Prologo

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Il miracolo

Carreto, Panamà
Dal 1657 a maggio 1671

Carreto (1) era un piccolo paese dell'entroterra a est di Panamà, poco lontano dal confine con la Colombia e abitato da coloni spagnoli. Prendeva il nome dalle acque paludose del fiume più vicino, Rio Carreto, ed era caratterizzato da un clima caldo e molto umido per gran parte dell'anno. Infatti, sorgeva sul limitare dell'estesa giungla del Darién, una fitta foresta dalla vegetazione intricata, che sembrava esser stata creata per inghiottire e stritolare gli stolti che avessero cercato di attraversarla.

Ma chi mai avrebbe tentato di farsi largo tra insetti velenosi, predatori affamati e un'aria tanto pesante da soffocare? Nessuno! Nessuno che avesse un minimo di ingegno si sarebbe mai addentrato in un simile ambiente ostile.

Eppure, c'era qualcosa per cui valesse la pena rischiare tanto.

Carreto, per quanto contasse poco più di due migliaia di abitanti, negli ultimi dieci anni era diventato sempre più conosciuto. Il popolo spagnolo che aveva colonizzato la stretta regione a sud del mare caraibico lo chiamava El pueblo del milagro, "Il paese del miracolo". Gli abitanti erano ovviamente cristiano-cattolici, per cui erano convinti che l'accaduto fosse avvenuto per mano del loro dio, per cui erano pochissimi quelli che nutrivano dei sospetti nei confronti della giovane fanciulla, protagonista del cosiddetto "miracolo". Il suo nome era Ella e, da neonata, era stata rinvenuta avvolta in un drappo di seta bianca sulla riva del fiume Carreto, proprio dove il corso si allargava a mo' di insenatura e si restringeva nuovamente per proseguire verso il cuore della giungla.

L'aveva trovata un gruppo di cacciatori del paese, intenti nella ricerca di cibo per le loro famiglie. Non si erano avvicinati fin da subito, raccontarono in seguito. Avevano esitato, spaventati da ciò che sarebbe potuto accadere se l'avessero toccata. Temevano una punizione divina. Tra loro, però, si fece avanti un uomo: non era il più forzuto del gruppo, ma aveva da poco perso il suo primo figlio e la vista di quel fagottino candido in mezzo al fango gli aveva acceso una fiamma nel petto che nemmeno lui sapeva spiegarsi. Raggiunse la piccola e con cautela la prese in braccio, facendola voltare verso di lui. Aveva un visino diafano e delle sottili labbra rosee. Le minuscole mani si mossero piano e la neonata aprì gli occhi, rivelando due iridi azzurre, cristalline come l'acqua del mare poco distante da loro. L'uomo sorrise, convinto che quello doveva essere un dono di Dio per lui e la sua consorte. Abbandonò la caccia e tornò al villaggio dalla sua amata, le raccontò l'accaduto e i due gioirono insieme poiché la Divina Provvidenza aveva deciso di premiare la loro fede.

Ma come poteva una neonata essere arrivata fino a lì, apparentemente, da sola? Non poteva camminare, non poteva nuotare, non poteva risalire il fiume alla guida di una piroga (2) e, sicuramente, non poteva volare.

La commovente storia di Haméd e Mira non convinse tutte le orecchie che ebbero il piacere di ascoltarla: seppur pochi, alcuni pensavano che Ella non fosse un miracolo, bensì un mostro. Infatti, la piccola non era rimasta "piccola" tanto a lungo: nel giro di quattro anni era cresciuta a dismisura, raggiungendo la maturità di una ragazza di all'incirca quindici anni. Nessuno riusciva a spiegarsi come fosse possibile uno sviluppo tanto fulmineo. Anche i genitori adottivi, gli encantados, erano rimasti scioccati di fronte alla rapidità con cui la loro bimba cresceva, ma erano tanto lieti del dono che l'Altissimo aveva loro concesso che ignoravano il motivo dietro alla stessa. L'assopirsi della loro curiosità era dato anche dal fatto che, dopo l'arrivo di Ella, non avevano perso più nessun figlio, arrivando così a generare una prole numerosa: cinque figli, due forti maschietti e tre graziose femminucce! Due anni più tardi, Ella raggiunse la massima maturità: lineamenti adulti, pensiero logico e cordiale, senso del dovere, peluria pubica.

Nonostante le stranezze che aleggiavano intorno alla sua figura, la giovane era perfettamente in grado di farsi amare: non si tirava mai indietro quando si trattava di aiutare qualcuno, che egli fosse uomo o donna, si dimostrava gentile e sorridente con chiunque le rivolgesse la parola e il suo fascino era irresistibile per chiunque incrociasse il suo sguardo. Aveva persino imparato a cacciare! Anche se i suoi metodi di caccia non prevedevano l'uso di armi, come ci si sarebbe aspettati.

Sì, perché chi sosteneva che Ella del Milagro (questo uno dei nomi con cui il resto del popolo caraibico l'avrebbe conosciuta) fosse in realtà un mostro aveva prove su cui fondare la sua ragione.

La giovane non ricordava quando l'avesse scoperto – probabilmente l'aveva sempre segretamente saputo dato che era la sua natura – ma quando si immergeva nelle acque del Rio Carreto, si tramutava in un'enorme chimera: sì, il busto era di donna, col ventre pallido tanto quanto la sua carnagione, ma la coda era identica al corpo di una serpe, lunga tre volte il letto in cui dormiva. Le scaglie che le ricoprivano coda e parte della schiena rilucevano sotto la luce del sole del tramonto, rimandando riflessi verde bottiglia, blu, bronzo e bianco perla. Le unghie le si allungavano come artigli, i denti si aguzzavano, le pupille si restringevano in uno sguardo di rettile. E improvvisamente, quando si tramutava in una terribile creatura, dalla forza sovrumana e i sensi da predatore, si sentiva, infine, se stessa.

Ogni sera, prima che il sole abbandonasse il cielo per far spazio alla luna e alle sue costellazioni, Ella si immergeva nella stessa pozza sulla cui riva era stata trovata da colui che imparò a chiamare padre e serpeggiava sul filo dell'acqua tiepida, beandosi di quel tepore. Nel silenzio del crepuscolo aspettava immobile lo scricchiolio di un ramoscello o lo sbattere di ali di un qualche volatile, pronta a catturarlo con un balzo e a procurare la cena per quella famiglia che tanto la amava.

Le storie su di lei si passarono di bocca in bocca e ben presto tutti i Caraibi seppero della sua esistenza. Ella del Milagro, la "donna-serpente", la chimera, il mostro marino. Ognuno le dava un appellativo diverso, ma nessuno mancava di citare la sua bellezza sirenica, capace di ammaliare anche il più duro tra gli uomini. Un fascino celeste, stregante, in grado di richiamare a sé ogni creatura vivente, al pari di una gemma rara.

Ed era proprio dalle gemme rare che il Capitano Oliver Kyd, suo malgrado, era attratto. E non se ne sarebbe mai, mai fatta sfuggire una tanto preziosa.

"La figlia del Leviatano: Un'avventura pirata" di Skie Boyd [IN CORSO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora