11. La villa

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Lentamente il mondo era scivolato via.
Lentamente lei era scivolata via con lui.
Senza il mondo lei non esisteva.
Ma senza di lei il mondo non sarebbe esistito ancora a lungo.

Nella sua mente scura all'improvviso era spuntata una lucina.
La lucina era diventata sempre più grande fino a sconfiggere tutta l'oscurità che gli annebbiava la testa.

Aprì gli occhi.

Vide un soffitto, un soffitto di vetro, sembrava che fosse in una serra.

Poi iniziò a percepire il tessuto liscio e morbido su cui era appoggiato il suo corpo disteso.

Cominciò a sentire un forte odore di fiori, le ricordava le mattine soleggiate d'inverno e le notti serene immersa nel buio, sapeva di leggende sussurrate nel sonno...sapeva di inganno.

Allora riprese anche a sentire le voci, dei bisbigli.

Dei passi attutiti e ritmati, come ticchettii di orologio che si avvicinavano a lei.

Poi una mano fredda e ossuta toccò la sua spalla e un volto candido le copri la visuale del cielo grigio al di fuori del tetto della serra.

Era un ragazzo.

Era un ragazzo stupendo.
"Vuoi alzarti?" le chiese.

Aria resto un attimo impietrita, era abbastanza disorientata, non sapeva dove fosse, l'ultima cosa che ricordava era il buio. E prima il battente di un portone con una forma di animale che non era riuscita a distinguere.

I ricordi cominciarono allora a domarle la testa a ritroso.
Ricordava la periferia, il grigiore e la nebbia , il senso di angoscia, la presenza di qualcosa dietro di lei.

Ricordava di aver avuto paura, di essere corsa a cercare aiuto e poi tutto era diventato sempre più confuso.

Le stava sfuggendo qualcosa, era sicura che le sfuggisse qualcosa.

Si alzò seduta su quello che era un divano sui toni del verde bosco di un tessuto morbido e confortevole, velluto?
E dalla posizione seduta riuscì a vedere meglio ciò che la circondava.
Si trovava effettivamente in una serra con una grande cupola trasparente a circondarla.
Un pavimento in legno tappezzato da migliaia e migliaia di vasi di tutte le dimensioni sparsi qui e lì, tutti contenevano lo stesso fiore bianco.
Narcisi.
Li aveva riconosciuti perché li aveva già visti prima,nelle sue gite ai grandi campi di semina fuori la periferia sud.
Li crescevano come erbacce qui e lì (molto spesso erano associati a un raccolto non fertile),come tante macchioline bianche le ricordavano la neve.
Mentre lei osserva la meraviglia di quella serra non aveva notato lo sguardo attentamente posato su di lei.

Il divano su cui si trovava era appoggiato a un lato della vetrata, che circondava interamente lo spazio rettangolare, vicino a una parete in cui era scolpito un gigantesco camino con il fuoco scoppiettante.
C'era un piccolo tavolino davanti a lei con i piedi in legno e la superficie in vetro su cui era appoggiata una brocca di acqua e un piattino con del pane.

Il ragazzo stava tra lei e il tavolino e la osservava.

Lei osservava lui.

Si fissavano con solo lo scoppiare del fuoco ardente da sottofondo.

Finché dopo averlo analizzato nei singoli dettagli, i capelli biondo acceso, sembravano fili di luce, gli occhi verde scuro con delle screziature dorate, il volto bianco e liscio leggermente affilato sugli zigomi..
Indossava dei pantaloni bianchi morbidi che ricordavano la consistenza delle nuvole e sopra una camicia di lino dello stesso colore degli occhi, verde come un campo in primavera, un campo di primavera tappezzato di fiori dell'inganno.
Sulle spalle aveva un maglioncino bianco. Scarpe eleganti e lucenti di vernice blu come la notte più scura.

GLI ASSENTI  (Soulless chronicles)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora