La ragazza entrò in cucina, gli occhi fissi sul cellulare a tastiera.
Mi arrestai con la tazza di caffè pomeridiano in mano, e le voci di mia madre e della sua, nostra ospite, si bloccarono all'unisono.
Non potei fare a meno di notare che non aveva indossato le pantofole di cortesia. Ai piedi aveva delle All Star polverose. Le gambe erano stritolate da un paio di jeans consumati, in contrasto con la felpa bianca sformata, più grande di almeno tre taglie, che cadeva su una spalla lasciando evidente una bretella del reggiseno.
Con i capelli rosa tirati davanti al viso e la testa bassa avanzò rapida, mi evitò, fece mezzo giro del tavolo, in punta di piedi aprì lo sportello di una delle dispense, si mosse svelta, sbirciò nello stipite alla mia destra, dentro mobili alti, si chinò, mormorando tra sé e sé.
Fu un pugno in faccia: era appena arrivata a casa mia e si comportava come se potesse fare qualsiasi cosa. Strinsi la tazza calda e mossi un passo verso di lei e mi ritrovai faccia a faccia col retro del suo maglione. Sopra, disegnato a mano, c'era un grande occhio chiuso dentro a un cerchio e una scritta: 'Y●EL●L'.
Il cuore accelerò e in un attimo la mia testa si vuotò, la stanza iniziò a girare e dovetti aggrapparmi al mobile accanto.
Con tutte le migliaia di ragazzine ottuse, piene di ormoni impazziti per i cantanti, proprio una fan di quel gruppo, doveva capitarmi a casa?
Indietreggiai, i denti afferrarono il mio labbro inferiore e il dolore mi calmò.
Distanza, devo mantenere la distanza.
Aprì un pensile vicino a me: quello degli stracci. «Porca puttana» borbottò.
La donna col maglione grigio che sembrava abbinarsi al tono della pelle, accanto a mia madre, si era limitata a osservarla in silenzio a occhi spalancati.
Chiusi secco lo sportello. La ragazzina si fece indietro.
«Non te l'hanno detto che ci si presenta, in casa altrui?» Mi concentrai sul tono basso della voce e ripresi il controllo.
Tirò indietro qualche ciocca dalla faccia, si guardò intorno come se non mi avesse nemmeno visto.
Appoggiai la tazza sul ripiano «Ehi, sono qui».
Non fece in tempo a girarsi, la madre si allungò verso di lei con impeto e le afferrò il gomito «Jennifer, non ti presenti?»
«Non è Jennifer, mamma! Solo Juno! E lasciami andare. Non voglio stare qui!» Il braccio scattò all'indietro e fu di nuovo libero.
La donna dai capelli color paglia, con un gesto deciso le coprì la spalla, con l'unico risultato di far scendere il collo largo e mettere ancora più in risalto il seno. «E copriti, non vedi che ci sono degli uomini?»
La mano col telefono tremò per un momento e le iridi si mossero frenetiche, lanciò sguardi sfuggenti e sprezzanti verso ogni angolo dell'ambiente, fino a incontrare i miei occhi.
Il panico si trasformò in altro.
Non riuscivo a staccarmi da quel colore verde che mi indagava nell'anima. Una sensazione nuova che camminava lungo le spalle, il collo, lo stomaco. Ebbi l'impressione di udire una musica. O forse era solo il suono del mio battito che correva nelle vene.
Passai una mano tra i capelli e strinsi la mascella finché il sapore del sangue mi invase la bocca.
Cosa mi succede?
Il suo volto mi era familiare. Il viso a cuore, le labbra piene sovrastate da un naso un po' a patata. Nelle foto che ci erano arrivate lo sguardo era annoiato, distratto. Davanti a me aveva un'aria decisa. Indietreggiava, ma era una fiera pronta ad attaccare.
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Pink Sapphire
General Fiction«Anche i tuoi regali devono avere dei nomi complicati. Lo zaffiro però è blu. L'ho visto nei libri». «È uno zaffiro speciale. Si trova solo in India. Invece di essere blu, è rosa. Ma è comunque uno zaffiro». Casa Simmons nasconde un segreto e Juno s...