X. Ci vuole coraggio (anche per aver paura) - Parte 3

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          Le porte dell'Annunziata sono chiuse.

Mentre se ne sta là davanti in cima allo scalone d'accesso, a imprecare tra i denti, Ricciardi si sente sotto il tiro di mille cecchini.

Scocca un'occhiata rapida attorno a sé, ai tetti che circondano quel cortile deserto, se non per un capannello di ragazzini intenti a saltar dentro e fuori dal vascone della fontana centrale in ventagli di spruzzi. Si sente formicolare la nuca, come se avesse gli occhi acuti di Falco appuntati addosso, a scrutare ogni suo passo e movimento.

Si è mostrato spavaldo ieri, con Bruno, e stamattina con Nelide e Maione, ma la verità è che si sente già un morto che cammina. È consapevole d'aver bisogno di supporto, di una figura a cui poter chiedere protezione; ma una parte di sé dubita che vi sia qualcuno davvero in grado di proteggere lui e Bruno, se l'OVRA dovesse decidere di agire contro di loro.

Il medico, nel suo cinismo, non ha torto: il regime ha fatto sbattere in manicomio o in prigione gente molto più di rilievo di loro, negli ultimi anni, e ne ha fatta trucidare altrettanta.

Una persona che potrebbe intercedere c'è, in verità, ma si vergogna al sol pensiero di presentarsi di nuovo alla porta di Livia per chiederle un favore. Oltre al fatto che l'ombra di Falco gli appare sin troppo vicina a lei, per poter davvero approcciarla in tranquillità.

Fa un paio di passi nervosi davanti al portone inamovibile dell'istituto, mordendosi l'interno della guancia. Anche solo stare lì significa mettersi un mirino di fucile all'occhiello, sebbene si sia impegnato a percorrere la via più tortuosa e imprevedibile che ha potuto, nel recarvisi. Inutilmente, a quanto pare, perché il portone è serrato e, al suo cauto picchiettare col batacchio d'ottone, è rimasto muto.

Non può fare a meno di pensare che non sia un caso, perché non trova una motivazione valida per cui un orfanotrofio e convento dovrebbe rimaner chiuso in un giovedì mattina qualunque, Quaresima in corso o meno. Ogni sua speranza di interloquire con Suor Agnese giace oltre quelle massicce porte di rovere.

S'immagina Madre Filippa che lo scruta con maligno compiacimento dall'alto, da una delle finestre affacciate sul cortile, e non gli pare un pensiero così assurdo. Tira un sospiro stanco, stringendosi la radice del naso tra pollice e indice, a fermare i pensieri che gli si avvicendano frenetici in testa. Non sa più neanche lui quale pista stia seguendo, in quel caso che è solo una turpe matassa aggrovigliata che ha finito per avvolgere anche lui e Bruno.

Tanto vale raggiungere Maione in Questura, sperando di schivare Garzo e di riuscire a reperire Caterina Gigliolo prima dei funerali.

Scende la scalinata e si avvia verso l'arco d'ingresso, superando la masnada di ragazzini intenti in quella che si direbbe una battaglia concordata là davanti, tra grida, lanci di sassolini e zuffe. Si affretta a superarli per non rimanere colto nel fuoco incrociato, ma nel passaggio ad arco quasi si scontra con altri quattro che lo imboccano a rotta di collo per unirsi alla finta guerra in corso. Lo schivano in un frullio di schiamazzi e qualche insulto impudente, prima di riversarsi nei rispettivi schieramenti.

Uno dei quattro, che avrà forse dieci anni, inchioda però con uno stridio di tacchi non appena lo supera, facendogli voltare il capo d'istinto, un passo prima di svoltare l'angolo. Il ragazzino lo fissa, inclina la testa strizzando gli occhi e poi gli si fa incontro con intenzione. Ricciardi si guarda intorno, sul chi vive, ma non sembra accompagnato. Abbassa lo sguardo per incrociare il suo, vivace e incuriosito, e si acciglia: quel volto gli è familiare.

«Buongiorno, commissa'!»

Evidentemente, gli è familiare davvero, visto che lui pare conoscerlo. Ricciardi si accosta con cautela al muro esterno dell'arco, sentendosi addosso gli occhi curiosi di un paio di signore di passaggio. Non è usuale veder qualcuno vestito in modo distinto che parla con uno scugnizzo di strada; il suo ultimo desiderio è attirarsi le attenzioni sbagliate, dopo gli ultimi eventi. Gli viene da rimettere solo a pensarci e mantiene un ampio passo e mezzo di distanza tra lui e il ragazzino, come se parlarci potesse essere già in sé un crimine.

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