Era solo una bambina, poco più di 11 anni, estate 2010. Il caldo sulla pelle, gli shorts a vita bassa, perfettamente attillati, bianchi con le rifiniture rosa candido, come piacevano a lei.
Voleva essere già adulta nonostante fosse ancora una bambina e si preoccupava delle sue forme, le vedeva agili e seducenti allo specchio, pensava a come avrebbe potuto usarle quel pomeriggio, quando avrebbe indossato quei pantaloncini attillati e tutti si sarebbero girati a guardarla, per ammirarne le gambe vellutate e magre, così magre dopo che ogni giorno le aveva fissate con cura allo specchio, strette fra le dita toccandosi il pollice con la punta del medio e proponendosi l'idea di arrivare prima o poi all'indice: così sarebbe stata perfetta.
Quel giorno indossó il costume rosa a culotte, i fiori gialli dipinti sulla stoffa si stringevano attillati lungo le curve. Si guardò a lungo allo specchio prima di uscire di casa: le aspettava un pomeriggio fighissimo.
Arrivata a casa di suo cugino indossó il suo palcoscenico fatto di timidezza ed un vago modo di agire, le ciabattine gialle tentennavano sull'asfalto e sua zia la accolse subito.
Samanta si era subito tolta i vestiti di dosso e non aveva aspettato nulla, aveva visto sua cugina Anna immersa nell'acqua e si era tuffata.
I ragazzi non c'erano e lei si era iniziata a guardare intorno pur fingendo disinteresse, a quell'età era sempre difficile cercare un approccio.
Anna aveva quattro anni meno di lei e osservava la cugina che rideva dal basso dell'acqua. Samanta aveva il sole puntato contro le tempie, gli illuminava gli occhi nocciola spruzzati di riflessi gialli e arancioni, le lentiggini erano più folte e luminose che mai sotto i raggi di luce che coloravano i capelli nocciola di riflessi ramati. Capelli lunghissimi, ondulati fino al sedere che si delineava in una sottile curva sotto la schiena.
Samanta rideva schizzando l'acqua dappertutto e la sua risata suonava nell'aria come il canto di una sirena, un richiamo di attenzioni come tutte le risate non vere che sono abituate ad esistere.
Quel canto funzionò.
Presto sentì il fruscio di foglie calpestate e schiamazzi provenire dalla siepe dietro la recinzione: eccoli, suo cugino Edoardo ed i suoi amici erano finalmente arrivati.
Le stavano spiando da dietro la siepe, così come un normalissimo gruppo di bambini che stanno per diventare adolescenti possono fare per divertirsi in una giornata calda di mezza estate.
Samanta fece finta di non accorgersene ma lo sapeva, sapeva che erano lì ed il suo sorriso si fece ancora più pronunciato, i suoi schizzi più forti, le sue risate ancor più plateali.
Samanta sfidó la sorte insieme alla sua timidezza salendo a bordo piscina, mostrando le sue gambe lunghe e snelle, la vita stretta e le piccole protuberanze del seno ancora in crescita, il suo corpo bagnato dall'acqua brillava sotto la luce insieme al suo sorriso e lei riusciva a non essere timida solo perché sapeva di essere guardata, ma di nascosto.
I commenti e le risate compiaciute dei ragazzi che suonavano soffusi e discreti nell'aria erano nutrimento, incitazione, coraggio: aveva solo 11 anni e un disperato bisogno di essere vista.
Samanta si stava asciugando con il telo colorato, se l'era attorcigliato attorno al corpo snello, proprio sotto al seno ed era corsa sotto al sole pungente e fu proprio sotto quel sole di fine giugno che lo vide, per la prima volta.
Biondino, calzoncini strappati beige, una maglia bianco sporco, l'aspetto trasandato e poco curato di un ragazzino solo.
Silvio aveva 13 anni, era alto e più grande di tutti gli altri e ora la fissava da dietro quegli occhi celesti cristallo, a bocca aperta.
Chi era lui?
Samanta non lo conosceva, ma era bello.
La carnagione dorata si fece un po' rossa sulle guance e lei accennò un timido sorriso generale in segno di saluto.
Quel pomeriggio ci era voluto un po' come sempre prima che iniziasse a giocare con loro, c'era sempre bisogno di abbattere un po' quel muro di difesa iniziale che separa maschi e femmine di quell'età.
Nascondino, mercante in fiera, pallavolo. Lei era sempre l'unica ragazza e lottava in uno spirito competitivo per dimostrare di essere forte, vincente, parlava poco, sorrideva con dolcezza e rideva, i suoi amici le volevano bene.
Quel giorno però c'era Silvio e nulla di base era cambiato, se non il fatto che lei da quel pomeriggio sentiva una spinta ancor più forte nel ritrovarsi lì con loro.
Silvio non era per niente un bravo bambino e probabilmente non lo sarebbe mai stato.
Le sue origini non erano italiane ma rumene e la sua famiglia non era una buona famiglia, lo sapevano tutti e presto lo seppe anche Samanta.
Edoardo le aveva raccontato delle ferite sulla schiena e di come lui aveva ironizzato sul fatto che suo padre lo menasse con la cintura frequentemente.
Silvio aveva solo tredici anni e viveva già con la sigaretta in bocca ed un forte odore di fumo addosso, diceva parolacce e stava sempre in silenzio quando non scherzava. Spesso diventava aggressivo e quando si arrabbiava per qualcosa prendeva e se ne andava, non era abituato a parlare, non parlava mai.
Samanta invece era l'emblema di tutto ciò che una brava bambina può essere: bella, dolce ed educata eccelleva in tutte le materie scolastiche, piaceva ai professori, piaceva in parte ai genitori e piaceva a tutti in generale, era una specie di arma affilatissima dotata di altissime aspettative che tutti ergevano fiduciosi nei suoi confronti, a detta degli altri sarebbe diventata bellissima da grande e avrebbe avuto un gran futuro, una splendida carriera e tutto ciò che una persona può avere e desiderare, lei avrebbe potuto perché era bella, perché era perfetta, perché non le mancava assolutamente nulla.
Ma questi, erano solo gli occhi degli altri.Quell'estate era trascorsa in fretta fra una partita a carte e l'altra.
Silvio ad un certo punto era scomparso, un giorno li aveva salutati lungo il campo da calcio e non si era più visto per tutto Agosto, non rispondeva a casa quando i suoi amici citofonavano e se c'era il padre li cacciava dicend in un accenno di italiano che Silvio non era lì.
Samanta ripensava ogni tanto ai momenti con lui, a quei piccoli attimi di contatto che si era concessa nei suoi confronti, come quando a nascondino erano finiti nella stessa stanza stretta e lui le aveva sorriso facendole il segno del silenzio, poi l'aveva presa per mano ed erano corsi a fare tana libera tutti.
Aveva pensato spesso a lui, in un silenzio leggerò mai espresso a nessuno di chi sapeva di non poterselo concedere.