Capitolo 13

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«Che succede amico mio? Ti vedo un po’ scombussolato» disse 

digrignando i denti un uomo con il volto coriaceo e cupo a capo 

della tavola. Aveva la voce profonda e scandiva le parole con tempi salaci ma allungati, priva di ogni sentimento umano. Con la 

mano destra abbrancava un boccale di legno incastonato di rubini e pietre preziose e con dentro un liquido rossastro dall’odore 

acre. Se non fosse stato per la paura, Narzabaev gli avrebbe chiesto se quello che stava sorseggiando, come tutti i presenti, era 

sangue. A ogni incontro si faceva trovare sul tavolo, come anche 

in quella occasione, una brocca chiusa con un tappo di sughero 

elaborata su base di motivi ornamentali aztechi. Un giorno Smith 

gli disse che era fonte del loro nutrimento primario e che non 

doveva fare domande in questione, pertanto si limitò a un saluto 

con la mano, non privo di riverenza e timore. L’uomo che con 

l’altra giocherellava con una moneta dal conio romano fece altrettanto, sfoggiando per un attimo un sorriso saccente. Il suo senso 

di superiorità e la sua postura regale superava quello degli altri e 

fece supporre a Narzabaev che fosse lui a comandare, quindi per 

lui era oggetto di maggior preoccupazione. Anche se voleva fare 

in fretta e andare dalla sua famiglia, da sua moglie Sara capace 

di riportarlo con il suo candore in una dimensione di luce e non 

quella avernale nella quale era capitombolato per forza maggiore, 

dovette mantenere i nervi saldi per non spazientirlo con qualsiasi azione inidonea. Una mossa falsa sarebbe costata la vita a lui e ai 

suoi cari. 

La riunione cominciò, in totale erano in tredici escluse le guardie, 

che rimasero fuori la porta della stanza. Per un attimo ancora ci 

fu chi guardava in maniera sinistra il presidente, erano spazientiti, attendevano informazioni. Tutti erano seduti attorno un tavolo 

a goccia fatto di un materiale metallico e con il banco superiore 

di ossidiana. 

A cominciare fu il capo che si trovava a capotavola, appena finì 

di gustare il suo pasto. Si pulì la bocca con un tovagliolo di pizzo di colore bianco, ormai chiazzato dal liquido che conteneva il 

boccale. Fu diretto: «Sei riuscito nella missione che ti avevamo 

assegnato, Narzabaev? Sai l’importanza di riaverla a nostro fianco, vero? E poi la recente scoperta che abbiamo fatto su di lei se 

non sappiamo sfruttarla cambierà radicalmente gli eventi, perciò, 

dacci buone notizie…». I suoi modi non implicavano una risposta 

negativa 

«Certo, l’abbiamo trovata, attualmente Liluth si trova al Cairo 

e…» 

Il presidente dello stato del Kazakistan, generalmente solerte e 

con la parola pronta, prese una pausa per prendere fiato e bere un 

bicchiere d’acqua. La tensione era alle stelle. Non per quello che 

doveva dire ma perché lo sguardo dei presenti, tra i quali c’erano anche ufficiali e tenenti di gruppi militari privati, erano tutti 

su di lui, creando una morsa di spine dalla quale non riusciva a 

liberarsene. I loro occhi, dal riflesso rossastro, gli comunicavano 

un voluto bailamme delle cose e un senso di follia che li alienava 

dagli affetti umani. La loro intenzione era quella di soggiogare 

l’umanità per trarne profitto, senza pensare alle conseguenze di 

esseri che a loro dire erano distintamente inferiori. Non doveva 

dimostrare troppa sottomissione da fargli credere che fosse una 

persona sciatta, ma per non provocarli con atteggiamenti indi-

sposti, Narzabaev prese le distanze anche lui dai suoi sentimenti, 

ormai prossimi al tramestio più totale. 

Riprendendo fiato pensò alle sue prossime parole con ponderanza assoluta, e aggiunse: «… se suo figlio è veramente quello che 

pensiamo. Non credete che anche “gli altri” lo stiano cercando?». 

Era stato diretto anche lui, ma nonostante ciò si ripromise di restare composto, la sua preoccupazione ebbe la meglio. Comunque 

mantenne una punta di rispetto che non poteva, e non doveva, 

per il suo bene, mancare. Trovando il modo di avere uno sprazzo 

di sangue freddo, scaricando la tensione con un leggero picchiettìo del piede sotto il tavolo, si apprestava a riprendere a parlare 

ma fu subito troncato da un generale, che gli rispose con un velo 

austero. Aveva solo in parvenza 60 anni e una capigliatura sistematica e dei baffi alla major a ornare il viso, avente zigomi evidenziati e una struttura facciale rettangolare. 

«Ha ragione, se suo figlio è veramente quello che crediamo, molto 

probabilmente “gli altri” lo cercheranno. E se anche loro l’hanno 

trovato e lo raggiungono per primi le sorti della guerra con quella 

fazione, ora in stallo, muteranno drasticamente. Dobbiamo intervenire al più presto.» Un cenno di beneplacito venne dal capo, il 

cui sguardo non si era distolto da Narzabaev. Continuando a giocare con la moneta comunicò con gli sguardi la sua decisione agli 

altri membri nella stanza, poi disse: «Se suo figlio è veramente 

quello che pensiamo, cioè l’Anticristo, potrebbe essere la nostra 

condanna o la nostra arma risolutiva. Quindi per cui le nostre 

prossime azioni d’ora in avanti dovranno essere inopinate. Mandate subito delle truppe a prelevarli». 

Narzabaev si rassegnò all’orizzonte degli eventi che si era creato. Ciò di cui il mondo, da tempi immemori, aveva paura, si 

stava lentamente attuando. La sua anima non aveva pace. Lui, 

uomo dai grandi valori, ormai sapeva della menzogna delle religioni per sottomettere le masse, ma fino a pochi anni prima non aveva creduto che mai le storie che si raccontavano sugli 

illuminati si sarebbero calettate con la sua vita. Credeva con il 

suo operato di aver seminato bene e, così facendo, aver la strada 

spianata verso il paradiso. Ma l’orizzonte che aveva innanzi era 

tutt’altro che roseo, l’orizzonte che aveva davanti non era quello 

della sua anima.

L'orizzonte Dell'anima - Gli Specchi Della Divinità Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora