"Per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio e occhi bendati
Su un cielo girato di spalle, la pazienza, casa nostra, il contatto
Il tuo conforto ha a che fare con
me"mercoledì 10 gennaio 2024, stadio Olimpico di Roma
-Cambio Roma: esce il numero cinquantanove, Nicola Zalewski, ed entra il numero trentasette, Leonardo Spinazzola- la voce metallica e tonante dello speaker spezzò i nervi tesi della bolgia dello stadio Olimpico, in quell'infuocato derby di coppa.
Non appena udì il suo nome, Nicola si piegò sulle gambe, sconsolato. Fu solo un istante, in cui però rivide tutta la partita: stop buoni, ripartenze buone, ma non un cross che avesse anche solo vagamente impensierito la difesa biancoceleste. Nell'animo si sentiva ancora un numero dieci, ma erano ormai tre anni che giocava da terzino. E un terzino non può non saper crossare. La sua partita era stata un fallimento, l'ennesimo di quella stagione, almeno da un punto di vista individuale. Contro la Lazio, poi. Quanto li odiava, quei giocatori, quell'allenatore, quei tifosi, se così potevano essere chiamati un mucchio di tristi provinciali che non riuscivano a riempire lo Stadio neanche nelle partite di Champions. Per loro sembravano contare solo i derby; e sebbene Nicola non avrebbe mai e poi mai scambiato i suo tifosi, le notti europee, il suo mister e soprattutto i suoi compagni per quella che veniva pomposamente definita "la prima squadra di Roma" (perché giusto alla data di fondazione potevano appigliarsi – pensava Nicola - per essere superiori a noi in qualcosa), talvolta desiderava avere più fortuna nei derby, più caparbietà, più cattiveria e voglia di vincere.
E ogni volta pensava di aver approcciato la partita nel modo giusto, e non era mai così. Gli mancava vincere, anzi, trionfare, i derby in primavera, e segnare, anche, in quelle occasioni.
Vide Lorenzo avvicinarsi a lui e posargli delicatamente una mano sul braccio. Il ragazzo si riscosse, sollevò il busto e si avviò verso il bordo del campo, dove Leonardo, assieme a Sardar Azmoun, saltava sul posto per scaldarsi.
Mentre camminava quei pochi metri che lo separavano dalla panchina, si girò verso la curva sud e nonostante tutto, riuscì a sorridere. Alcuni compagni gli fecero un cenno, ma Nicola cercò lo sguardo solo di uno di loro. Come sempre, lo trovò. Da dodici anni, ormai, tra loro funzionava così: ogni volta che Nicola lo cercava, anche solo con lo sguardo, lui c'era, pronto a confortarlo anche solo con un sorriso. E fu così che accadde anche quella volta.
Edoardo si liberò dal difensore laziale che, anche a palla ferma, gli stava addosso, per fare un piccolo passo in direzione di Nicola, incastrò i loro sguardi, e gli sorrise. Un sorriso lieve, appena accennato ma ampiamente giustificato dalle circostanze, che però bastò a fare uscire l'altro dal campo più sereno.
Il mister gli diede una veloce pacca sulla spalla che in tutta onestà non pensava affatto di meritare, prese la giacca che Valerio gli porgeva e si sedette, lasciandosi cadere sul primo posto libero a disposizione, sbuffando per la frustrazione. Razionalmente, non poteva dare ad Huijsen la colpa dello svantaggio, un rigore (tra l'altro anche abbastanza generoso) non era la fine del mondo, ma era impensabile non aver fatto nemmeno un tiro in porta.
Continuò a guardare la partita, soffrendo due volte: da giocatore e da tifoso, il che era ancora peggio.
L'unico conforto che aveva era il guardare Edoardo, quel "Bove" a lettere gialle sopra il numero cinquantadue che si muoveva per tutto il campo, lottando su ogni pallone, incapace di accettare la sconfitta. Nicola l'aveva sempre ammirato per questo. Edoardo aveva una voglia che gli altri non avevano, e soprattutto la caparbietà nel migliorarsi laddove sapeva di avere lacune. Certe volte non gli sembrava vero che stessero entrambi in prima squadra, che giocassero titolari insieme dopo tutti quegli anni passati nella primavera giallorossa l'uno al fianco dell'altro. L'avevano ricordato prima che iniziasse la partita, l'ultimo derby vinto in primavera per quattro a zero. Un gol l'aveva segnato Edoardo, due Nicola. Nicola aveva ricordi confusi dei festeggiamenti di quella vittoria, che li aveva portati alla finale scudetto, l'unica cosa che rammentava perfettamente era la corsa che Edoardo, sostituito a dieci minuti dalla fine, aveva spiccato verso di lui al fischio finale, saltandogli addosso travolgendolo con la sua euforia. Nicola ricordava di averlo stretto a sé, di avergli passato le mani fra i capelli sudati, di aver appoggiato la testa nell'incavo del suo collo ed essere rimasto lì per qualche secondo. Edoardo si era limitato a cingergli i fianchi, ripetendogli come un mantra "Abbiamo vinto, li abbiamo fatti neri, abbiamo vinto, abbiamo anche segnato" con la sua solita adrenalina post vittoria che Nicola aveva sempre amato. Sebbene all'epoca ancora in primavera, Edoardo era il prototipo del calciatore con il giusto atteggiamento: testardo, serio e voglioso di vincere in campo, tranquillo e allegro fuori.
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il conforto || Nicola Zalewski x Edoardo Bove
Фанфикoneshot scritta di getto in tre sere subito dopo il derby di coppa arrabbiata nera per cercare di tirarmi su loro si amano ma l'atmosfera come potrete immaginare non è delle migliori (almeno all'inizio) se siete laziali girate alla larga 🐁 boyxboy