I raggi del sole lambirono il viso di Astrid. Era ormai mezzogiorno. L’unico motivo che la fece alzare dal letto era perché avevano
appena suonato al campanello. Erano gli imbianchini e gli elettricisti che dovevano fare le rifiniture interne della sua abitazione.
Da un anno si era trasferita a Los Angeles con suo padre, prima
che scomparisse, e gli aveva lasciato da completare la costruzione
della loro nuova casa, un modello zen di colore bianco e marrone
tortilla. Amante della tecnologia ecologica, suo padre l’aveva fatta progettare in modo tale che sfruttasse al massimo gli apporti
solari diurni. Situata sulla collina di Hollywood, al suo esterno
c’era un giardino di 30 metri quadrati che comprendeva una piscina suntuosa con vista su tutta “la città degli angeli”, dentro la
quale Astrid era solita trovarsi con animo sognatore, per leggere
qualche libro durante le brezze del tramonto. La piscina era costruita con piastrelle blu cobalto che, con il loro colore, rendevano
oceanici i giochi di luce dell’acqua. A seguire, un fiumicello collegato che risaliva, tramite percorso convesso, il giardino, passando
sotto il pergolato in legno della facciata posteriore, per poi finire
in una cascata con scivolo all’interno della casa. Le rifiniture da
completare erano le pareti della sala con il suo impianto elettrico
e lo studio del padre. Da quando c’era più, Astrid non aveva avuto il coraggio di entrare nella stanza.
Persa ancora negli ultimi pensieri interiori, passarono diversi
54
minuti prima che la giovane ragazza, frizzante e sognatrice, trovasse l’energia quel giorno per andare ad aprire la porta. La sua
voglia di alzarsi e dirigersi di sotto era pari a quella di un bradipo
maratoneta durante le corse clandestine con qualsiasi mammifero a quattro zampe. Cioè non esisteva “l’entità bradipea” che
le desse lo “sprint” di muoversi rispettando i suoi tempi, come
non era contemplata nella mente di Astrid la volontà di indossare
anche un solo cencio di vestito. Era estate inoltrata e a lei piaceva restare con solo la biancheria intima quando rimaneva a casa.
La forza e lo spirito che dovette tirare fuori per convincersi di
cambiarsi fu atlantidea, come se la sua voglia di leggerezza fosse
minacciata dal peso di un pianeta appena si infilava un abito presentabile. Scesa con solo addosso una t-shirt da basket rubata al
suo ex, prima di lasciarsi tre mesi prima, si diresse verso la porta.
Arrivata, l’aprì a rilento e rispose in tempi e modi uguali alla sua
serie preferita che era solita guardare su Youtube: I Soliti Idioti. La
stanchezza la faceva da padrona.
«Eccomi eccomi… dicaaaaa???» Un lungo sbadiglio andò a seguire. Il fiato sapeva ancora di gelato al puffo che mangiava ogni sera
per cena. Ne andava ghiotta e la tirava su nei momenti di sconforto per la mancanza di un punto di riferimento.
«Ehm… siamo i tecnici…» Tre uomini panciuti e trasandati, in
tutto e per tutto, erano presenti. Astrid ci rimase male per il loro
aspetto. Già era stata traumatizzata dal risveglio brusco, almeno
sperava in una bella vista che le facesse compagnia mentre era a
casa. Uno indossava una divisa bianca integrata da due bretelle,
era l’imbianchino suppose. Gli altri due avevano dei pantaloncini
blu e una maglietta bianca con un logo non chiaro. Appena svegliata, aveva ancora la vista offuscata.
«Saremmo venuti per gli ultimi ritocchi alla casa, e poi volevamo
sapere… ehm… signorina, si sente bene?
«bn! bn!» di riflesso bilioso rispose. Si era addormentata in piedi,
appoggiando la mano sinistra alla maniglia della porta dell’entrata. «Dicaaaaa???»
«Ehm, ci scusi… dicevo, siamo venuti per dare gli ultimi ritocchi
alla casa.»
«Certo certo…» Astrid stava per riaddormentarsi, le ci voleva più
di due ore per prendere il ritmo e la fase rem le fece ripetere frasi
di film come quelli della maratona della sera scorsa. «Ce l’avete
tolto… sniff… ce l’avete rubato…»
«Cosa le abbiamo rubato, signorina?»
«Ehm, nulla… dicaaaa???»
«Ascolti», disse l’imbianchino, «noi vorremmo solo fare il nostro
lavoro… Se ci lascia le chiavi, visto che ci sarà un po’ di via-vai,
poi potrà tornare a dormire, sembra che ne abbia bisogno».
«Le chiavi dice? Aspetti un attimo e sono subbitttooo da lei.» Astrid
chiuse in modo brusco la porta.
Gli operai attesero un’altra ora. Non volevano perdersi l’unico
incarico che avevano, in quel periodo d’estate, anche se faceva
caldo, era solito piovere. Trovare lavoro era quindi diventato arduo. Poi si chiesero se era il caso di andare a prendere un caffè
mentre aspettavano che ricomparisse con le chiavi, supponendo
che la ragazza si fosse addormentata di nuovo. Sarebbero tornati
più tardi. Quando Astrid si ripresentò vestita con un indumento
di lino con temi floreali e dei sandali di Gucci neri con il logo dorato, i tecnici e l’imbianchino erano già andati via. Restò per un
attimo sbigottita, non accorgendosi del tempo che ci aveva messo.
Poi, facendo mente locale, decise in un cambio di programma:
«Va boh, vorrà dire che per passare il tempo uscirò per un po’».
Decidendo quindi di fare colazione fuori, lasciò un biglietto di
avviso con scritto che sarebbe tornata presto. Nel caso fossero
tornati. Prese le chiavi della sua Jaguar F-Type, accese la radio e
partì.
STAI LEGGENDO
L'orizzonte Dell'anima - Gli Specchi Della Divinità
FantasíaNelle antiche tavolette sumere ritrovate dagli archeologi si narra che più di 300.000 anni fa, il Dio Enki, propose all'assemblea degli Dei Anunnaki di "marchiare" l'Homo Erectus con l'impronta degli Dei per accellerarne l'evoluzione; ma aveva cosci...