Capitolo 1

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1 – Anime gemelle
I Sumeri la chiamavano Inanna, “la Signora del cielo”, o altresì
Inanna “la Splendente”, mentre ai Babilonesi piaceva chiamarla
Istar, “la dea della guerra e dell’amore”. Questi titoli, finché li faceva valere, erano per lei fonte inesauribile di vigoria, delegata il
più delle volte ad alimentare la sua ben conosciuta autostima vanesia. Così, solitamente, appena sveglia si dilettava a ripercorrere
le sue glorie. Ma a un certo punto, quel giorno, ebbe un sobbalzo.
Sentì bussare alla porta della sua stanza e una voce a seguire disse: «Mia signora?».
Inanna capì subito dal tono che era la cameriera, per quanto
fosse affezionata a lei si irritò oltremodo perché si era permessa
di venire a disturbarla quando si era appena svegliata, e disse:
«Sarath, ho condiviso con te molte delle mie peripezie più intime, ma come osi disturbare la fase REM regale della grande dea
Istar, devo riportare alla tua memoria che ho devastato villaggi
per molto meno?».
Allorché la cameriera replicò: «Ma piantala un po’, non è che ti
stai montando un po’ la testa? E poi sono le 9 di sera e sono venuta solo per avvertirti che il tuo uomo è qui!» Poi Sarath, andandosene, pensò tra sé: “Poverino, che il suo fato gliela dia buona se la
mia signora continuerà così!”.
Istar, appena verificò di essere sola, si riprese dall’ira funesta ar-
ricciandosi i suoi capelli dorati con le dita, anche se alla loro vista
bofonchiò: «Accidenti…». Il suo era un atteggiamento da ragazzina. A tutti erano noti i suoi modi infantili, ma erano solo una
parvenza per rimanere ancora per un po’ nel nido protettivo dei
genitori. In realtà la sua intelligenza e intraprendenza erano riuscite a farla promuovere come una delle comandanti supreme
della nuova patria, la Terra. “L’unica materia divina in cui vado
male è la capacità di rigenerazione cellulare, proprio quella in cui
una come me dovrebbe andare meglio!”. Per un attimo la memoria le portò all’attenzione un ricordo del passato, il giorno della
sua promozione, il giorno nel quale ci sarebbe stato il passaggio
da reggente a regina. Sia ben chiaro, non fu una catastrofe, ma il
suo stizzo era stato dato dall’ultima prova, dove doveva domare “il drago infernale”. In quel frangente, a causa delle elevate
temperature, aveva quasi perso tutti i capelli e ci misero un po’
a ricrescere. Poi per un lasso di tempo interminabile, mentre ricrescevano, Istar dovette indossare una parrucca esageratamente
vaporosa, non scelta da lei ma dai suoi genitori per la consuetudine del tempo, e questo era motivo di scherno durante gli incontri
con le sue amiche.
Ritornata al presente, si alzò e mentre si dirigeva verso il bagno
per prepararsi pensò a tutti i pretendenti che avevano bussato
alla sua porta e a come li aveva respinti perché li riteneva dei bifolchi senza cultura. Tra questi per rozzaggine spiccava Ercules,
da lei soprannominato Eraclito o a piacere Eracleto per via del
suo ripetere a pappagallo quello che lei diceva quando cadeva,
come tutti d’altro canto, sotto l’effetto del suo inoppugnabile fascino e della bellezza femminile. Solo uno riusciva ad attrarla rimanendo se stesso, solo lui, il bel Dumuzi. Anche se all’inizio era
apparso come gli altri, causando diverse liti, con il tempo avevano imparato a conoscersi: lei, con il suo acume e la sua femminilità, è come se gli avesse fatto vedere i colori dell’arcobaleno e le
varie sfumature che si potevano creare, mentre lui, in un sol colpo, con la sua sincerità disarmante e la sua profondità d’animo,
era riuscito a farle vedere il colore del sole, che anche se uno solo
è padre e madre di tutti gli altri. È come se si fosse accorta, da un
giorno all’altro, che senza di lui mancasse qualcosa di essenziale,
lei era la scintilla che lo accendeva, che lo stimolava, ma lui era
il fuoco primordiale occulto, elemento base della vita. Quindi sì,
dopo innumerevoli ma indegni candidati che la corteggiavano
solo per la sua bellezza e il prestigio, o la gloria maschile che ne
seguiva a stare con una delle future comandanti di Duat e di
tutto il regno del nord, aveva finalmente trovato un’anima affine
alla sua.
Poco prima di aver finito di mettersi gli unguenti, Istar sentii un
ticchettio alla finestra: “sarà lui” si disse. Quindi si diresse verso
di essa e, quando la aprì, vide il suo uomo. Il suo viso arrossì e
udì: «Ciao Inna Star, scendi che facciamo tardi per lo spettacolo?
Asmodai, il mio amico regista che lo ha allestito, dice che se ci
sbrighiamo riesce a tenerci due posti in prima fila… Ma come
mai sei tutta rossa? Hai appena fatto la doccia? Eheheh… lo sai
che sei gnocca?».
Ok, tutta l’onda d’affetto verso di lui che aveva cavalcato poco
prima si era frantumata in un battibaleno e l’aveva scaraventata
con le sue insinuazioni contro degli scogli a suo dire abitati da
rivoltanti trichechi mutaforma. «Maiale bifolco! E come ti sei vestito? E cos’è quella… roba… con la scritta yank… yanke che?!?»
disse Istar.
Dumuzi rispose: «Si dice yankee!! Comunque non capisco perché
ti adiri tanto, perché un giorno credo dalle mie previsioni si userà
questo gergo per dire che sei molto bella!».
Udendo quelle parole, Inanna pensò che si stava rimettendo in
carreggiata, ma su un’altra cosa doveva proprio ancora ribattere:
«Cambiati almeno! Sei figlio di un dio! Vèstiti come tale e non
con stracci come fanno le nostre creature minori! E poi smettila
di chiamarmi Inna Star, io mi chiamo Istar!».
Al che Dumuzi, per evitare di rovinare la serata a causa di altri
atteggiamenti iracondi da parte di Inanna, usò una strategia molto consolidata, una strategia che gli era stata tramandata in gran
segreto direttamente da suo padre, il grande Enki, comandante
supremo della classe dei creatori e che lui a sua volta aveva imparato da suo padre e questi dal padre di suo padre… e ancora!
La strategia in questione, infallibile a suo dire e che nel 99% dei
casi portava a una clamorosa vittoria se l’avversario fosse stato
di sesso femminile, era questa: innanzi tutto si cominciava con
l’arcuazione del muscolo massetere e del buccinatore creando con
le labbra leggermente aperte una mezza luna, poi in simultanea
si alzava la mano con un cenno di saluto e come ultima cosa, ma
non meno importante, dire quattro ardue semplici parole: «Sì, hai
completamente ragione!».
Udendo quelle parole, Inanna riuscì a placare completamente la
sua esacerbazione, quindi andò a finire di prepararsi senza pensare di scatenare un’altra lite: data l’arsura della stagione estiva
decise di infilarsi un vestito bianco di pizzo con temi floreali e
una piccola sartia in canapa a livello della vita, in fronte si mise
una coroncina d’argento incastonata con smeraldi, lasciando i
lunghi capelli sciolti dietro la schiena, che erano diventati morbidi come seta dopo aver fatto il bagno nel latte di capra. Invece
come indumento per i piedi indossò dei calzari con i lacci che
risalivano dal piede fino a poco sotto il ginocchio come se fossero delle rampicanti. Era pronta, vestita e agghindata uscì dalla
sua stanza e mentre scendeva le scale ripensò a tutto il periodo
passato assieme a Dumuzi e, con un sorriso in volto che la fece
arrossire, si chiese se quella era la volta buona in cui lui si sarebbe deciso a fare il passo successivo, quello che tra una coppia,
anche fra dei, è il sesso femminile a volerlo per primo: il matri-
monio. Le basi c’erano, però ogni volta che lei provava a trattare
il discorso lui dichiarava che avvicinarsi così tanto a una persona con il rischio di poterla ferire poteva con il tempo privarlo
della sua natura istintiva, la quale, vissuta nel giusto modo, era
necessaria per capire il tutto e connettersi con esso, un po’ come
aveva previsto sarebbe successo a Enkidu, l’amico del futuro re di
Uruk, Gilgamesh. Lei, che all’inizio si era infuriata ritenendo per
quanto forbita una scusa bella e buona, ci rifletté sopra e capì che
Dumuzi non aveva tutti i torti, perciò decise per un po’ di non
tornare sul discorso. Ma quella, da come si presentava, era una
serata speciale. Il programma era di vedere uno spettacolo delle
cronache divine e dei primi passi per colonizzare la Terra e creare
l’uomo, poi in sella a un cammello fare un giro lungo le rive del
Nilo al chiaro di luna, un classico a quei tempi. Il suo intuito diceva che se Dumuzi che era stato sempre imprevedibile nelle sue
mosse amorose aveva scelto per il classico, forse era un segnale di
buon auspicio.
Appena scesa dalle scale che sfociavano nel soggiorno inferiore
del palazzo salutò i suoi genitori Nannar e Ningal, i quali promuovevano ben volentieri la sua relazione con il figlio di Enki.
A fine spettacolo Inanna aveva l’umore alle stelle, si era divertita ed emozionata tantissimo anche perché, dato il suo carattere,
amava le cose epiche e chiese a Dumuzi: «Il tuo amico Asmodai è
veramente bravo! Come l’hai conosciuto?».
E lui ribatté: «È vero, Inna Star, è molto intraprendente! Pensa che
ha allestito tutto questo per far colpo su mia sorella».
Inanna, stupita, disse: «Chi? Vorrai dire quell’acida di Drako?
Proprio lei che è talmente acida che mi chiedo se beve ogni mattina per fare colazione la limonata con il sale».
«Scusa?» chiese lui con un piccolo sogghigno come segno di aver
intuito dove Istar voleva andare a parare.
Lei rispose: «Beh sì, dai, sai che il sale in grosse quantità fa riten-
zione idrica, il limone è acido… perciò ha l’acidità in circolo per
tutta la giornata! È l’unica spiegazione…».
Appena udito la sua risposta Dummi, come a lei piaceva chiamarlo a volte, disse: «È vero, pensa che io e i miei fratelli l’abbiamo anche avvertito ma non c’è stato niente da fare, l’amore ha
colpito ancora, ormai è troppo tardi».
Facendo altre battute sulla sorella di Dumuzi e sul coraggio da
leone di Asmodai nel corteggiarla, Dummi e Inanna si avviarono
verso un lido di terra lungo il corso del Nilo dove si trovava legato
a una palma, con una corda, un cammello di grosse dimensioni che cominciò a blaterare appena vide la giovane coppia avvicinarsi. Mentre si apprestava a slegarlo Dumuzi notò per terra
vicino alle zampe dell’animale una pietra particolare di fattezze
stupende, perciò decise di donarla alla sua amata.
«Tieni Inna Star un dono per te, dimmi se ti piace» disse lui.
E lei rispose con voce velata, tanto incantevole che sembrava che
a ogni parola emanasse bollicine frizzanti di un vapore acqueo
tiepido, capace di aprirti tutti i pori della pelle e purificarti da
ogni tensione accumulata e dando alla mente una lucidità luminescente. «Ma questa è una rosa dei venti!», disse Inanna, «È bellissima! Grazie di cuore».
Dopo di ciò lo bacio con leggerezza sulla guancia mentre rimaneva stupita del regalo, ma lo rimase ancora di più quando lui
aggiunse: «Sembrerebbe che abbia in tutto 8 petali, l’8 – se non
erro – rappresenta visto da un’altra prospettiva il simbolo dell’infinito, infinito… come le sfaccettature della vita che grazie a te ho
imparato a vedere e come l’amore che mi sai dare ogni giorno,
Inna Star…». Quelle ultime parole, «infinito come l’amore che tu
mi sai dare ogni giorno», Inanna le aveva sentite dire da tanti, ma
mai in un modo che risuonava così sincero in tutto il suo corpo
ed ebbero l’effetto di farla scoppiare in lacrime di felicità, cosa che
nella sua lunga vita come divinità le era successo solo per il dolo-
re come dea della guerra e mai di gioia come dea dell’amore, per
ciò con una carica emotiva strabordante sentì il coraggio di porgli
una domanda che però lo colse alla sprovvista: «Dummi…».
«Sì… Inna Star…?» bisbigliò lui e lei, che all’inizio si sarebbe indispettita di nuovo per il fatto che lui continuasse a chiamarla ancora con quel nomignolo, passò oltre fremendo dalla voglia di sapere come gli avrebbe risposto alla domanda che stava per porgli.
«… Tu sai cosa sono le anime gemelle? E se sì, pensi che noi due
lo siamo?» Mentre Dumuzi arricciò il naso e cominciò a bofonchiare, come suo peculiare segno di profonda riflessione, allo scopo di trovare una risposta soddisfacente ma che principalmente
evitasse di scontrarsi di nuovo con la ormai conosciuta da tutti
pazienza indocile di Inanna, lei porse lo sguardo sul dorso del
cammello intravedendo qualche cosa di strano; appena realizzò
cos’era, premiò Dumuzi con un bello stampo color bordò a forma
di mano sulla sua guancia, che aveva l’effetto collaterale di creare
irritazione per diverse ore a seguire, e poi disse: «Brutto screanzato! Il tuo cammello è pieno di zecche! E io dovrei salire su una
cosa del genere?».
Lui in sua difesa, seppure inutile, rispose: «Scusa Inna Star, ti
posso spiegare, mi avevano garantito che mi avrebbero dato il miglior cammello in circolazione, sano e forte, e quando l’ho lasciato
qui non era in queste condizioni, scusami ancora Inna Star!».
Ma lei, abbassando il tono di una impercettibile modulazione,
disse: «E smettila di chiamarmi Inna Star! Io mi chiamo Istar!
Mettitelo bene in zucca, hai capito riccioli d’oro?».
Dumuzi, sentendo l’ultima parola affettuosa, capii che Inanna
non era realmente arrabbiata, ma che stava aspettando qualcosa
da lui da diverso tempo e a causa di ciò era diventata parecchio
irascibile, o meglio più del solito, e disse per placarla: «Inna Star,
io ti chiamo così perché nella tua completezza per me tu sei l’inno
delle stelle e sei anche come l’argento lunare…».
Commossa, Inanna fece lo sforzo di calmarsi e chiese: «Cioè?».
E lui: «Cioè, è come se da quando ci conosciamo un fiume in piena di intuizione divina grande come il Nilo mi percorresse nelle
vene facendomi vedere il tutto con una mente più aperta… Sei
insostituibile per me».
Lei scoppiò in lacrime e a fatica pronunciò il suo nome, Dumuzi, e
aggiunse: «Anche io devo dirti una cosa: anche tu sei insostituibile per me, è come se tu mi tenessi i piedi per terra e mi impedissi
di impazzire con le mie visioni o complessi, ma quella terra su
cui appoggio i piedi non è arida o semplice terra, è come se con te
camminassi su un pianeta intero d’oro splendente!».
Fatte le loro confessioni, suggellarono il loro amore con un lungo
ed effuso bacio, poi il giovane dio pastore chiese alla sua lei con
voce pacata: «Inna Star, volendomi per quello che sono, vuoi tu
sposarmi?».
Era stato diretto e non ci aveva girato attorno come suo solito, e
Inanna, essendo restata con il dubbio tutta la serata se lui avrebbe
fatto o meno quella mossa, fu presa alla sprovvista ma reagì esattamente come aveva fantasticato tutto il tempo nell’ultimo periodo: appoggiò il palmo della sua mano sinistra dietro la nuca del
suo dio e con l’altra gli accarezzò il viso, poi, dopo un attimo di
sguardi appassionati tra loro, si diedero un altro bacio che sembrò durare una eternità, eterno proprio come era stato confessato
fosse l’amore tra i due amanti.
Tornando alla festa che si trovava presso una immensa oasi in
mezzo al deserto, ricca di palme di datteri e noci di cocco a rendere prospero il posto, i futuri sposi diedero la notizia alle loro famiglie, poi Dumuzi portò Istar a casa sua in sella a un cavallo con
il manto di colore nero che gli aveva dato il suo amico Asmodai
e appena arrivati lo lasciò nel suo maneggio dicendo che voleva
tornare a piedi e godersi con calma il panorama egiziano sulla via
del ritorno, quindi la baciò sulla fronte sotto il chiaro di luna che,
con la sua luce, donava un’atmosfera surreale e lei ricambiò con
una effusione leonina in segno di affetto. Ma poi, mentre si accingeva a lasciarla e a incamminarsi per tornare nella sua abitazione,
Dumuzi fu colpito da un’ombra indistinguibile che scomparve
nell’istante che cadde accasciato a terra. Inanna appena sentì le
sue urla corse in suo soccorso ma ormai era troppo tardi e la sua
ferita aveva causato una disgregazione molecolare inarrestabile
e cosa più grave, che Inanna usando la vista animica notò, che
anche l’anima di Dumuzi stava andando incontro alla stessa fine,
quindi lui, consapevole di ciò, usò le sue ultime forze per rispondere alla domanda che lei gli aveva fatto prima: «Inna Star…».
La pronuncia di quelle poche parole, per quanto importanti per
lui, gli causarono un’accelerata distruzione del corpo e dei neutrini che componevano la sua anima, ma lui si fece forza per dire le
sue ultime parole: «Inna Star…».
E lei, con le lacrime agli occhi, rispose: «No, no, non ti sforzare,
conserva le energie mentre io vado a chiamare soccorso…».
«No aspetta, voglio rispondere alla tua domanda che mi hai fatto
prima… couf…»
Lei, che si sentiva svenire per il dolore emotivo lacerante, disse:
«Quale domanda?».
Dumuzi rispose: «Quelle delle anime gemelle… sai cosa sono per
me? Io credo che siano anime che sono state create nello stesso
periodo e incarnate nello stesso periodo proprio come noi, e che
servino l’uno all’altro per compiere l’ultimo passo per capire e diventare come l’assoluto e realizzare nella totalità del concetto divino tutto è possibile. Però non so se noi lo siamo veramente, ma
so che, se ti ricorderai sempre chi siamo stati l’uno per l’altra, un
giorno, anche se non sembra, forse ci rincontreremo e coroneremo insieme il più grande sogno di amore divino, quindi abbi fede
e sii forte. Addio… che non è mai un vero addio, Inna Star…».
«Addio, amor mio.»

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