Capitolo 14

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I raggi del sole lambirono il viso di Astrid. Era ormai mezzogiorno. L’unico motivo che la fece alzare dal letto era perché avevano 

appena suonato al campanello. Erano gli imbianchini e gli elettricisti che dovevano fare le rifiniture interne della sua abitazione. 

Da un anno si era trasferita a Los Angeles con suo padre, prima 

che scomparisse, e gli aveva lasciato da completare la costruzione 

della loro nuova casa, un modello zen di colore bianco e marrone 

tortilla. Amante della tecnologia ecologica, suo padre l’aveva fatta progettare in modo tale che sfruttasse al massimo gli apporti 

solari diurni. Situata sulla collina di Hollywood, al suo esterno 

c’era un giardino di 30 metri quadrati che comprendeva una piscina suntuosa con vista su tutta “la città degli angeli”, dentro la 

quale Astrid era solita trovarsi con animo sognatore, per leggere 

qualche libro durante le brezze del tramonto. La piscina era costruita con piastrelle blu cobalto che, con il loro colore, rendevano 

oceanici i giochi di luce dell’acqua. A seguire, un fiumicello collegato che risaliva, tramite percorso convesso, il giardino, passando 

sotto il pergolato in legno della facciata posteriore, per poi finire 

in una cascata con scivolo all’interno della casa. Le rifiniture da 

completare erano le pareti della sala con il suo impianto elettrico 

e lo studio del padre. Da quando c’era più, Astrid non aveva avuto il coraggio di entrare nella stanza.

Persa ancora negli ultimi pensieri interiori, passarono diversi 

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minuti prima che la giovane ragazza, frizzante e sognatrice, trovasse l’energia quel giorno per andare ad aprire la porta. La sua 

voglia di alzarsi e dirigersi di sotto era pari a quella di un bradipo 

maratoneta durante le corse clandestine con qualsiasi mammifero a quattro zampe. Cioè non esisteva “l’entità bradipea” che 

le desse lo “sprint” di muoversi rispettando i suoi tempi, come 

non era contemplata nella mente di Astrid la volontà di indossare 

anche un solo cencio di vestito. Era estate inoltrata e a lei piaceva restare con solo la biancheria intima quando rimaneva a casa. 

La forza e lo spirito che dovette tirare fuori per convincersi di 

cambiarsi fu atlantidea, come se la sua voglia di leggerezza fosse 

minacciata dal peso di un pianeta appena si infilava un abito presentabile. Scesa con solo addosso una t-shirt da basket rubata al 

suo ex, prima di lasciarsi tre mesi prima, si diresse verso la porta. 

Arrivata, l’aprì a rilento e rispose in tempi e modi uguali alla sua 

serie preferita che era solita guardare su Youtube: I Soliti Idioti. La 

stanchezza la faceva da padrona. 

«Eccomi eccomi… dicaaaaa???» Un lungo sbadiglio andò a seguire. Il fiato sapeva ancora di gelato al puffo che mangiava ogni sera 

per cena. Ne andava ghiotta e la tirava su nei momenti di sconforto per la mancanza di un punto di riferimento. 

«Ehm… siamo i tecnici…» Tre uomini panciuti e trasandati, in 

tutto e per tutto, erano presenti. Astrid ci rimase male per il loro 

aspetto. Già era stata traumatizzata dal risveglio brusco, almeno 

sperava in una bella vista che le facesse compagnia mentre era a 

casa. Uno indossava una divisa bianca integrata da due bretelle, 

era l’imbianchino suppose. Gli altri due avevano dei pantaloncini 

blu e una maglietta bianca con un logo non chiaro. Appena svegliata, aveva ancora la vista offuscata.

«Saremmo venuti per gli ultimi ritocchi alla casa, e poi volevamo 

sapere… ehm… signorina, si sente bene?

«bn! bn!» di riflesso bilioso rispose. Si era addormentata in piedi, 

appoggiando la mano sinistra alla maniglia della porta dell’entrata. «Dicaaaaa???» 

«Ehm, ci scusi… dicevo, siamo venuti per dare gli ultimi ritocchi 

alla casa.» 

«Certo certo…» Astrid stava per riaddormentarsi, le ci voleva più 

di due ore per prendere il ritmo e la fase rem le fece ripetere frasi 

di film come quelli della maratona della sera scorsa. «Ce l’avete 

tolto… sniff… ce l’avete rubato…» 

«Cosa le abbiamo rubato, signorina?» 

«Ehm, nulla… dicaaaa???» 

«Ascolti», disse l’imbianchino, «noi vorremmo solo fare il nostro 

lavoro… Se ci lascia le chiavi, visto che ci sarà un po’ di via-vai, 

poi potrà tornare a dormire, sembra che ne abbia bisogno». 

«Le chiavi dice? Aspetti un attimo e sono subbitttooo da lei.» Astrid 

chiuse in modo brusco la porta. 

Gli operai attesero un’altra ora. Non volevano perdersi l’unico 

incarico che avevano, in quel periodo d’estate, anche se faceva 

caldo, era solito piovere. Trovare lavoro era quindi diventato arduo. Poi si chiesero se era il caso di andare a prendere un caffè 

mentre aspettavano che ricomparisse con le chiavi, supponendo 

che la ragazza si fosse addormentata di nuovo. Sarebbero tornati 

più tardi. Quando Astrid si ripresentò vestita con un indumento 

di lino con temi floreali e dei sandali di Gucci neri con il logo dorato, i tecnici e l’imbianchino erano già andati via. Restò per un 

attimo sbigottita, non accorgendosi del tempo che ci aveva messo. 

Poi, facendo mente locale, decise in un cambio di programma: 

«Va boh, vorrà dire che per passare il tempo uscirò per un po’».

Decidendo quindi di fare colazione fuori, lasciò un biglietto di 

avviso con scritto che sarebbe tornata presto. Nel caso fossero 

tornati. Prese le chiavi della sua Jaguar F-Type, accese la radio e 

partì.

L'orizzonte Dell'anima - Gli Specchi Della Divinità Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora