N.B. Gli errori grammaticali, ripetizioni di parole e modi di dire (anche nella stessa frase) sono fatti apposta per le caratteristiche del personaggio.
«A proposito io sono~»
«Non mi interessa!» Gridai dal mezzo del corridoio.
Mi bloccai per un momento, c'erano tante porte. Una era aperta e con la mia valigia davanti.
Mi ci precipitai dentro, la chiusi a chiave, mi appoggiai al muro e sospirai.
Il tizio con l'aria da "so tutto io" mi voleva dire il suo nome!
Faccia da secchione! Mi stai antipatico!
Mi guardai la mano. Sentivo ancora le sue dita lunghe sulla pelle che mi avevano fatto venire caldo al viso e la sua voce calma nelle orecchie che mi aveva fatto tremare il petto.
Mi aveva ricordato come mi ero sentita dopo il bacio che mi ero data con quel ragazzo dell'ultimo anno che mi trovava carina. Non l'avevo mai detto a Rita.
Strinsi il pugno, non mi importava niente di dov'ero. O di quel biondo che voleva presentarsi.
«Sai cosa m'interessa del tuo nome?» Brontolai, più o meno a nessuno.Quella gente non la conoscevo e non avevamo niente in comune.
Soprattutto io e quel ragazzo strambo e con gli occhiali, che era più grande di me. Vestito con la giacca in tweet, con le pezze sui gomiti e i pantaloni da ufficio.
E quelle labbra con la voce così dolce.
Feci qualche passo avanti, nella stanza la finestra era aperta. Era gennaio, ma c'era ancora la luce del sole che entrava dalla grande finestra, delle tende che volavano al vento, che non era freddo come quello di Seattle.
Era tutto di un bel bianco e nocciola. Sembrava di essere nella foto di una di quelle riviste di case che Rita portava a scuola. Se non ricordavo male, l'arredamento si chiamava Shaggy chic o qualcosa del genere.
Non è certamente la soffitta che dividevo a Seattle con la nonna.
Là, avevo dormito con lei fino all'ultimo giorno della sua vita e aveva sempre puzzato di cavolo e di morto.
Lì, invece, c'era profumo di fiori e lavanderia a gettoni per tutta la stanza. Quelle erano persone ricche, non c'era nemmeno da chiederlo, si vedeva. La donna che c'era in cucina, con i suoi capelli scuri, ordinati e truccata bene, anche lei sembrava una persona con tanti soldi. Curata, come tutta la casa.
Mi avvicinai a una scrivania che sembrava un tavolo da ristorante da venti persone. Forse un po' meno.Presi un biglietto appoggiato sopra che diceva "Benvenuta a Riverview. Qui puoi fare ciò che vuoi".
Certo. Senza nemmeno un amico o qualcuno che conosco.
Al pensiero di dover fare nuovi amici mi tremarono le gambe. Già ne avevo pochi a Seattle perché la nonna non mi permetteva mai di uscire. "Le brave ragazze vanno a scuola e poi stanno a casa a studiare, non escono con i ragazzi, se no diventano delle poco di buono!" Ma a me non piaceva studiare. Era la cosa più noiosa del mondo.
Uscii sul balcone e mi appoggiai alla ringhiera. Sospirai, c'era umido e odore di alberi e terra: mi ricordò le volte che papà mi portava nei parchi di Seattle quando ero più piccola. erano poche e non le ricordavo molto bene.
Guardai per un po' la piscina in giardino che rifletteva i raggi del sole, poi tirai fuori il vecchio Blackberry, o il coso rotto di seconda mano, come lo chamava Rita. Il colore si stava staccando, ci passai sopra un'unghia e un altro pezzettino venne via. Mi sembrò di sentire di nuovo la nonna. "I telefoni servono ai ragazzi per chiamarti a qualsiasi ora!" E non me l'aveva mai comprato.
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Pink Sapphire
General Fiction«Anche i tuoi regali devono avere dei nomi complicati. Lo zaffiro però è blu. L'ho visto nei libri». «È uno zaffiro speciale. Si trova solo in India. Invece di essere blu, è rosa. Ma è comunque uno zaffiro». Casa Simmons nasconde un segreto e Juno s...