IX. Le ultime volte (non bussano alla porta) - Parte 1

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          «Che cosa volete da me?»

Ricciardi deve sforzarsi, per non far uscire la voce in un ringhio nel rivolgersi all'uomo di fronte a lui. "Falco", a quanto dice, un nome che lo descrive in ogni movenza da rapace e probabilmente scelto per una qualche pretesa di fierezza. Lo vede abbozzare un sorrisetto.

«Suvvia, commissario,» scuote la testa, «credo che conosciate benissimo almeno uno dei motivi per cui ci troviamo obbligati a redarguirvi. Gli altri potete immaginarli senza sforzo, o non vi sareste scelto questo lavoro.»

Lui serra la mandibola a quel tono di sufficienza, odiosamente mellifluo. Non sa se si trova già oltre il punto in cui il modo in cui si pone verso la polizia segreta possa fare una qualche differenza, ma ingabbia l'ira e la rinchiude a doppia mandata. Almeno, ci prova, ma la sente ribollire nelle vene.

«Illuminatemi comunque,» dice, col disprezzo che si insinua nelle sue parole. Teme in cuor suo la risposta. «Evidentemente, dev'essermi sfuggito qualche indizio.»

Uno smuovere di vesti dietro di lui e il guizzo di un'ombra sul muro gli indica che uno degli agenti alle sue spalle si è mosso, forse aizzato dalla sua risposta poco deferente. Falco compie un impercettibile cenno col capo, il collo da avvoltoio che si inclina appena. Il fruscio si arresta. Ricciardi fa scattare le pupille da lui all'ombra dell'altro uomo, ora immobile.

Sembrerebbero volerlo incolume, o l'avrebbero già arrestato seduta stante senza troppe cerimonie, come a volte vede accadere per strada. Gente prelevata a forza, tra manganellate e urla, e gettata scalciante in automobili dirette verso luoghi di non ritorno.

Com'era accaduto a Bruno; ma non ci pensa, non adesso.

«Commissario, siete appena uscito dal postribolo di un femminiello.» Falco pronuncia quell'ultima parola calcandola con particolare enfasi, arricciando il naso. «Non ritengo di dovermi spiegare meglio.»

Ricciardi comprime a forza le labbra, frenando la risposta istintiva che vi sale: non può esporre Bambinella, anche se forse sanno già che è un informatore della polizia. In quel caso sanno anche che lui non lo rivelerà, privandosi dunque dell'unica difesa che possiede.

Tace, mordendosi l'interno della guancia.

«Potremmo anche archiviarlo come un deprecabile momento di debolezza,» continua Falco, «se le vostre inclinazioni deviate non fossero risultate lampanti anche in altre sedi.»

«Queste ridicole chiacchiere da salotto sono sufficienti a scomodare l'OVRA?» commenta Ricciardi, le mani compresse nelle tasche, sfoderando un mezzo ghigno di scherno. «Speravo aveste faccende più urgenti a cui pensare della mia vita privata, per il bene della patria.»

L'uomo sospira in modo affettato, in una mendace ammissione di colpa.

«Ammetto che, ai nostri occhi, le vostre assidue scappatelle col dottor Modo, o chi per lui, non siano di particolare rilievo.»

Fa una piccola pausa, osservandolo alla chiara ricerca di un cedimento che Ricciardi non è disposto a mostrare, anche se gli si chiude il petto a riccio. Non ci pensa, a Bruno; non ora, e non pensa a quando lo hanno arrestato e il suo volto era a malapena riconoscibile oltre lo strato di sangue e lividi, ai respiri stentati per le costole rotte–

«Ciò che è rilevante, invece, è la vostra altra inclinazione prediletta, ovvero tentare mettere in imbarazzo degli stimati membri del Partito con le vostre indagini poco ortodosse.»

«Io sto unicamente svolgendo il mio lavoro.»

«Voi state prendendo iniziative personali affatto condivisibili,» lo contraddice Falco, la voce d'un tratto secca, quasi un latrato. «Iniziative che faranno meglio a vedere una pronta fine, visto che il Partito, con voi, è stato già sin troppo clemente in passato, così come col dottor Modo. Ricambiare il favore sarebbe un atto di dovuta cortesia, non trovate?»

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