gabriele!" urlò Clartole con voce strozzata dall'affanno cercando di liberarsi da quella situazione.
Ma il collega gli rispose con un tono di preoccupazione: "Possiamo usarlo solo una volta!"
"Troveremo dopo un modo per separare il demone dalla ragazzina, ma ora dobbiamo pensare a noi!" ribatté Jhon con voce carica di emergenza.
"No! Dobbiamo usare quel miracolo per salvare l'anima di Clara." insistette Blackwood.
Il detective Clartole si sforzò di concentrarsi nonostante la mancanza d'aria e, con grande sforzo, infilò la mano nella tasca e ne estrasse una luce bianca e pura.
"No! Clartole, dobbiamo salvare la bambina!" disse Gabriel cercando di dissuadere il suo collega.
"Se non ci salviamo noi, non potremmo mai più salvare nessun altro!"
"Si ma la sua anima..."
Clartole guardò fisso la luce bianca nelle sue mani lottando tra il desiderio di salvarsi e il senso di dovere verso la bambina. Era una decisione difficile, ma alla fine prevalse l'egoismo.
"Non mi interessa! Io penso alla mia!"
Senza esitare, Clartole portò la luce bianca alla sua bocca e la baciò attivando così il suo potere.
"No!"
Un'esplosione di luce accecante riempì la stanza avvolgendo tutti nella sua brillantezza.
Quando la luce si dissolse, i due detective si ritrovarono improvvisamente fuori dalla camera di Clara.
"Potevamo salvare la sua anima." disse Gabriel con tono di voce pieno di rimpianto.
"Con quel miracolo è già tanto che ci siamo salvati noi."
I due detective scesero le scale e presero in disparte la madre chiudendo la porta dietro di loro.
Il bambino si avvicinò silenziosamente alla porta per ascoltare.
Il cuore di Jonah batteva forte, ansioso di sapere cosa stava accadendo.
La voce di Clartole, che era molto seria, disse: "Signora... purtroppo non possiamo salvarla."
La madre iniziò a piangere, mentre cercava di soffocare i singhiozzi per non farsi sentire.
"Ma l'anima si può ancora salvare... quindi se ce lo permette, dovremmo..."
Clartole fu interrotto bruscamente dalle parole agitate della madre: "State dicendo che la ucciderete?!" non ci fu alcuna risposta, solo un silenzio carico di tensione.
Il bambino sentì dei passi avvicinarsi alla porta e decise di allontanarsi.
Era Gabriel Blackwood che uscì dalla stanza e richiuse subito la porta dietro di lui, poi si lasciò cadere pesantemente sul divano.
"Cosa si fa?" chiese Jonah con le lacrime agli occhi.
Il detective rimase in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.
Jonah poteva leggere l'incertezza nei suoi occhi.
"Mia sorella?" sussurrò il bambino con un filo di voce.
Gabriel lo guardò senza dire nulla, ma le sue espressioni parlavano più delle parole. Si alzò e bussò al collega segnando il tragico destino che attendeva Clara.
"Mh... il primo caso che andrà male." disse Blackwood.
"Sei pronto?" chiese il detective Clartole, uscendo dalla porta.
"Pronto."
Entrarono nella stanza e il demone che era dentro il corpo di Clara iniziò ad urlare.
"Cos'era quello?!" disse il demone.
"Cos'è? Hai paura?" chiese Clartole.
"Di voi no! Ma dei miracoli si! Ma, a questo punto, non avete più nulla." Un'altra risata fece accapponare la pelle a chiunque fosse lì presente.
I due detective si guardarono. Clartole prese la Bibbia che giaceva a terra e, con determinazione, iniziò a leggerla ad alta voce nonostante il terremoto che iniziò a scuotere violentemente la stanza. "Dio! Io leggerò per l'anima di Clara." urlò Jhon mentre quadri e oggetti cadevano a terra. Poi continuò: "Lui può sentirti!" girò le pagine.
"Lui ha creato e può vedere nel buio!"
"Basta!" urlò il demone.
"Lui può sentire il tuo cuore!"
"Ti odio!" gridò con rabbia.
Ma il detective Clartole non si fermò, anzi, continuò a leggere con più determinazione.
"Lui può liberarti!"
Il demone urlò di dolore e frustrazione cercando di resistere alla potenza delle parole sacre.
Clara, nel suo tormento, aprì la bocca in un'espressione di sofferenza indicibile.
Poi, davanti agli occhi di Clartole e Gabriel, apparvero due figure amorfe, una scura e l'altra chiara.
Esse fluttuavano a mezz'aria sopra la testa di lei, in bilico tra il mondo terreno e quello spirituale.
L'anima bianca di Clara era intrappolata in quella nera.
"Ecco le anime!" disse Jhon con un misto di meraviglia e terrore.
"Vado!" disse Gabriel sentendo il dovere chiamarlo.
Blackwood afferrò saldamente la croce nelle sue mani tremanti, avanzò con passo deciso e salì sopra al letto, rivolgendosi verso le due anime che si contorcevano di fronte a lui.
Una forza invisibile, simile a un vento selvaggio, cercava di spingere via Blackwood.
"Usa la croce come divisorio, Gabriel!" esclamò Clartole cercando di farsi sentire sopra il rumore del frastuono demoniaco.
Una volta avvicinata la croce verso di loro, però, essa si sbriciolò in polvere tra le sue dita, come se fosse fatta di cenere.
Lo sguardo di Blackwood si riempì di sgomento.
"E ora?!" urlò il detective.
Clartole rimase sbalordito di fronte alla scena.
Gabriel vide l'anima demoniaca gettare il collega fuori dalla finestra per poi fondersi immediatamente al corpo della bambina ormai inerme.
Blackwood ora si sentì completamente impotente.
"Non so cosa fare." mormorò disperato mentre le anime cominciavano a ritirarsi lentamente all'interno di Clara.
"Non so cosa..." si interruppe. Improvvisamente, una folgorazione di genio attraversò la mente di Gabriel.
"So che non si parla con loro direttamente, lo so." pensò.
"Demone, qual è il tuo nome?" chiese urlando verso l'entità maligna, sfidandola.
"Gundalor!" rispose il demone con una voce sinistra che penetrava nelle orecchie di Gabriel come un sibilo mortale.
"Gundalor, prendi me! Ti do il mio corpo!" gridò senza esitazione.
"Ho la bambina!" disse il demone.
"Non più!" gridò Blackwood furioso.
Prese l'acqua santa che aveva a portata di mano e la gettò con violenza sull'anima del demone.
Un urlo di dolore rimbombò nell'aria facendo tremare le mura della stanza.
L'intonaco cadde a pezzi rivelando le antiche assi di legno sottostanti.
Nel frattempo, l'anima della ragazzina si liberò e volò via attraverso il soffitto cercando finalmente la pace.
"Prendi me!" urlò ancora una volta Gabriel sfidando il demone.
In un attimo, l'oscurità si insinuò nella bocca di Blackwood mentre tutto intorno sembrava fermarsi.
Barcollando, il detective afferrò l'acqua santa rimanente e la inghiottì avidamente combattendo contro l'entità che si agitava furiosamente nel suo interno.
Clartole, gravemente ferito, ma determinato, aprì con fatica la porta della stanza.
"Gabriel!" esclamò disperato.
Il ragazzo si voltò verso di lui, con gli occhi colmi di una strana calma.
"Ce l'ho fatta Jhon." disse Gabriel prima di svenire esausto.
La notte si concluse con l'arrivo di un'ambulanza nella casa di Jonah.
Il detective Blackwood venne portato via dagli angeli che, in seguito, lo curarono e protessero dalle ferite inflitte dall'oscuro confronto. Divenne uno dei casi più importanti nella storia, guidato da Blackwood Gabriel e Clartole Jhon.

"E tu... Gabriel, non so come hai salvato l'anima di mia sorella, ma mi sono promesso di far fronte a questo male, sempre, trovando qualsiasi modo, anche a rischio della mia stessa vita." concluse Jonah con voce intrisa di gratitudine e determinazione.
Gabriel rimase in silenzio, immerso nei ricordi di quel fatidico giorno. Le immagini sfocate di quel caso si affollarono nella sua mente. 
Catheline toccò il braccio di Jonah rincuorandolo.
"Sì..." mormorò Blackwood cercando di trovare le parole giuste per esprimere la sua approvazione.
"Va bene...però i soldi ce li teniamo." disse infine.
Jonah fece un cenno di conferma con la testa.
"Andiamo a risolvere questo maledetto caso."
I tre si avviarono verso la chiesa di Zocoia.
I loro passi risoluti risuonavano sui marciapiedi, le ombre passavano lungo le mura di pietra mentre il vento sibilava tra le crepe.
Era lì, in quel luogo sacro e intriso di ombre e misteri, che avrebbero portato a termine l'indagine.

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