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Strinsi a me la vecchia pagina di giornale giallastra, rileggendo ancora ed ancora la stessa riga sottolineata in rosso fuoco, che sovrastava l'intero articolo.

"Amelia Evans, 49 anni, trovata morta sotto il faro della città di Astoria, suicidio tentato verso le 3:30 della notte, secondo gli esperti la giovane donna ha...".

Sentì le mie guance inumidirsi, solo dopo mi accorsi delle fredde lacrime che iniziavano a solcare il mio viso come fiumi sul punto di inondare.

In quella sala deserta si sentivano solamente i miei singhiozzi soffocati dal pianto, sentì il corpo farsi debole, e come se d'un tratto avessi perso tutte le forze nei muscoli, caddi in ginocchio, contorcendomi a terra tenendo stretto al petto l'ultima cosa su cui avrei potuto leggere il nome di mia madre, un giornale, un maledettissimo giornale.

***

Era mattina presto, il sole giocava a nascondino dietro i monti, e che a poco a poco si riusciva ad intravedere mentre tingeva il cielo di colori caldi e leggeri come il vento.

Presi una calda sciarpa color beige e uscì di casa, da dove fino a poco tempo fa ci abitavo con mio padre, dove fino a poco tempo fa trascorrevo le giornate a dipingere o suonare il violino durante i tramonti mentre la delicata brezza accarezzava i miei capelli scuri.

Sfilai le chiavi della macchina nera dalle tasche di tessuto, mentre il veicolo era ancora parcheggiato nel retro del giardino di casa.

Aprì la portiera ed entrai in macchina, per poi metterla in moto e partire.

Il paesaggio fuori dal finestrino si mischiava in una scia verdastra e marroncina mentre guidavo per le piccole strade e i stretti e vecchi vicoli che percorrevano il paesino.

Arrivai davanti ad un'imponente edificio di una tonalità di giallo spento e scolorito, con i balconcini a vecchio stile che fuoriuscivano dalla struttura.

<<Buongiorno signorina Wright!>>.
Mi salutò con un gentile sorriso la segreteria dell'ospedale psichiatrico.

<<Buongiorno Lorenta>>.
Ricambiai il saluto, cercando di sforzare un sorriso più socievole possibile, nonostante la voglia di esserlo era pari o anche minore a 0.

Nel corridoio che si distingueva per quella tonalità di azzurro ciano e l'odore di medicinali mischiati con la menta, passavano vari dottori con la cuffietta in testa e la mascherina che copriva metà viso.

<<Mi scusi>>.
Dissi, fermando una signora che camminava tranquilla sfogliando dei fogli di documenti.

<<Ti serve aiuto cara?>>.
Chiese lei sorridendo cordialmente ed inclinando leggermente la testa di lato.

<<Volevo chiedere se era possibile ora fare una visita a Rubert Wright>>.

<<Rubert Wright..?>>.
Borbottò lei distinguendo lo sguardo da me e gettandolo sulla pila di fogli, che poi iniziò a leggere pazientemente uno ad uno.

<<Eccolo..! Allora... il signor Wright può accedere a visite dalle 4:00 del pomeriggio.. mi dispiace cara, ma ora non è proprio possibile, può provare a tornare un po' più tardi però>>.
Disse lei.

<<Oh.. va bene, grazie>>.
Sorrisi ancora, e poi mi avviai verso l'uscita dell'ospedale, salendo in macchina e tornando a casa.

***

Finì di preparare lo zaino con tutto il necessario; vestiti, acqua e cibo e via così..
Scesi dalla scalinata a chiocciola e caricai lo zaino in macchina, pronta per partire.

Astoria... La città Natale di mamma, la città in qui io stessa ero nata ma mai cresciuta, la città dove mia mamma aveva trascorso il suo ultimo atto, quello in qui aveva preso l'ultimo respiro e l'ultimo sguardo al mondo che la circondava.

Lì sarei andata ora.

-Ma forse non da sola-

Ecco che da lontano intravedevo le figure slanciate delle mie due migliori amiche.

La prima dalla carnagione color cioccolato al latte, dai folti capelli ricci e scuri che le ricadevano ribelli sul viso, e gli occhi color nocciola: Ruby.

E poi Sarah, dai capelli ramati e mossine gli occhi verdi smeraldo.

<<Ragazze..! Ma che ci fate qui?>>.

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