CHAPTER 3 || #what we said twenty-six years ago

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❝L'ultimo ad arrivare fu Bokuto, che si era defilato dall'officina di suo padre inventandosi come scusa che una loro nuova cliente inglese era rimasta ferma nel bel mezzo alla strada

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❝L'ultimo ad arrivare fu Bokuto, che si era defilato dall'officina di suo padre inventandosi come scusa che una loro nuova cliente inglese era rimasta ferma nel bel mezzo alla strada. In piena sera. Doveva intervenire subito. Perché avesse detto che fosse di nazionalità inglese?, non lo sapeva neppure lui. Forse ansia da prestazione.
Erano tutti lì. Al lago. Nei pressi della grande roccia.
Lì, dove tutto era iniziato.
Lì, dove tutto si era fermato.

Kageyama era seduto sul tronco tagliato di un albero.
Il piede che andava su e giù nervosamente.
Doveva ritornare in Africa dai suoi bambini. Quei bambini avevano bisogno di lui, e adesso a causa di quella fottuta indagine del cazzo era rimasto bloccato lì.
Nel suo cazzo di passato. Nei suoi cazzo di ricordi.

Fu Atsumu ad interrompere quel silenzio di grilli cantanti.
Di falene che volavano, di lucciole che danzavano.
I gufi erano svegli. Alcuni pipistrelli svolazzavano sul lago per bere e poi ritornare in cielo a governare la notte.

Atsumu parlò per primo.
Prendendo in mano le redini di quel gioco perverso.
Quel gioco che avevano creduto terminato ventisei anni prima.

<<Avete detto tutti quello che avevamo detto ventisei anni fa, giusto?>>

Tutti annuirono. Tadashi si strinse nel suo cappotto beige.
Una folata di vento aveva smosso l'acqua del lago, le foglie sugli alberi che stavano ricrescendo seguirono l'andare della folata di vento.
Faceva freddo. L'inverno stava terminando, ma il freddo fin dentro le ossa ne ricordava ancora la presenza.

Hitoka affondò il naso nella sua sciarpa rosa a strisce viola; le mani infilate nelle tasche del suo cappotto bianco, i capelli biondo cenere legati in una coda alta. <<Non è stato giusto mentire nei confronti di Shōyō>>

Atsumu spostò lo sguardo dal display del suo iphone al volto addolorato di Hitoka. <<Neanche lui è stato giusto nei nostri confronti. Se n'è andato e ci ha lasciati nella merda>>

Tobio sbuffò una risatina tutt'altro che divertita. Atsumu. Tobio avrebbe voluto prenderlo a pugni fino a quando non gli avesse detto che fine avesse fatto fare a Shōyō perché sapeva, ne era sicuro, che lui c'entrava qualcosa con la scomparsa del suo migliore amico. <<Forse voleva andare via da te o forse sei stato tu a farlo andare via>>

Atsumu ridacchiò con finto divertimento. L'aria strafottente di chi ne sapeva una più del diavolo, ma di chi avrebbe potuto metterlo in culo a tutti tranne che al diavolo stesso perché poco furbo. Sveglio ma non tanto. <<Tu sempre a prendere le sue difese, eh? Non ti fa rabbia che il tuo migliore amico adesso sia chissà dove a scoparsi qualcuno che non sei tu? Gli morivi dietro, ti saresti venduto l'anima per entrargli nelle mutande, eppure, è divertente ancora oggi sapere di come abbia aperto le gambe con me mentre con te no>>

Tobio si alzò di scatto dal tronco dell'albero.
Fece qualche passo verso l'altro alpha — lo avrebbe ammazzato, lo avrebbe riempito di pugni, calci, lo avrebbe lasciato affogare in quel lago di merda. Ma almeno sarebbe stato soddisfatto.
Kei gli mise una mano sulla spalla, la strinse forte in un monito a non muovere un solo muscolo se non voleva finire in grossi guai. Non erano più degli stupidi mocciosi ancora legati alla gonna della mamma, adesso erano adulti. E Atsumu, più di tutti loro, aveva le conoscenze tecniche per buttarti con la testa in quella merda chiamata giustizia, quella giustizia che non ammetteva remore.

sᴄᴏᴍᴘᴀʀsᴏ || ʜɪɴᴀᴛᴀ sʜᴏ̄ʏᴏ̄ Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora