Love cards

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Ispirata da un'idea di stardmgvnm

Alla soglia dei trent'anni, la vita di Simone scorre indisturbata e immutabile, giorno dopo giorno. Frequenta le lezioni del master in Calcolo Scientifico alla Sapienza di Roma tutte le mattine dei giorni pari della settimana, le altre invece le impegna ad allenarsi in palestra e a pulire il minuscolo appartamento nel centro storico, di cui va fierissimo e che tiene come una bomboniera. I pomeriggi invece li trascorre lavorando in un'agenzia assicurativa, a qualche centinaio di metri da Piazza del Popolo.

Ha finito da poco il suo turno e sta stringendo la giacca a coprirsi il petto, mentre cammina per la solita strada che lentamente lo condurrà a casa. Simone è un tipo atletico, cammina parecchio e raramente si sposta sulla Vespa bianca, che già da un paio d'anni sostituisce quella vecchia che era solito guidare durante gli anni del liceo.

Roma intorno a lui sta cedendo al tramonto e i colori aranciati di cui si tinge lo fanno sentire accolto. Non è una sensazione che conosce a fondo, forse la vive solo grazie all'abbraccio della sua città. Sono ormai un paio di giorni che il ragazzo sente sempre freddo, non sulla pelle però, che è facile da coprire. Simone sente freddo tra i suoi pensieri, sente freddo nella solitudine di un appartamento troppo pulito e ordinato, perché non è vissuto da nessun altro. Sente il gelo di un paio di morbide lenzuola che lo avvolgono la notte, testimoni di un bel niente da fin troppo tempo.

Sente freddo a Villa Balestra, da quando nonna Virginia non c'è più e suo padre, solo in una casa troppo grande, ha deciso di trasferirsi nel vecchio appartamento in cui viveva la madre prima del suo spostamento alla Villa, durante la sua adolescenza. E adesso, quella casa enorme che lo aveva visto crescere, soffrire e qualche volta anche gioire, veniva aperta solo durante le feste che accoglievano tutta la famiglia allargata, durante i quali Simone continuava a sentire freddo, perché il posto accanto a lui era sempre vuoto o malamente riempito da chiunque.

Aveva le sue soddisfazioni, questo è certo: si era laureato alla triennale e alla magistrale in matematica, entrambe le volte con il massimo dei voti; aveva scritto una tesi sperimentale talmente brillante da beneficiargli un posto come dottorando di ricerca all'università e già da lì era stato assunto dallo studio in cui lavorava.

Viveva allo stesso tempo delle mancanze forti: la nonna, sua complice, venuta a mancare già da qualche anno; il gemello, la cui assenza doleva nella vita di Simone come un arto fantasma; la madre a Glasgow a cercare sé stessa dopo la lunga depressione; l'incapacità di innamorarsi a renderlo spesso solo.

Il freddo pungente al collo lo ridesta da quello che sente sottopelle e si accorge che il vento gli ha sfilato la sciarpa, che vola sui sanpietrini di Piazza del Popolo e che dovrà disinfettare una volta a casa. Nel movimento che compie per afferrare il tessuto da terra, si accorge che di fronte a lui, a qualche decina di metri, un piccolo cerchio di persone ha interrotto il suo cammino per radunarsi intorno a qualcosa. O per meglio dire, intorno a qualcuno che con abili mani lasciate scorrere su tasti neri e bianchi, riempie l'aria della piazza con melodie armoniose. Non riesce a vedere chi sia l'artefice della sonata, ma si bea di quel suono che in un qualsiasi pomeriggio romano, riesce a scaldargli un po' i pensieri. E riesce a respirare a fondo, riesce ad uscire per qualche istante da quella routine cesellata in cui si è incastrato. Non importa che sia solo per stare ad ascoltare un pianista qualunque suonare una musica che non conosce, l'importante è il lieve sorriso che si dipinge sul suo viso.
Quasi non si accorge che la musica si è fermata e la piccola folla, un po' accresciuta, sta applaudendo alla musica e al suo musicista.
Simone non si unisce, intenzionato a continuare il suo cammino verso casa, ma quando un piccolo gruppo si sposta e gli permette di vedere la persona seduta ad ammaliarli, si blocca e il fiato si spezza ancora.
Accade in un modo tutto nuovo, autentico: il respiro si rompe, ma il cuore batte all'impazzata, le mani sudano e il freddo non ha più importanza. Di fronte a lui un ragazzo, inconsapevole di cosa stia generando tra i pensieri di questo sconosciuto, si passa la mano tra i ricci scuri, probabilmente per toglierne alcuni che, ribelli, gli cadono sugli occhi. Non riesce a vederne il colore, ma Simone può affermare con certezza che quel ragazzo ha uno sguardo che brilla, anche da lontano. Il viso è contornato da una leggera barbetta, il corpo coperto da una felpa grigio scuro di almeno due taglie più grande, con una scritta bianca sulla schiena e un paio di jeans larghi e strappati. Si alza un attimo dalla sua seduta -il pianista-, fa un piccolo sorriso di ringraziamento alla folla e si risiede, ricominciando a muovere le dita su quella tastiera che gli permette, in pochissimi istanti, di possedere tutto intorno a lui. Ogni sguardo è catturato, quello di Simone sicuramente più degli altri. Dura qualche attimo quell'incantesimo, poi Simone torna un po' nelle sue solite vesti e, un passo dopo l'altro, arriva nel suo appartamento. Un pezzetto della sua attenzione però resta su ogni tasto nero di quello strumento incantatore.

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