|𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟐𝟑|

165 12 10
                                    

Pov. Cheryl

Tale e quale a tuo padre. Tale e quale a tuo padre. Tale e quale a tuo padre. Tale e quale a tuo padre. Tale e quale a tuo padre. Tale e quale a tuo padre.

Mi prendo la testa tra le mani sentendo una rabbia cruda e violenta scorrermi nelle vene. Vorrei scaraventarla all'esterno, vorrei sfogarla, vorrei mettere fine a questo desiderio di distruggere il mondo. Mi alzo da sopra il lettino su cui mi ero lasciata andare iniziando a camminare avanti e indietro lungo la piscina provando a scaricare l'energia frenetica che mi gira tra le vene sperando che questo allievi la testa, ma... sono vicina dall'uscirne pazza. Passo dopo passo guardo il suolo per tentare di accumulare quanto più controllo possibile ed è grazie allo sguardo basso che riesco a vedere un paio di scarpe un istante prima che mi scontro con un corpo. Alzo di scatto la testa nel momento in cui due braccia si avvolgono intorno al mio corpo. È...

<Lasciami. Vattene Malachai.> Gli dico provando a liberarmi dal suo abbraccio che non voglio, non...

<Hai paura di me?> Aggrotto le sopracciglia non capendolo e in questo momento stare a comprendere anche il perché dei suoi modi o domande è l'ultima cosa che mi ci manca.

<No, che dici? Solo io non lo merit...> Come se gli avessi chiesto di abbracciarmi più forte lui lo fa veramente con la differenza che io non gliel'ho chiesto assolutamente.
<Lasciami davvero.> Provo a liberarmi nuovamente troppo nervosa per stare ingabbiata consapevole che tra non molto potrei ucciderlo se non lo fa.
<Malachai! Lasciami!> I futili tentativi diventano delle urla non rivolte tanto a lui quanto contro me stessa, ma è a lui che urlo ed è lui che colpisco con la mano la spalla provando a liberarmi.

<Va tutto bene. Cheryl sto qua, non mi stai perdendo.> Una coltellata. È una vera e propria coltellata quella che sento trapassarmi, il manico del pugnale è lui e la lama è composta dalle sue parole. E quel pugnale affonda tanto in profondità fa aprire uno squarcio da cui esce tutta quell'energia impazzita facendomi crollare secondo dopo secondo.
Prendo in un pugno un lembo del suo giubbotto tirandolo mentre lui mi sorregge man mano che io mi lascio andare. Non faccio una piega quando mi sento sollevare qualche secondo prima che il tessuto del lettino entri in contatto con il mio sedere e un tessuto caldo di un mio cappotto mi ricade sulle spalle e lungo il corpo. Lui si siede accanto alle mie gambe e poi lo guardo mentre prende una mia mano come a volere un legame con me.

<È per questo che non vuoi venire in azienda? Perché assomiglio a lui?> Gli chiedo sentendo dolore non solo nel petto ma anche lungo la gola nel pronunciare quelle parole. Ora sarebbe tutto più chiaro, come capirei anche il perché si ostinava a non dirmelo.

<Cheryl no! Che dici!? Ti ricordo che io non so nemmeno com'è fatto, non conosco nulla di lui se non quello che mi hai raccontato tu e mia madre.> L'urgenza con cui mi risponde raddoppia solo la mia sorpresa nel ricordarmi che ha ragione. Lui ha avuto la fortuna di non averlo neanche visto una volta in vita sua, non sa nulla di lui. Non sa come ci si sente a viverci, non sa come ci si sente in una discussione con lui e non sa come ci si sente dopo un suo attacco.
Abbasso lo sguardo poggiando la schiena contro il lettino e per la prima volta quando lo guardo cerco qualcosa che non solo possa accomunarlo a me, ma anche a lui però... I capelli scuri come la barbetta leggera, la pelle abbronzata e gli occhi marroni come... come i miei. Assomigliano un sacco ai miei e la luce esterna che abbiamo mi aiuta a scovare altre somiglianze anche... Mi metto seduta di scatto sollevando una mano per avvicinarla al suo volto in modo da scostargli una ciocca, ma lui si tira in uno scatto indietro.

<Io... mi dispiace...> Ritiro subito la mano che mi era rimasta sorpresa togliendo anche quella che era nella sua non volendo più alcun contatto.

Love meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora