Spesso, durante la vita, si commettono dei gesti di cui poi ci si pente.
Gesti dettati dall'ira del momento, parole sbagliate dette nel frangente meno opportuno.
Parole taglienti e avvelenate che ti fanno ribollire il sangue all'interno delle vene.
Ma poi ti accorgi di aver sbagliato, che non volevi dire ciò e vuoi rimediare in qualche maniera, chiedendo semplicemente scusa, con il cuore in mano.
A volte, la persona che ha subito un torto è propensa a perdonare e dimenticare.
Altre volte, invece, ne ha piene le scatole perché hai cercato di tarpargli le ali e umiliarla in molte occasioni che ormai è stufa della vita che conduce per causa tua.
E solo perché non hai saputo comunicare nella maniera giusta.
"Me ne vado!"
Erano state le sue ultime parole dette con rabbia, mentre chiudeva il borsone con quei quattro stracci che si ritrovava nell'armadio, insieme ai suoi sogni e ideali.
"Se varcherai quella porta non azzardarti a tornare."
Ma non riuscì a finire la frase che quella porta si chiuse, per sempre.
Negli giorni, mesi e anni successivi, aveva tentato di ricucire il rapporto e chiedere scusa, non voleva ferirlo e non voleva che se ne andasse.
Ma lui lo ripudiava sempre in malomodo, come fosse un insetto da schiacciare e da ripagare con la sua stessa moneta.
E così gli anni passano inesorabili fino a quando ti accorgi che il tempo che ti rimane a disposizione è davvero poco e che ti resta una sola cosa da fare prima di sparire per sempre.
In silenzio.
*
C'era un bel sole quella giornata.
Gli uccelli cinguettavano felici sopra i rami pieni di foglie verdi brillanti.
La brezza primaverile le faceva ondeggiare e ne riempiva lo spazio circostante quando le auto non passavano.
La strada non era molto trafficata, non era un'arteria principale, ma lo diventava tale alle otto e alle quattordici, in coincidenza con l'entrata e l'uscita di scuola degli studenti.
Quell'uomo misterioso indossò un impermeabile grigio, un paio di occhiali da sole neri, un cappello ampio e a coprire metà volto una pashmina, sempre in tinta con l'impermeabile e si appostò fuori dalla scuola Francois DuPont, dalla parte opposta della strada.
Il cuore gli batteva forte nel petto e stringeva le mani a pugno all'interno delle ampie tasche dell'impermeabile.
Erano inevitabilmente sudate.
E intanto la tensione saliva mano a mano che si avvicinava l'orario di fine delle lezioni.
Si domandò più volte che cosa ci facesse lì e che cosa gli stesse dicendo il cervello in quel momento.
Tempo fa gli era stato intimato di stare alla larga da lui e dalla sua famiglia, di non farsi più vedere perché considerato morto.
Parole dure, ma infondo non ci si poteva aspettare altro.
Nel mondo in cui aveva scelto di vivere non c'era spazio per lui, troppo altezzosi e aristocratici, di certo non adatti al suo ceto sociale attuale.
Però, era felice, almeno aveva trovato l'amore e il successo a cui tanto ambiva da giovane.
Mille pensieri attanagliavano la sua mente riportandolo al passato e soprattutto a quel giorno maledetto.
Se solo se ne fosse stato zitto e gli avesse lasciato piena libertà, ora non si troverebbe fuori da un liceo tutto bardato in maniera totalmente anonima attirando gli sguardi curiosi dei passanti.
Chissà cosa stavano pensando... Forse qualcuno lo avrà anche già denunciato alle autorità competenti credendolo un pedofilo o un pazzo maniaco omicida.
Se ne stava per andare e abbandonare la missione, quando la campanella decretò la fine delle lezioni e dopo pochi minuti lo vide scendere le scale, sorridente e mano nella mano con una ragazza.
Bella e graziosa.
Rideva e scherzava con i suoi amici e intanto non lasciava mai quella mano che stringeva stretta temendo potesse andarsene per lasciarlo da solo.
Marinette gettò uno sguardo dalla parte opposta della strada, per puro caso e istinto, rabbrividì quando vide quell'uomo fissarli costantemente.
Distolse gli occhi per puntarli verso Adrien che le sorrideva.
"Stai bene?"
"S-sì... C'è un uomo che ci guarda."
"Quello con l'impermeabile?"
Marinette annuì con il capo senza voltarsi.
"È tutto oggi che è lì" Continuò Adrien.
"Mi fa paura."
"C'è il tuo cavaliere a difenderti..." Ammiccò divertito "... E poi... Se n'è già andato." Disse guardingo.
"E se fosse uno di quei maniaci? Sai, di quelli che si sentono al telegiornale."
Adrien le diede un buffetto sul naso "Non credere a tutto ciò che vedi o senti. E poi, non devi temere nulla."
"Parli bene tu, sei un ragazzo e non devi preoccuparti di niente. Invece noi ragazze indefese dobbiamo sempre guardaci intorno." La recitazione drammatica di Marinette meritava il premio Oscar per la migliore interpretazione.
Adrien sogghignò sotto i baffi e nel frattempo arrivò la sua auto a riaccompagnarlo a casa.
"Tu guardi troppi film."
"I film sono presi dalla realtà." Convenne lei incrociano le braccia, stizzita.
"Non tutti."
"I thriller e quelli da cardiopalma, sì."
La conversazione intavolata era anche interessante, ma il gorilla di Adrien pensò bene di lanciargli un'occhiataccia, fosse stato per lui avrebbe lasciato i due ragazzi liberi di discutere ancora in po', ma il tempo stringeva e già sentiva il signor Agreste fargli la ramanzina per aver riportato a casa suo figlio oltre l'orario consentito.
"Ci vediamo dopo."
Adrien le stampò un tenero bacio a fior di labbra facendola arrossire e alimentando il nervoso in Chloé.
"Chissà che cosa ci trova in quella pasticcera." Disse la biondina in tono sprezzante.
E in ogni caso un'affermazione che non sfuggì a Marinette, ma mentre stava per ribattere qualcosa, vide ancora quell'uomo con l'impermeabile fissarla dietro una quercia.
La corvina deglutì e avanzò il passo verso casa con il cuore tamburellante nel petto.
Aprì la porta di corsa dopo aver fatto cadere la chiavi a terra perché le tremavano le mani.
Chiuse la porta sbattendola, facendo sobbalzare i suoi genitori intenti a consumare il pranzo, senza salutare e ancora con le gambe che stavano per cederle dallo spavento, salì in camera sua e si affacciò alla finestra.
Era ancora lì e sembrava fissarla.
Arretrò di qualche passo e chiuse le tapparelle facendo ricadere il buio, poi per sicurezza serrò con due mandate anche la botola.
Sabine, preoccupata, bussò alla porta di camera sua e Marinette cadde dal letto per lo spavento, quella situazione stava degenerando e diventando imbarazzante...
*
Adrien continuò a guardare fuori dalla finestra di camera sua, teneva l'avambraccio premuto sul vetro e la testa appoggiato ad esso in maniera malinconica.
Era tutta la mattina che si sentì a addosso una strana sensazione di disagio, come se qualcuno osservasse tutte le sue mosse.
E non a caso, quell'uomo misterioso che tanto aveva spaventato Marinette all'uscita della scuola, era stato appostato quasi tutta la mattina, sempre vicino a quell'albero, seduto sulla panchina ad aspettare chissà cosa.
Forse Marinette aveva ragione a credere che quell'uomo fosse una fattispecie di criminale, ma non era questo che attanagliava il suo cuore e la sua mente.
Gli sembrò di conoscerlo, ma non ricordava bene dove lo aveva visto, troppo coperto per riconoscerlo con precisione e dargli così un'identità.
"Ti vedo strano, ragazzo." Mormorò Plagg aleggiandogli attorno.
"Mmmmh..."
"Come non detto..."
"Scusami, Plagg. Che dicevi?"
Adrien si allontanò dalla vetrata per sedersi sul divano ed accendere la TV, era quasi l'ora della partita pomeridiana con Nino.
Voleva la rivincita dopo che il giorno prima Adrien lo aveva stracciato a quel gioco degli zombie.
"Che ti vedo strano." Ribadì il dio della distruzione.
Adrien non fece a tempo a rispondere che dall'altra parte del vetro notò ancora quella figura misteriosa.
Forse Marinette aveva ragione ad essere preoccupata e quell'uomo lo stava inseguendo, era persino arrivato fin casa sua.
Adrien deglutì e lasciò la stanza con il videogioco acceso e Nino dalla parte opposta delle cuffie che gli chiedeva se era collegato e se lo sentiva.
Se quell'uomo era una specie di stalker sarebbe stato meglio avvertire suo padre.
Bussò con insistenza alla porta dello studio e Nathalie l'aprì.
Adrien non aspettò nemmeno un secondo e si fiondò al suo interno con un fulmine, scavalcando la donna.
I capelli arruffati e il fiato corto erano simbolo che qualcosa non andava, ma Gabriel non si scompose minimamente e continuò a disegnare modelli tridimensionali al PC per la nuova collezione.
"Papà!?" Adrien cercò di attirare la sua attenzione "... C'è un uomo appostato fuori casa nostra."
Niente di anomalo, pensò Gabriel.
"Sarà un paparazzo, non devi preoccuparti."
"Mmmmh..." Fece Adrien poco convinto.
"Sono molto occupato, Adrien. Esci di qua, per favore." Disse con la solita compostezza e tranquillità.
"Ma papà... Quell'uomo..."
"Adrien, ti ho dato un ordine preciso, vuoi stare in punizione oggi?"
"N-no." Con la coda tra le gambe, Adrien lasciò la stanza scortato da Nathalie.
"Quell'uomo si trovava fuori dalla scuola oggi." Sussurrò alla segretaria e lei pensò bene di avvisare il suo capo, ovviamente dopo aver controllato insieme le telecamere di sicurezza.
Gabriel osservò quella figura con un'immensa rabbia e rancore, il sangue gli ribolliva nelle vene mentre digrignava i denti in preda all'ira.
Non era la prima volta che si presentava alla sua porta, a volte aveva avuto anche il barbaro coraggio di suonare, peccato che lo stilista non avesse alcuna intenzione di parlargli.
Ma il fatto che fosse andato a scuola di Adrien lo mandò in bestia.
Eppure era stato chiaro: non doveva mai avvicinarsi alla sua famiglia.
Ora aveva oltrepassato il limite e Gabriel era del tutto intenzionato a dirglielo di persona e affrontarlo.
Uscì di casa e scese gli scalini, ma quando arrivò al cancello non lo vide più, quella figura misteriosa era sparita.
Gabriel pensò e sperò per sempre."Signore, se posso... Lo conosce? Non l'ho mai vista così in apprensione."
Il ciuffo platinato dello stilista andò fuori pettinatura donandogli un aspetto un po' più trasandato, ma lo sistemò una volta che vide il suo riflesso sullo schermo del computer.
"È una persona che speravo fosse sparita dalla mia vita molti anni fa..."
"Non si tratterà di..." Nathalie ebbe un sussulto.
"Sì..."
*
Continua