Capitolo 4

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"La vita, mia cara, è un palcoscenico
dove si gioca a fare sul serio."

-PIRANDELLO







Erano passate altre due settimane da quando il mio contatto si era rivelato, ed io in preda alla noia stavo ormai impazzendo all'idea di che cosa potesse essergli successo da indurlo a sparire per così tanto tempo. Già immaginavo quel poverino, lo avevano scoperto, ferocemente torturato facendogli così rivelare ogni suo più piccolo segreto, e con essi anche il nostro intricato piano e solo poi gli avevano concesso la grazia della morte. Ora mancavo solo io, senza più una copertura, sarei probabilmente marcita in queste segrete per il resto della vita.

Per fortuna le mie paranoie si rivelarono completamente errate quella notte stessa.

Io e Mark stavamo facendo una di quelle conversazioni contorte, un misto tra sogno e realtà, che per quel mese di prigionia mi avevano riempito la testa, quando tre guardie fecero la loro apparizione nel più completo silenzio. Il mio uomo mi si avvicinò velocemente per poi afferrarmi un braccio e trascinarmi fuori con un forte strattone. Prima di lasciare la cella, ancora immersa nel sonno, riuscii a scorgere le altre due guardie fare la stessa identica cosa con Mark ed un altro uomo che però non riconobbi.

Mentre mi spingeva per il corridoio che riportava in superficie, io cercai di parlargli, di capire cosa stesse accadendo, perché qualcosa stava succedendo, non si prendono tre persone da una cella in piena notte per una passeggiata.

«Cosa succede?» sussurrai direttamente nel suo orecchio, ma lui fece finta di non avermi sentita cosi ritentai: «Elias dove stiamo andando?» fece un sospiro e allentò un minimo la presa sul mio braccio ma di nuovo non osò rispondermi né tanto meno guardarmi. Decisi di fidarmi di lui, di credere che tutto questo era positivo, che il nostro piano andava come previsto senza intoppi, e quindi mi lasciai condurre nella sala del trono senza molte proteste. La sala era al dir poco terrificante, la notte la rendeva ancor più buia e tetra, e la luce della luna metteva in risalto le numerose forme geometriche che facevano da padrone rendendole mostruosamente aguzze.

Proprio al centro, esattamente dove vi era il pesante trono del re nero, un ometto ci attendeva. Il valletto reale fissava un foglio con attenzione e quando fummo tutti presenti non si preoccupò di celare uno sguardo pieno di disgusto e disprezzo. Continuavo però a non capire cosa stesse succedendo, perché il valletto ci voleva vedere a tarda notte? Che il re si fosse rimangiato la parola data condannandoci a morte in segreto?

«Sua maestà il re ha preso la sua decisone.» comunicò con la sua solita voce nasale, che mi graffiava le orecchie, il valletto. «Da questo momento in poi egli vi esonera dalla prigione ed affida ad ognuno di voi una mansione da svolgere in nome di sua maestà.» ci siamo, da qui non c'è via di ritorno. Rimasi in attesa che il valletto del re si pronunciasse riguardo il nostro destino a corte, e dovetti anche reprimere, con non poca difficoltà, la voglia di tirargli un bel pugno su quel naso storto che aveva.

Il mio lavoro stava per iniziare, questo momento avrebbe messo in moto così tante cose, ed io non avevo certo tempo da perdere con quella sottospecie di essere umano, che si muovesse, o non mi sarei più trattenuta e lo avrei picchiato sul serio.

«Per primo Mark Miller Jr» disse il suo nome con ripugnanza, mentre una guardia dava a Mark uno spintone per farlo vedere meglio al valletto, che lo ignorò bellamente e continuò: «Tu -e puntò un dito nella sua direzione senza mai alzare gli occhi da quel suo foglietto- avrai l'onore di essere il nuovo scudiero personale del re» appena finì di parlare la guardia afferrò Mark per una spalla e lo condusse, con poca delicatezza, fuori dalla sala del trono. Lui non si agitò, forse quella nuova vita che gli stavano offrendo ai suoi occhi sembrava un sogno rispetto a quella che aveva già vissuto, quindi non mosse un dito, considerando forse quella nuova prigionia come l'unica libertà che avrebbe mai potuto avere. L'uomo al mio fianco pareva terrorizzato, come se si aspettasse ancora la morte e non un lavoro da quel valletto, volevo confortarlo dirgli che sarebbe vissuto e che molto presto io lo avrei liberato da questo posto infernale, ma stetti in silenzio e fissai torvo il nostro "boia".

«Poi - si lasciò scappare un verso di disprezzo- Ariadne Lluna, tu diventerai la nuova domestica di sua maestà, i tuoi doveri ti verranno illustrati» e di nuovo fece un segno alla guardia che mi afferrò per condurmi ai miei nuovi alloggi. Io ed Elias ci scambiammo uno guardo fugace in cui però era racchiuso tutta la nostra gioia, lavorare nelle stanze del re, viverlo giorno dopo giorno nel luogo in cui più si sente al sicuro, infinite possibilità si susseguirono nella mia mente, avremmo vinto questa guerra prima del previsto, molto, molto, molto prima.
Mi contenni, cercando di non far trasparire la mia -ad occhi esterni- insensata felicità, ma se avessi potuto mi sarei messa a saltare per tutto il castello con un sorriso ebete sul viso.

Camminammo a lungo, il castello era enorme, pieno di corridoi e scale, e mentre Elias mi teneva per un gomito spingendomi nella giusta direzione, io non potevo che prestare la mia più completa attenzione ai piccoli particolari che formavano i vari corridoi, dipinti, arazzi, statue e le milioni di rampe di scale. Prendevo tutto come punti di riferimento ammirandone tuttavia la bellezza e l'eleganza. Continuavamo a salire, Elias mi aveva detto che avrei abitato nel piano più alto del castello e questo un po' mi terrorizzava, soffro di vertigini e l'idea che la mia unica via di fuga potesse essere una finestra a metri e metri d'altezza mi destabilizzava e non poco. Notai poche guardie durante il nostro percorso, potei anzi constatare che più salivamo meno guardie incontravamo, come se qualsiasi cosa ci fosse ai piani superiori, fosse così poco importante da non dover essere controllata.

Elias continuò a spingermi verso l'alto imperterrito, e ci fermammo solo quando arrivammo ad un corridoio, che occupava un piano intero del castello, completamente vuoto. Non vi erano dipinti o statue a ravvivare l'ambiente e nemmeno una guardia in giro, c'erano solo due porte, una all'inizio del corridoio ed una alla fine. Elias mi spinse verso la prima porta e poggiò la mano sul pomello e prima di aprirla mi sorrise, poi il suo volto tornò ad essere una maschera di pietra. Spalancò la porta e mi ci lanciò dentro.

«Questa sarà la tua stanza» nessuna emozione, nessuna parola di troppo, nessuno sguardo rassicurante, semplicemente chiuse la porta ed andò via, abbandonandomi lì al mio destino.

Ero sola in quella che sarebbe stata la mia casa fino al momento opportuno, e più che una squallida stanzetta con un letto ed un bagno, questa aveva tutta l'aria di un appartamento in piena regola, per quanto potessi scorgere con la fioca luce della luna. Cercai a tentoni l'interruttore per accendere la luce ma prima ancora di trovarlo questa si accese, mi girai di scatto pronta a difendermi da ogni attacco con la diffidenza nello sguardo che però serviva solo a celare la paura.

«Tu devi essere quella nuova» una voce assonnata mi fece perdere un battito, nessun attacco solo una...ragazza. «Scusami, ti ho spaventata» la ragazza che avevo di fronte, dai lunghi capelli biondi, mi sorrise gentile, «Mi chiamo Valentina. -e mi tese la mano che io però rifiutai- Non devi avere paura, andrà tutto bene te lo assicuro» e, chissà per quale assurdo motivo, le credetti. Non disse altro ed io d'altro canto continuai a navigare nel mio mutismo, con un gesto mi indicò la mia stanza e dopo avermi augurato la buona notte andò via, così com'era apparsa.

Una coinquilina.

Una dannatissima coinquilina non era nei piani.

Non l'avevamo calcolata.

Una coinquilina complica le cose.

L'ultima lama - Il Re NeroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora