Capitolo 9

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La sala era vuota pertanto non fu difficile notare il loro arrivo, 

quando varcarono la soglia dell’entrata principale. Il portone che 

la fondava era stato ricostruito con un materiale metallico a memoria cellulare e pochi avevano libero accesso all’area.

Come loro solito l’agente Smith e il signor Brown erano abbigliati 

con un consueto completo nero, cravatta del medesimo colore e 

camicia bianca. Oltre a ciò, dei classici occhiali a goccia venivano 

indossati dagli agenti dall’aura spettrale, come se una forma animica aliena possedesse i loro corpi. Ma a Narzabaev, questo non 

gli era dato sapere. Il più delle volte erano loro a impartire ordini 

al presidente, ed egli, per paura di incorrere in guai che non sapeva gestire, li eseguiva senza fare obiezioni. 

«L’avete trovata?» chiese Narzabaev con tono suppergiù irrequieto.  «Ovviamente» rispose l’agente Smith in maniera liberatoria ma 

repleta di cinismo. «Questo però doveva essere compito suo… 

Immagino cosa le farebbero i nostri capi se venissero a sapere che 

ha fallito nell’intento.»

Al che Narzabaev, su di giri, per calmarsi bevve altri due bicchie-

ri di cognac. Quegli esseri avevano sempre avuto una energia annichilante, e a stento si riusciva a resistergli per propria volontà, 

seppur ferrea. Le nuance dell’alcol gli servivano ad alleggerirsi. 

Poi l’agente Smith aggiunse: «Ovviamente si può ovviare il problema se lei manterrà la promessa fatta a noi».

«Certo, farò il possibile» rispose tremando Narzabaev.

«Perché si agita?» intervenne il signor Brown. «Sa bene che è me-

glio seguire i nostri ordini, piuttosto che quelli “dell’alto piano”.» 

«Lo so ma è difficile ai tempi d’oggi trovare corpi con anime mer-

curiali e poi, quando le troverete, non pensate che la scintilla 

astrale che creerà li metterà in allarme?» 

Irritato dalle troppe domande l’agente Smith si avvicinò al tavolo 

dove era seduto Narzabaev. Si sedette davanti a lui e si tolse gli 

occhiali. I loro volti rendevano manifesta la tendenza d’odio di 

essi verso gli umani. Dietro le gradazioni di eloquente ossequio, 

si adombravano macchie di insalubre malignità. Come in un qua-

dro di Dorian Gray, l’invecchiamento non intaccava i loro corpi, 

tuttavia a causa delle loro azioni deprecabili venivano lisi dall’in-

terno. E questo Narzabaev lo notò chiaramente. Quando la rotta 

del campo visivo dei presenti al tavolo si incrociò, la situazione 

divenne cartesiana. Ambedue le parti avrebbero avuto bisogno 

l’una dell’altra. 

Dopo un attimo nel quale il signor Smith credette di non potersi 

servire più del presidente per raggiungere i suoi intendimenti, 

si dovette ricredere. Passato il silenzio chiarificatore disse: «Noi 

abbiamo quello di cui aveva bisogno, ora sta a lei…»

Ma il signor Brown, notando l’orario, interruppe il suo collega: 

«Signore, è quasi ora». 

Allorché Smith, rivolgendosi sempre Narzabaev, «Abbiamo un 

accordo?». La sua era una domanda retorica e il suo interlocutore 

l’aveva capito. 

«Sì, abbiamo un accordo.»

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