Vita

31 15 0
                                    

Liv
Un battito di ciglia.
Un secondo prima ero con Aren, ci eravamo appena baciati. Quello dopo, mi ritrovai in un posto freddo, lugubre, desolato.
Mi guardai intorno, spaventata.
L’unica luce era quella proveniente dalla luna e dalle stelle, che sembravano immobili nel cielo, quasi come in un dipinto.
Ma lì non ero sola.
Sembrava come se il vento avesse risvegliato delle creature.
Camminavano lente, nella sabbia, accanto a me.
Non avevano un corpo, probabilmente nemmeno una coscienza. Poi i loro sguardi spenti si posarono su di me.
Era come se fossi stata circondata da fantasmi, anime erranti, senza identità: come meduse che si lasciano trascinare dalla marea.
Erano attirati da me, perché io non ero come loro.
Il mio corpo emanava calore, ero viva: il mio cuore batteva ancora, in un mondo in cui la vita non c’era più.
Ero forse finita all’inferno?
Ma non ero mica morta. Cos’era successo allora? Dove mi trovavo? E, soprattutto, dov’era Aren?
Possibile che fosse lì anche lui? In quel deserto infinito?
Le anime si avvicinavano sempre di più, sembravano curiose.
Io ero terrorizzata, ma non potevo urlare. Chi mi avrebbe sentita?
Improvvisamente, sentii il rumore dei passi di qualcuno. L’unico suono prodotto dai fantasmi inquietanti era quello delle urla…forse non ero l’unica viva, lì.
Ma non poteva essere Aren, riconoscevo il suo modo di camminare. L’avrei riconosciuto anche nel regno dei morti, così come avevo imparato a fare in quello dei vivi.
Il passi si facevano sempre più vicini.
Mi voltai di scatto, spaventata.
Non si trattava di una persona viva, ma non si poteva nemmeno definire morta.
Era una ragazza, un po’ più alta di me. I suoi capelli erano lunghi e unti, per metà neri e per metà bianchi.
Di lei si intravedeva solo un occhio, verde, scattante e con un barlume di astuzia.
L’altro era coperto da una ciocca di capelli bianchi.
Il suo volto era scavato…anzi, una parte di esso.
L’altra sembrava morta, spenta.
Dal lato destro sembrava una ragazzina normale, viva, mentre da quello sinistro sembrava uno scheletro biancastro, quasi in decomposizione.
Il suo passo era lento, deciso. Con una gamba zoppicava.
«Va tutto bene?» Chiese, con una voce quasi impercettibile, come un fischio debole e stridente.
La mia gola era secca, messa a dura prova dal freddo gelido circostante, ma provai a rispondere.
«Dove mi trovo?»
Mi rivolse un debole sorriso.
«Sei nel regno di Hel, il regno dei morti, delle anime dimenticate. Ma a quanto pare, tu non sei morta.»
«No, non lo sono. Tu devi essere Hel, vero? Figlia di Loki, la sovrana di questo posto.»
Aren me l’aveva raccontato. Il Burlone aveva una figlia, per metà viva e per metà “stecchita” (come diceva lui), relegata da Odino nel regno dei morti.
«Si, sono io. Tu devi essere Liv. È ironico, no? Tu porti il nome della vita, eppure eccoti qui.»
Non aveva tutti i torti: quello era il significato del mio nome. Sorrisi debolmente, mentre mi strinsi nelle spalle, tremando per il freddo.
Hel lo notò e, con uno schiocco di dita, ci portò davanti a quella che sembrava la sua dimora, un palazzo oblungo e scarno, come una bara.
Restai a bocca aperta, quando lei mi invitò ad entrare.
Varcai la soglia, con timore.
Due servi, un uomo e una donna, ci accolsero: molto bassi e incurvati, come gatti, presentavano dei volti smagriti, sciupati, dai nasi aquilini, molto affilati. Erano inoltre vestiti miseramente, con abiti danneggiati che sembravano vecchie stoffe.
«Ganglati, Ganglöt! Portate una pelliccia alla nostra ospite.» Disse la loro padrona, che non lasciava trasparire alcuna emozione.
I due eseguirono immediatamente l’ordine, senza dire una parola, poi si congedarono, con un inchino.
Indossai il mantello, un po’ sporco e puzzolente, abbozzando un sorriso, imbarazzata.
Il servizio non era dei migliori, ma non potevo lamentarmi.
«Ora va meglio?» Chiese.
«Si, grazie mille. Ma come fai a sapere chi sono?»
Lei si sedette su una delle sedie di legno della sala, e io decisi di fare lo stesso.
«Io so tutto di tutti. E poi tu sei la prescelta, protetta da mio padre. Discendente di Erik Amery, sapevo che un giorno saresti giunta qui.»
Sgranai gli occhi.
«Conosci anche lui?»
«Certo che lo conosco. Se mio padre è bloccato in quella scuola, è anche colpa sua. E tu eri destinata a commettere il suo stesso errore.»
«Quale?»
«Innamorarti.»
E in quel momento, con ansia crescente, ricordai quei versi, scritti nel libro, accanto alla canzone ballata da me e Aren.
In particolare, l’ultima frase.
“Se l’ordine si vuole ristabilire, l’amore in ogni sua forma si deve proibire.”
Era l’unica regola. E noi l’avevamo infranta.
Probabilmente questo era il prezzo da pagare.
Hel sembrò notare la mia inquietudine. Si teneva a distanza da me, come se credesse, in qualche modo, di potermi spaventare. Ma ormai, mi ero abituata a tutto questo: in meno di due mesi la mia vita era stata totalmente stravolta.
Da studentessa dell’Università di astronomia più rinomata dell’Inghilterra, mi ritrovai nel regno dei morti.
Ero destinata a restare lì per sempre?
«So che sembra una domanda stupida, ma c’è un modo per tornare indietro?» Chiesi, preoccupata.
La dea della morte mi sorrise debolmente.
«Forse c’è, ma non dipende da me. Non posso riportarti nel mondo dei vivi…il tuo posto deve essere occupato da qualcuno.»
Mi alzai in piedi, di scatto.
«Non ha senso! Non lo permetterei mai!»
«Mi dispiace, ma io non posso farci nulla. Queste sono le regole. Anche se tu non sei propriamente morta, ti trovi comunque in questo regno e non puoi andar via. Un’anima per un’anima.»
«E tutto questo per cosa? Perché mi sono innamorata di un ragazzo?» Mi portai le mani ai capelli, sospirando.
«Da quando l’amore è una maledizione?»
«Lui non è un ragazzo qualsiasi. Nemmeno tu lo sei. Di voi si parla nelle profezie, il vostro destino è già stato scritto da tempo.»
«Che cosa intendi? Quali profezie?»
«Dopo il Ragnarok, la fine dei mondi, solo due umani sono destinati a sopravvivere. Quei due umani siete voi, Vita e Brama di Vita.»
Sollevai le sopracciglia. Aren me l’aveva accennato, ma non ci avevo fatto particolare attenzione.
E poi era solo un mito, come potevamo essere noi quelli di cui parlava la profezia?
Ma soprattutto, cosa c’entrava questo con il ballo e il fatto che io mi trovassi lì?
Sospirai ancora una volta. Non ci stavo capendo più niente.
«Supponiamo che questo sia vero...allora perché io sono qui? Qual è il collegamento tra questa profezia e quella canzone maledetta? Cosa c’entrano i nostri antenati?»
Hel si alzò lentamente, facendo un passo verso di me.
«La maledizione è nata per un errore, commesso da Erik Amery e Ake Lavigne. All’epoca, gli studenti potevano comporre delle canzoni da ballare al Canto d’inizio. I due ragazzi presero ispirazione da un’antica ballata medievale, che aveva il potere di evocare e intrappolare gli dèi. Ake era appassionato di mitologia, ma non conosceva questo segreto…nessuno ne era al corrente.
Fu suonata, quella sera del 1882, e alla fine del ballo Erik e Ake si nascosero nei corridoi, baciandosi.
Erano innamorati, ma, essendo due ragazzi, il loro amore era proibito. Questo fu l’evento che fece scatenare la maledizione. Si narra che i discendenti dei due ragazzi, 141 anni dopo, riusciranno a spezzare l’incantesimo e liberare gli dèi. Solo io e il Padre di Tutti conosciamo questa profezia. Il libro fu proibito e nessuno studente scrisse più canzoni per il ballo. Quella poesia, quei versi che avete volutamente ignorato, erano un marchio, un avvertimento. Il vostro amore ti ha condotta qui.»
Le mie gambe non reggevano più il peso del corpo. Dovetti sedermi nuovamente, per metabolizzare il tutto.
Noi avremmo potuto salvarli…e invece avevamo peggiorato le cose.
I nostri antenati, probabilmente, si erano poi sposati con altre donne e creato delle famiglie, sacrificando il loro amore, all’epoca non accettato.
«Ma loro sono qui?» Mi sarebbe piaciuto conoscerli.
«Certamente. Tutti coloro che non sono morti dignitosamente, si trovano nel mio regno. Ma non puoi parlare con loro. I morti conoscono il futuro e, se lo condividessero con te, non vivresti più il presente. Io ho già rivelato troppo…la sapienza ha un prezzo.»
«Anche l’amore ha un prezzo, a quanto pare. Ora sono qui e non so cosa mi aspetta.»
Mi alzai e, con la pelliccia ancora addosso, continuavo a camminare avanti e indietro, nervosa.
Hel restò in silenzio, con l'occhio chiuso. Sembrava concentrata, come se stesse parlando con qualcuno.
Girovagando per il palazzo, notai che c’erano molte finestre.
Ma a che scopo? Lì era sempre notte e il cielo perennemente nuvoloso, il sole non avrebbe mai illuminato la stanza.
Mi avvicinai ad una di esse, sperando di vedere qualcosa. C’era molta nebbia, ma qualche astro brillava nel cielo:
riconobbi Sirio, la stella di Loki, la più luminosa; e poi altre due, molto vicine, che noi chiamiamo Castore e Polluce. Aren mi aveva raccontato che, secondo un mito, quelli erano gli occhi di Thiassi, il gigante che aveva rapito Idunn, onorato dagli dèi per la sua tenacia e i suoi sacrifici.
Eppure, in quell’istante, mi sembrarono gli occhi che fino al giorno prima avevo amato così tanto: il mio ultimo ricordo nel mondo dei vivi.
E quel dolce sguardo, che mi faceva sentire a casa e al sicuro, brillava come quelle due stelle, che continuavano a vegliare su di me, non conoscendo alcun confine.
Mentre mi perdevo nei miei ricordi, nei suoi occhi, nel suo sorriso, notai una figura nel cielo, che volava come se il vento impetuoso non la scalfisse.
Sembrava un corvo, ma non uno qualsiasi: era Munnin, la memoria di Odino. Lo riconobbi dalla piuma bianca sulla sua testa.
Si fermò sulla finestra su cui io ero appoggiata, beccando sul vetro.
Aveva forse un messaggio per me?
Poi sollevò la zampa, a cui erano legati una letterina arrotolata e un piccolo fiore blu, molto familiare.
Un grande sorriso si formò sul mio volto, perché quel giorno mi dovetti ricredere.
Non ero sola, non lo ero mai stata.
Avevo tre stelle, dalla mia parte.

Ringrazio tutti i lettori!
Spero che la storia vi stia piacendo.
Se avete qualche consiglio, non esitate a scrivermi!
Maira

Evara - Il dono di un dioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora