X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 1

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         L'alba del giorno dopo è plumbea: pare che la città intera si sia cristallizzata in un ferrotipo smorto e già graffiato dal tempo.

Ricciardi è pronto a uscire molto prima del solito, all'ora in cui Nelide solitamente si sveglia per preparare la colazione. Si è già fatto un caffè da solo, riuscendo pure a bruciarlo, nella vana speranza che compensi la carenza di sonno.

La domestica, colta alla sprovvista dalla sua alzataccia e dai suoi traffici disastrosi in cucina, lo aiuta a indossare il cappotto senza proferir parola, due linee verticali di preoccupazione a segnarle in mezzo alla fronte il volto giovane.

È dal ritrovamento di Annina che è comprensibilmente scossa, più taciturna del solito. È stato poco a casa, ma non l'ha mai sentita cantare a bassa voce come al solito mentre sbriga le sue faccende.

Quando la sera prima è rientrato tardi, con quel cerotto in faccia, l'aria stravolta e i vestiti sporchi e stropicciati, s'è incupita ancor di più, senza però chiedergli nulla, né insistere affinché cenasse con qualcosa di più di un paio di bocconi di pasta ormai fredda mandati giù a forza per tenersi in piedi. Ricciardi sa che finirà per prendergli un collasso, se continua a trascurarsi così, ma ha lo stomaco in subbuglio da giorni, ancor più dopo il suo infelice faccia a faccia con l'OVRA.

«Scusaste...»

Nelide lo trattiene per le falde del soprabito quando fa per avviarsi, per poi mollare di scatto la presa, come pentita di quel gesto. Ricciardi la fissa, affatto irritato e piuttosto stupito. Non è da lei concedersi quelle confidenze; semmai è lui, che la spiazza con la sua poca attenzione all'etichetta.

«Dimmi, Nelide.»

La giovane si torce le mani piccole in grembo, il volto pallido e allungato stretto in una maschera d'angoscia e incertezza.

«Io promisi a zia Rosa che mi prendevo cura di voi.»

Quelle parole lo colgono così alla sprovvista che quasi barcolla. Non ha abbastanza prontezza per replicare prima che Nelide continui, più accalorata:

«E io ci sto provando, ma a vedervi accussì mi pare che non ci sto mica riuscendo. State già coi pensieri e non ci posso fa' niente...»

«Nelide,» la ferma lui, trovando un sorriso con la stessa facilità con cui li donava a Rosa. «Tu stai facendo tutto ciò che devi, e anche di più.»

Lei scuote la testa con vigore.

«Se vi capita qualcosa...»

«Sarebbe solo per colpa mia,» finisce Ricciardi, con fermezza. Nota solo ora che gli occhi di Nelide si stanno facendo più lucidi con ogni secondo che passa, e si affretta a correggersi: «Ma non mi capiterà niente, quindi non ti crucciare.»

«Ce lo spero. Però non ci credo molto,» aggiunge, strizzando le labbra sottili e guardandolo in viso, nel punto in cui spicca il cerotto. «Se mi tornate sempre a casa così, finisce poi che non ci tornate affatto.»

Ricciardi tace, colto in fallo dalla sua schiettezza. Considera brevemente, con affetto, la figura minuta ma energica di Nelide, con il volto olivastro teso da rughe precoci, i capelli nerissimi rigidamente legati, divisi al centro dalla riga, e gli occhi altrettanto scuri dei quali a stento si distingue la pupilla. Sembrano scrutarlo a fondo, per un attimo, con la stessa acutezza gli riservava Rosa, come se stesse anche lei, come sua zia, imparando a conoscere ogni suo gesto e mutamento d'umore, leggendovi più a fondo.

Ricciardi le posa una mano leggera sul braccio.

«Nelide, io lo so, che non sono una persona facile. Facevo ammattire pure Rosa,» sospira infine, stentando un sorriso troppo triste, di scuse. «Non sei obbligata a rimanere qui ad angosciarti, se non vuoi. Mi dispiacerebbe molto, perché Rosa era famiglia, ed è bello poter pensare che lo sia anche tu; però non ti tratterrei.»

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