CAPITOLO UNO

15.7K 446 26
                                    

Sono seduta al tavolino di un bar a sorseggiare una tazza di caffè nero bollente e senza zucchero. Avevo bisogno di una pausa, un po' di tempo per riflettere su tutti i cambiamenti che ho dovuto affrontare in così poco tempo; sono ancora molto confusa anche se felice. È successo tutto qualche mese fa, subito dopo la laurea, quando il mio relatore ha deciso di inviare la mia tesi al famoso regista Mark Collins. Da quel momento, tutto è cambiato così velocemente da non darmi il tempo di capirci qualcosa: Collins ha visionato il mio progetto e, contro ogni mia previsione in cui credevo che al massimo mi avrebbe ignorata, mi ha scelta come aiuto regista per il suo ultimo film. Non posso ancora crederci ma è tutto vero: mi sono trasferita da sola, qui nella Grande Mela, e sto per affrontare la mia prima esperienza lavorativa nel mondo del cinema. Sorseggio ancora il mio caffè mentre i pensieri non riescono a fermarsi nemmeno per un'istante: valuto il mio presente, immagino un ipotetico futuro e poi cado nella malinconia ripensando alla mia famiglia e a quanto mi manchino mia madre e mio padre. So bene che sono stati proprio loro a insistere perché io cogliessi al volo questa grande opportunità, e sapere che sono felici e orgogliosi di me, mi rincuora. Sospiro e guardo al di là delle grandi vetrate del bar: la gente qui corre come se non avesse mai tempo, parlano tutti al cellulare indossando auricolari e non si guardano nemmeno in faccia; anche Londra è caotica ma non fino a questo punto. Metto giù la tazza di caffè ormai vuota sul tavolino, quando un altro ricordo mi innervosisce: Geoffrey. Geoffrey è stato il mio primo e unico fidanzato, il mio primo tutto: il primo bacio, la prima volta, il primo viaggio senza i miei genitori, i primi drink e, cosa più importante, il primo amore. Non avrei mai creduto che potesse tradirmi; anche se la cosa peggiore è stata che lo ha fatto con la mia migliore amica, il classico cliché da romanzo rosa, solo che io l'ho vissuto sulla mia pelle e ha fatto maledettamente male. Mi alzo e vado a pagare il caffè, prima che il ricordo di quello stronzo mi rovini del tutto la giornata. Mi incammino verso l'appartamento che i miei genitori mi hanno regalato dopo la laurea per agevolarmi nel nuovo lavoro. Quando mi hanno parlato della loro intenzione di acquistare un appartamento in un quartiere residenziale di Manhattan, ho provato a oppormi in tutti i modi, per evitare che investissero tutti quei soldi per me, ma non hanno voluto sentire ragioni. Li amo, sono i genitori più affettuosi del mondo e riversano su di me, la loro unica figlia, tutto il loro amore. Sono entrambi medici: mamma è un chirurgo estetico mentre papà è il primario di chirurgia ortopedica dell'ospedale dove opera. Il lavoro, spesso, ha tenuto entrambi lontano da casa ma questo non ha mai influito sulla qualità del tempo che mi hanno dedicato. Non ricordo di aver mai sentito delle mancanze, sono stati sempre presenti nei traguardi importanti della mia vita e mi sono sempre sentita al sicuro. Sono una ragazza davvero fortunata. E ora eccomi qui, a passeggiare per le strade affollate di questa metropoli, dove mi sento un puntino in mezzo a milioni di puntini, a fare i conti con la mia nuova vita, iniziata da appena due settimane che però sembrano essere già due mesi. Collins mi ha mostrato lo script del nuovo film, ispirato a un bellissimo romanzo rosa che sta spopolando in questo periodo, e gli ho subito proposto delle mie idee in merito che gli sono piaciute. Questa sua reazione mi ha davvero stupita, lo credevo un tipo sulle sue, geloso del suo lavoro e rigido, e invece è tutto l'opposto: con lui mi sento a mio agio e sono felice di potermi esprimere liberamente e dare il mio contributo. Intanto, giusto domani inizieremo le audizioni per i protagonisti e abbiamo deciso di comune accordo che sceglieremo dei volti nuovi, niente di già visto. Mentre penso a che giornata mi aspetta, mi ritrovo davanti al mio palazzo, uno di quelli che si vedono nei film americani con il tendone verde che copre il marciapiede antistante l'entrata. Entro e mi avvio verso l'ascensore, il mio appartamento si trova al sesto piano; il portiere, Fred, si tocca il cappello per salutarmi e io ricambio con un grande sorriso. Mi appoggio a una colonna portante della hall e armeggio con il mio cellulare, passando da un social all'altro, mentre aspetto che l'ascensore arrivi, quando mi si affianca un uomo molto distinto con i capelli brizzolati. Lascio perdere il cellulare, rimettendolo in tasca, e mi volto verso di lui sorridendo educatamente visto che, tra l'altro, mi sta osservando. «Buonasera, non mi sembra di averla mai vista prima... è una nuova inquilina del palazzo?» mi chiede d'improvviso. Il tono è pacato e i modi gentili. Mi fissa ancora, aspettando una risposta, mentre infila le mani nelle tasche del suo abito scuro, di sicuro cucito su misura, mostrando così un paio di gemelli sbrilluccicanti. «Si, sono qui da sole due settimane» rispondo, porgendo la mano per presentarmi «Madison Butler, piacere di conoscerla». Sfila la mano dalla tasca prendendo la mia ma, al posto di stringerla, se la porta a filo di labbra mentre continua a fissarmi. «David Stenson, piacere mio signorina Butler». Alza un sopracciglio mentre pronuncia quelle parole con una calma serafica e io osservo il suo viso spigoloso e i suoi occhi color ghiaccio. Mi lascia la mano per rimettere la sua nella tasca dei pantaloni e chiede ancora: «Il suo mi sembra un accento inglese, o forse mi sbaglio?». «No, non si sbaglia signor Stenson, sono di Londra». Gli sorrido un po' imbarazzata ma noto con piacere il fatto di trovarlo simpatico, mi ricorda mio padre. Avrà sui cinquant'anni ma portati benissimo e i suoi modi sono davvero d'altri tempi. Veniamo interrotti dal tintinnio dell'ascensore e, non appena si aprono le porte, non faccio in tempo a entrare che una bionda ossigenata quasi mi travolge mentre esce furiosa. «Sei uno stronzo! Non voglio vederti mai più, vai dalla tua amica Sandy» urla, per poi voltarsi verso l'uscita della hall. Cammina veloce sculettando mentre i suoi tacchi dodici, sicuramente Louboutin vista l'inconfondibile suola rossa, ticchettano sul pavimento di marmo lucido. Esce ignorando completamente Fred che, con molta gentilezza, le ha aperto la porta, anche se a me sarebbe tanto piaciuto vederla sbattere con la faccia contro i vetri. Alzo le spalle insoddisfatta e mi rendo conto che Fred è buono mentre io sono una stronza. Entro in ascensore, ignorando completamente l'altro uomo contro il quale urlava la bionda, e mi sporgo per premere il numero del mio piano; poi mi giro verso il Signor Stenson e chiedo: «A che piano?». «Terzo, signorina Butler» risponde sorridendo. «E lei?» chiedo cordialmente verso lo "stronzo" che, senza rispondermi e senza nemmeno guardarmi in faccia, alza la mano verso la tastiera dell'ascensore e indica l'ultimo piano. Quindi è stato lui a rubarmi l'attico! Io amo i piani alti ma non posso lamentarmi visto che, essendo un regalo dei miei, l'appartamento avrebbe potuto trovarsi anche in uno scantinato e mi sarebbe andato bene lo stesso. Mi appoggio a una parete dell'ascensore, lo "stronzo" è di fianco a me: indossa una semplice tuta grigia e una t-shirt bianca, che mette in risalto le sue braccia possenti, e mi accorgo, abbassando lo sguardo, che è a piedi scalzi; forse era sceso solo per accompagnare la sua ultima conquista. Inizio a immaginare un'ipotetica scena dentro l'ascensore: lui la bacia con passione e la chiama Sandy, magari la sua scopata della sera prima, innescando la sua ira. Abbasso il viso e mi trattengo, non vorrei passare per pazza scoppiando a ridere da sola all'improvviso. Vengo distratta dal bip di arrivo al terzo piano: il signor Stenson si avvicina di nuovo a me e, come prima, mi prende una mano per portarsela alle labbra. «Ci vediamo in giro signorina Butler» dice, facendomi l'occhiolino. «Arrivederci Signor Stenson, è stato un piacere conoscerla» sorrido e arrossisco appena, è molto affascinante. Le porte davanti a me si chiudono e osservo lo sconosciuto, che alza il capo e si volta dalla mia parte. Rimango spiazzata, i suoi occhi sono di un grigio intenso, due pozzi di ferro fuso che farebbero cadere in ginocchio chiunque, mentre i suoi capelli sono castani tendenti al biondo e disordinati: ogni tanto gli ricade sul viso qualche ciocca ribelle, che puntualmente riporta all'indietro con la mano. Dal suo modo di fare, di porsi, si capisce che è consapevole di essere affascinante e ci gioca pure: sono sicura che sa come far cadere ai suoi piedi una donna. Alzo gli occhi per vedere a che piano siamo e, per mia fortuna, è il quinto; ancora pochi attimi e sarò nel mio appartamento con una sigaretta e un bicchiere di vino, a scorrere sull'iPad i nomi di tutti i candidati di domani. Riporto lo sguardo sull'uomo che divide con me l'ascensore: è un bell'uomo, senza ombra di dubbio, ma sembra che cambi donne come cambia le mutande; quindi meglio stare alla larga da persone così, un altro Geoffrey nella mia vita non lo voglio. L'ascensore si ferma al mio piano e, scostandomi dalla parete, mi volto verso lo sconosciuto e sfoggio uno dei miei migliori sorrisi da stronza, non resisto devo dire qualcosa. «Dovresti chiamarle tutte tesoro, così non sbagli di sicuro» dico, uscendo dall'ascensore e dandogli le spalle. Lui mi risponde un attimo prima che le porte si chiudano: «Certo tesoro, terrò a mente il tuo consiglio». Sorrido, anche se non può vedermi, mentre infilo le chiavi nella serratura e spalanco la porta, dove ad accogliermi c'è la vista del ponte di Brooklyn illuminato a giorno. Mi dirigo verso la mia camera per cambiarmi e opto subito per dei pantaloni da jogging neri e una canotta; siamo in autunno e qui a New York, con i riscaldamenti accesi, non fa molto freddo ma prendo comunque il maglione rosa che mi ha regalato mia madre, visto che voglio fumare una sigaretta in terrazza. Sistemati i lunghi capelli neri in una coda alta, decido di concedermi un momento di relax ed esco fuori, sdraiandomi subito su una delle poltroncine che ho comprato qualche giorno fa. Appoggio il mio calice di vino rosso e le sigarette sul tavolino in vetro di fronte a me ma, proprio in quell'istante, il mio cellulare squilla. Guardo il display senza voglia di rispondere e spalanco gli occhi, drizzandomi subito sulla poltroncina: è Collins. «Signor Collins» rispondo con un tono super professionale. «Madison quante volte ti ho detto di chiamarmi Mark! Ho solo 38 anni, non farmi sentire più vecchio di quello che sono» esclama scherzando. "Hai 38 anni e sei maledettamente divino" vorrei urlare, ma non posso. «Mark... ok, scusami» rispondo, prendendo il calice e facendo un sorso. «Meglio, molto meglio. Allora, scusa se ti disturbo, ma volevo informarti che domani ci saranno anche i pezzi grossi». Percepisco dal tono della sua voce una leggera preoccupazione. «Cioè i produttori?» chiedo con tono apprensivo. «Sì, quelli che pagano me e te, staranno con noi tutta la giornata per vedere come procede e capire se stanno spendendo bene i loro soldi». «Tranquillo, stiamo facendo un bel lavoro» lo rassicuro, convinta di quello che dico. Sono una ragazza molto positiva e sicura di me, non ho mai avuto paura di sbagliare e non ho mai messo le mani avanti in nessuna situazione. «Brava ragazza, è così che ti voglio. Ok, a domani e buona serata». Lo sento più tranquillo e rilassato, sono felice.
«A domani Mark» lo saluto e, chiudendo la chiamata, poggio il cellulare sul tavolino. Finisco di bere il mio bicchiere di vino e rientro per preparare la cena, quando l'immagine dello sconosciuto mi torna in mente all'improvviso e il desiderio di conoscere il suo nome mi travolge. «Il suo nome?» dico ad alta voce, parlando a me stessa. Cosa diavolo mi passa per la mente? Non devo avere niente a che fare con lui. Anche se... una notte bollente e poi un a-non-risentirci-mai-più non sarebbe male. Magari potrei fargli capire cosa si prova a essere usati e poi gettati via. * Mi sveglio di soprassalto con Adam Levine che canta Animals, è la mia sveglia. Mi alzo dal letto e mi dirigo in bagno barcollando, sono ancora assonnata ma devo riprendermi perché, come ha detto Mark, ci saranno i pezzi grossi oggi e devo essere al cento per cento. Mi libero della canotta e dei pantaloncini, mi lego i capelli in uno chignon e mi butto sotto il getto di acqua calda. Una volta finita la doccia, mi avvolgo in un grande telo di morbido cotone e mi infilo nella cabina armadio. Scorrendo con lo sguardo tutti i miei vestiti, ricordo di quando mi lamentavo con mia madre di non avere nulla da mettermi, nonostante il mio guardaroba avrebbe potuto vestire tutte le ragazze di Londra. Mi sciolgo i capelli che ricadono sulle spalle e passo una mano sul viso nel tentativo di allontanare la malinconia. Scelgo un pantalone elasticizzato nero, una camicetta bianca con il colletto nero e prendo le mie décolleté, sempre nere, tacco 10. Dopo essermi data una sistemata ai capelli per renderli più voluminosi, opto per un trucco leggero ma senza dimenticare una passata di rossetto rosso. Esco dal bagno, prendo al volo il cappotto e la borsa, passo per la cucina per bere un sorso d'acqua ed esco finalmente di casa, chiudendo a chiave la porta dietro di me. Mentre aspetto l'ascensore, mando un messaggio a mia madre per avvertirla che va tutto bene e che ci sentiremo quando si sarà svegliata. Le porte si aprono, alzo gli occhi rimettendo in borsa il cellulare e lo vedo: lo sconosciuto è di fronte a me. Sono imbarazzata, sorrido ed entro in ascensore, non potendo fare a meno di notare quanto sia diverso rispetto alla sera prima con indosso un completo elegante nero e una camicia bianca. Premo il pulsante del piano terra senza dire nulla, quando lui mi sorprende. «Buongiorno». La sua voce è roca e sexy, mi provoca un brivido dietro la schiena. «Buongiorno anche a lei» rispondo, voltandomi verso di lui e sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi. Poi, cerco in borsa i miei occhiali neri e me li infilo subito. La discesa verso la hall del palazzo sembra infinita e, nonostante io stia evitando in tutti i modi di incrociare il suo sguardo, percepisco i suoi occhi color metallo fissi su di me. Il bip dell'ascensore mi salva, abbasso gli occhiali, lo guardo sorridendo di nuovo e lo saluto con un formale "arrivederci". Non attendo la sua risposta, esco a passo veloce e saluto Fred che, gentilmente, mi apre il portone. Non appena sono fuori il palazzo, la luce del sole m'inonda e mi sento carica di energia per affrontare la mia giornata. Entro in macchina ma, poco prima di mettere in moto, vedo lo sconosciuto entrare in una Bentley con autista privato e la curiosità di sapere di più su di lui cresce. Scuoto il capo per liberarmi da quei pensieri e mi immergo nel traffico mentre continuo a guardare l'ora sul quadro dell'auto preoccupata di fare tardi, anche se sono partita con largo anticipo. Accendo la radio per distrarmi e ascolto I Lived dei One Republic, una canzone che amo e che ritengo abbia qualcosa di magico; inizio a canticchiare seguendo Ryan Tedder: "Hope when you take that jump, you don't fear the fall. Hope when the water rises, you built a wall. Hope when the crowd screams, they're screaming your name. Hope if everybody runs, you choose to stay" Tra una canzone e un'altra, dopo quasi un'ora, riesco ad arrivare alla sede scelta per le audizioni persino con qualche minuto di anticipo; parcheggio nel mio posto riservato di fianco all'auto di Mark, che scommetto sarà qui già dalle prime ore dell'alba, e mi dirigo all'interno dell'edificio. Non appena entro in ufficio, vedo subito Collins andare avanti e indietro per la stanza mentre urla al telefono. Mi avvicino piano senza disturbarlo, ma lui si volta verso di me e io alzo la mano per accennare un saluto, non mi piace ascoltare ascoltare le conversazioni altrui, a meno che non senta il mio nome. «Marissa ci vediamo dopo a casa» dice, chiudendo la chiamata e rimettendo il telefono in tasca. «Buongiorno» dico incerta mentre lo vedo che cerca di nascondere il suo evidente nervosismo con un sorriso «tutto bene?». Si rilassa e risponde con aria stanca: «Sì, scusami ma mia moglie mi dà il tormento». Sorride ancora, rendendosi conto di non volermi dire altro, e cambia abilmente discorso. «Allora, c'è tanto lavoro da fare e tante persone da esaminare... vogliamo entrare così iniziamo a vedere i profili dei candidati?». Dicendo quelle parole apre la porta dell'ufficio, precedendomi e facendo strada lungo un corridoio. Camminiamo in silenzio per pochi secondi fino a quando si ferma davanti a una stanza e mi fa cenno di entrare. Davanti a me c'è un ambiente spoglio e triste: un divano e due poltrone sono posizionati al centro della stanza intorno a un tavolino in legno, le pareti sono vuote e le finestre sono coperte da grandi tendaggi grigi che impediscono al sole di entrare. Respiro profondamente e mi siedo accavallando le gambe mentre Mark, dopo essersi tolto il soprabito, si accomoda al mio fianco ed estrae dalla sua valigetta il plico che contiene tutti i profili dei potenziali attori, l'IPad e il copione. «Hai studiato il copione che ti ho dato?» chiede sorridendo. «Certo, e ho già delle mie idee su come dovrebbe essere il personaggio maschile. Diciamo che stiamo cercando il prototipo di uomo che tutte le donne vorrebbero al loro fianco... dolce e passionale ma, a volte, duro e geloso. Poi, per quanto riguarda la nostra lei, dobbiamo puntare su una donna che abbia uno sguardo fiero, deciso che sia...» faccio una pausa, rendendomi conto di non trovare le parole adatte, e poi concludo: «... un po' stronza. Ecco!». Mi rendo subito conto della mia frase infelice e mi porto le mani alla bocca dicendo: «Scusa». «No Madison, non mi chiedere scusa» ride ed è bellissimo quando lo fa «così mi piaci, ti voglio determinata e devi essere te stessa in tutto e per tutto». «Grazie Mark». «Bene» dice riabbassando lo sguardo sul plico «diamo un'occhiata veloce a questi volti nuovi e poi andiamo di là, ok?». Annuisco e mi metto al lavoro con lui. Sfogliamo schede su schede, facendoci un'idea sommaria delle caratteristiche dei candidati, e dopo circa mezz'ora Mark si volta verso di me soddisfatto. «Ok, sono quasi le undici, ci staranno già aspettando. Andiamo?». «Certo». Riprendo le mie cose e le sistemo nella borsa ma, mentre ci stiamo dirigendo verso la stanza adiacente dove si terranno  terranno le audizioni, il cellulare di Mark riprende a squillare. Mi fermo e lo osservo mentre legge il nome sul display, poi mi guarda anche lui e, accettando la chiamata, mi dice veloce: «Vai tu, ti raggiungo subito». Sorrido ed entro nella stanza, sicura che Mark stia parlando di lavoro, non avrebbe mai risposto se si fosse trattato di cose personali; è un uomo incredibilmente ligio al dovere e molto professionale. Mentre varco la soglia, ripeto nella mia mente tutte le cose che Mark mi ha spiegato... ed eccomi qui, ci siamo. «Buongiorno» dico, sfilando davanti al gruppo di ragazzi che si zittisce di colpo non appena mi vede «sono Madison Butler e...» «Ehi Madison, perché non andiamo a farci un giro?». Tutti scoppiano a ridere per quella proposta palesemente indecente ma io non riesco a individuare l'autore di cotanta finezza. Faccio un lungo respiro e decido che forse è il caso di mettere in chiaro i ruoli. «Sono l'aiuto regista del signor Collins e il mio giudizio sarà decisivo nella scelta del ruolo di Nathan. Pertanto, mi auguro che sarete all'altezza di recitare le battute che casualmente abbiamo scelto per voi, tanto quanto siete stati tutti bravi a ridere di questa brillante uscita». Sblocco l'iPad senza distogliere lo sguardo dal gruppo di ragazzi e noto con piacere le loro espressioni impaurite; meglio così, almeno imparano come ci si comporta con una donna. «Iniziamo con il signor Dominic Philips». Rimango in attesa con uno sguardo serio e deciso: vedo avanzare un ragazzo che sembra possedere tutte le caratteristiche fisiche di Nathan, fatta eccezione per i capelli, ma quelli si possono modificare. «Buongiorno». La voce di Mark alle mie spalle mi coglie Faccio un lungo respiro e decido che forse è il caso di mettere in chiaro i ruoli. «Sono l'aiuto regista del signor Collins e il mio giudizio sarà decisivo nella scelta del ruolo di Nathan. Pertanto, mi auguro che sarete all'altezza di recitare le battute che casualmente abbiamo scelto per voi, tanto quanto siete stati tutti bravi a ridere di questa brillante uscita». Sblocco l'iPad senza distogliere lo sguardo dal gruppo di ragazzi e noto con piacere le loro espressioni impaurite; meglio così, almeno imparano come ci si comporta con una donna. «Iniziamo con il signor Dominic Philips». Rimango in attesa con uno sguardo serio e deciso: vedo avanzare un ragazzo che sembra possedere tutte le caratteristiche fisiche di Nathan, fatta eccezione per i capelli, ma quelli si possono modificare. «Buongiorno». La voce di Mark alle mie spalle mi coglie di sorpresa ma mi dà sollievo. Lo guardo prendere il suo posto mentre incomincia a spiegare ai ragazzi quello che stiamo cercando e in che modo si svolgeranno i provini. Nessuno chiede nulla e il nostro primo aspirante Nathan incomincia a recitare le sue battute. Dopo qualche ora, sono davvero esausta e delusa: nessuno di quei ragazzi ha la minima idea di cosa significhi recitare. Mark, con molta gentilezza, congeda tutti con il classico "vi faremo sapere" e poi si volta verso di me, palesandomi con una semplice occhiata la sua insoddisfazione. «Abbiamo quindici minuti prima che arrivino le ragazze per il ruolo di Jacqueline. Ti va una pausa?». «Sì, ti prego» rispondo, enfatizzando la mia stanchezza. Lui ride, sapendo esattamente cosa provo; poi si alza e mi invita a precederlo. «Grazie Mark» sorrido e gli sfilo davanti a passo lento. Siamo davanti a un distributore automatico di bevande, la mia scelta ricade su un caffè, nero e senza zucchero, mentre lui opta per un caffè corto ma dolcissimo. Sorseggiamo la nostra scelta e poi decidiamo di uscire fuori a fumare una sigaretta, lui non ne ha e gliene offro una delle mie. «Grazie Madison, brutto vizio però» dice alzando la sigaretta e portandola alla bocca. «Non fumo molto, massimo tre o quattro sigarette al giorno, e posso farne anche a meno. Non sono una che si fa mettere i piedi in testa nella vita, figuriamoci se mi faccio condizionare da questa» affermo, alzando la sigaretta all'altezza del naso prima di riappoggiarla sulle labbra e fare un tiro profondo. Mark mi guarda ma non risponde; non so se mi ha creduta ma è la verità. Ho fumato la mia prima sigaretta quando avevo circa diciotto anni e da allora non ho mai preso veramente il vizio come le mie compagne di college o di università. Fumo per rilassarmi ma non eccedo mai, nemmeno nei momenti di maggior stress, piuttosto preferisco raggiungere il circuito e tirare un po' la mia moto oppure andare a correre. Sono una sportiva, non una viziosa. Abbiamo quasi finito la nostra "pausa sigaretta", quando sento qualcuno chiamare Mark. Ci voltiamo insieme e rimango a bocca aperta: è lo sconosciuto dell'ascensore. Vado nel panico, non so cosa fare e mi giro per studiare l'espressione di Collins: lui sorride, lo conosce, sono amici. Ecco, mi tremano le gambe. «Mark ma tu non avevi smesso?» dice lo sconosciuto non appena ci raggiunge. «Trevor amico, hai detto bene... avevo». Mark ride, stringendogli la mano, e lui fa lo stesso. Io sono ancora pietrificata e mi sento quasi un soprammobile mentre ripeto nella mia testa il suo nome come un mantra: Trevor, si chiama Trevor... e Trevor è bellissimo. «Non avresti dovuto ricominciare amico mio, è un brutto vizio. Ce ne sono di altri più piacevoli» risponde, lanciandomi una fugace occhiata per poi tornare a guardare Mark. «Sei sempre il solito, io sono felicemente sposato, dovresti darti anche tu una calmata ma...» Mark si interrompe e mi guarda, rendendosi conto solo in quel momento di essersi dimenticato di me. «Scusami Madison... lui è un mio carissimo amico, Trevor Sullivan, un investitore, ed è uno di quei pezzi grossi di cui ti parlavo» sorride e si rivolge a Trevor «lei è Madison Butler, la mia aiuto regista. Valida collaboratrice e con un carattere decisamente strong». Io e Trevor ci guardiamo ma entrambi scegliamo di non far sapere a Mark dei nostri incontri in ascensore e, con tono formale ma gentile, ci stringiamo la mano. «Allora» esclama Mark «sei solo... credevo che saresti arrivato con i tuoi colleghi». Trevor distoglie ancora la sua attenzione da me per rispondergli. «Sono solo, mi hanno dato carta bianca». «Meglio ancora. Allora entriamo, fra pochi minuti arrivano le ragazze per il provino». Annuisco stordita anticipandoli e mentre cammino verso la sala audizioni mi rendo conto che lo "stronzo", lo sconosciuto dell'ascensore, Trevor, non è nient'altro che il finanziatore del nostro film e cioè colui dal quale dipende il mio lavoro. Alzo gli occhi al cielo con un senso di sconfitta mai provato prima e l'unica cosa che desidero in questo momento è che questa giornata orribile finisca il prima possibile. Sono passate due ore e i provini delle ragazze sono quasi finiti. Non vedo l'ora di uscire da questa stanza e togliermi di dosso lo sguardo di Trevor che sembra essersi incollato su di me. Non capisco cos'abbia da fissare, cos'ho che non va? Odio quando le persone mi fissano, ma odio ancora di più quando non so il perché e non conosco i loro pensieri. Gli sto antipatica? Non mi sopporta? Non gli piaccio... oppure è tutto il contrario? Sbuffo e dico a me stessa: "Madison ma quante cazzo di domande ti stai facendo? Smettila", mi ripeto, ma non funziona. Trevor mi è entrato nella testa. Finito con l'ultima ragazza, mi offro di andare a prendere un caffè per tutti ma Mark mi precede, non vuole che vada io. Ignorando completamente sguardo metallico, inizio a segnarmi i nomi dei ragazzi e delle ragazze che mi hanno colpito per poi parlarne con Mark, ma ecco di nuovo che sento i suoi occhi su di me e non riesco più a trattenermi... «Signor Sullivan vuole farmi qualche domanda?» dico, senza alzare gli occhi dal foglio. «È brava nel suo lavoro, signorina Butler». Si avvicina, lo percepisco e intravedo la sua figura con la coda dell'occhio. «Grazie, signor Sullivan» rispondo, alzando lo sguardo. «Mi chiedevo se potesse farle piacere bere qualcosa con me questa sera» dice, sporgendosi in avanti con fare molto sexy. Le mie guance s'infiammano, ma non per l'imbarazzo bensì per la rabbia che vorrei sfogare con una delle mie risposte al vetriolo ma non posso, devo essere gentile e fingo. «Dopo il lavoro mi piace stare da sola, ma la ringrazio comunque per l'invito». Trevor sembra non accettare il mio rifiuto, visto che la sua espressione accesa in modalità seduttore non desiste. Mi accorgo che sta per ripetere l'attacco perché si sporge ancora con un sorriso fascinoso ma, prima che possa replicare, entra Mark con i nostri caffè. «Colpito e affondato Trevor Sullivan, non ti aspettavi che una donna ti dicesse di no, vero?» esordisce Collins. Sorrido beffarda, felice che Mark lo abbia sentito; mentre sorseggio il mio caffè, mi godo la sua espressione imbarazzata, che mi suggerisce di essere sulla buona strada per mettere in atto il piano che ho in testa.

Amami per quella che sono Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora