Capitolo 31

15 3 27
                                    

Quella dello scarafaggio era una forma che Rea non aveva mai preso in considerazione. Non sapeva ancora se definirla una grandiosa o terribile idea, ma di una cosa era certa: stava riuscendo. Aveva prima superato il cancello, passandoci sotto, poi aveva preso a zampettare in lungo e largo per il castello di Thornfell, attenta a non farsi schiacciare dalle grosse zampe dei segugi e infilandosi tra le crepe delle pareti. Nessuno si era accorto di lei, nemmeno i mostri appollaiati sui cornicioni esterni, che come gargoyle riposavano immobili e sorvegliavano l'unico ponte che collegava il palazzo alla città di Thornfell. Rea si era sentita rabbrividire nel ripercorrerne i corridoi bui, nel passare accanto alle scale che portavano ai piani superiori, laddove si trovava la sua vecchia stanza. C'era qualcosa di diverso nel castello, qualcosa di lugubre e soffocante che la portava a ricordare ogni attimo trascorso in quelle sale ora vuote, immerse un tempo nel chiacchiericcio della corte di Althran.

Era stata una sorpresa trovarne i cadaveri nelle segrete, i corpi aperti e smembrati nelle celle più vicine all'entrata. Una volta, Althran teneva i suoi esperimenti più in profondità, lontano dalle orecchie e dagli occhi di chi frequentava il suo palazzo. Rea non aveva idea di cosa fosse successo, nemmeno lo voleva sapere, ma aveva riconosciuto nella pelle scavata volti familiari, nei rimasugli di ciò che restava odori non nuovi. Non ne era dispiaciuta. Si era sentita addirittura soddisfatta nel vedere l'intera corte punita da colui che elogiava e venerava come un dio, piegata come un qualsiasi prigioniero di quelle orrende prigioni sotterranee. Aveva proseguito senza guardarsi indietro e senza sensi di colpa. Nessuno di quei corpi, alla fine, era stato gentile con lei.

In quella forma Rea aveva percepito gli istinti animali spingerla verso le unghie che tappezzavano il pavimento di una cella. Vi si era avvicinata, quasi incuriosita, per ritrovarsi poi disgustata davanti all'uomo ancora in vita a cui mancavano. Si era allontanata subito, certa che cancellare quell'immagine dalla mente sarebbe stato più duro del previsto. Si era arrampicata sulla parete, infilandosi nell'ennesima increspatura e scendendo verso i piani inferiori, da cui proveniva un calore inumano. Sapeva a chi appartenesse: solo un drago poteva conservare quel calore in un luogo così freddo.

Rea avanzò sulla roccia umida, zampettando verso il basso e nascondendosi nelle crepe della pietra al passaggio dei segugi. Non l'avrebbero notata, lo sapeva, ma laggiù la precauzione non era mai troppa; l'aveva imparato anni prima, quando un prigioniero, più mostro che umano, l'aveva afferrata per i capelli, facendola sbattere contro le sbarre e provando ad azzannarle il collo. Althran non era intervenuto, limitandosi a guardarla lottare nel tentativo di liberarsi. Ci era riuscita, e si era ritrovata qualche minuto dopo a soddisfare fantasie malate, il corpo libero del vestito nero piegato contro una di quelle luride pareti.

Rea scacciò il pensiero, cercando di concentrarsi sulla fonte di calore. Ne seguì la scia, la temperatura ghiacciata che via via si faceva meno fredda, più piacevole. Sapeva che il motivo fosse Cillian, la sua natura di drago che lottava contro le catene di ossidiana; sperava che essere rimasto laggiù così a lungo, lontano dal suo cielo, non lo avesse fatto impazzire. Rea aveva notato il modo in cui Cillian guardava oltre le nuvole, la sofferenza che irrompeva nei suoi occhi impassibili. Quello era lo stesso dolore che riaffiorava in lei quando pensava a Crya, una nostalgia tale da farle stringere il cuore e farla pentire di ogni sua azione. Magari Cillian non si pentiva del suo passato, Rea non sapeva nemmeno cosa avesse vissuto, ma di certo, come lei, sentiva la mancanza di casa.

Si bloccò. Davanti a lei il drago si ergeva in tutta la sua altezza. Legato a polsi e caviglie, indossava solo dei calzoni, i muscoli rilassati e abbandonati alle catene che lo tenevano in piedi. La ferita inflitta dalla spada di ossidiana non si era rimarginata, ma almeno non sanguinava più e una crosticina si era già formata intorno: gli sarebbe rimasta la cicatrice. La prima, realizzò Rea, nella stessa identica posizione in cui si trovava la sua. Cillian teneva gli occhi chiusi, la testa piegata verso il basso e i capelli neri che gli scivolavano sul viso. Si avvicinò, notando l'accenno di barba sulla mascella. Conoscendolo, l'avrebbe tagliata appena libero; Cillian non sopportava niente che fosse fuori posto.

The Songs Of The Twin FlameDove le storie prendono vita. Scoprilo ora