Capitolo 2

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La prima cosa che cattura la mia vista sono i suoi capelli rossi, che sembrano avere un potere ipnotico. Sposto leggermente lo sguardo e mi perdo nei suoi occhi chiari con sfumature di verde, che brillano a contatto con la luce del sole. Noto anche che sul viso porta un trucco leggero. Indossa un jeans blu scuro, delle sneakers bianche che si abbinano alla camicia dello stesso colore, con sopra un maglione di lana ed un trench color caffè, che le arriva alle ginocchia. Adoro il suo stile. L'armonia dei colori, l'abbinamento dei capi che indossa e soprattutto, come le calzano a pennello.
Sono in uno stato confusionale. Se mi chiedesse come mi chiamo, probabilmente non saprei risponderle. Adesso però devo tornare in me e interrompere questo silenzio imbarazzante, che sta iniziando ad essere troppo rumoroso. Altrimenti rischio di passare per un imbranato che non ha mai avuto a che fare con una donna.
«Ci perdoni signorina, non ho idea di come sia successo, probabilmente mio padre si è dimenticato di chiudere il recinto.» Mi gratto la nuca per il nervoso. «Non è mai successo che una di loro uscisse, non so davvero cosa dire...si sente bene?»
«Si si... è tutto ok, più o meno.» Bisbiglia, mentre è appoggiata al parafango anteriore destro della macchina. «Oh santo cielo...» Dice con un tono liberatorio ora che il peggio era passato. Poggia la mano sul torace per calmarsi, tirando dei respiri molto profondi.
«Se la sente di restare due secondi da sola?» Faccio due passi verso di lei. Mi fa un cenno di assenso con la testa.
Prendo l'iniziativa e apro lo sportello, così da farla sedere per riprendere fiato e calmarsi.
«Perfetto, corro a prenderle un po' d'acqua e un panno per asciugarsi il sudore. Vado e torno, mi aspetti qui.»
Mi precipito dentro casa per prenderle ciò che serve. Mia madre e mia sorella cercano di chiedermi cosa stia succedendo lì fuori, ma sono troppo impegnato a raccattare tutto il più in fretta possibile. E' colpa nostra, o meglio di mio padre, se si trova in quelle condizioni. Non voglio sprecare un secondo lontano da quell'angelo dai capelli rossi, che si è presentato come un fulmine a ciel sereno, in una delle migliaia di giornate vuote, passate a fare sempre le stesse cose, perciò devo sbrigarmi.
Torno da lei in un battibaleno. Le passo un bicchiere d'acqua e tengo l'asciugamano in mano fin quando non lo prende da sè. Passato qualche minuto sembra stare meglio.
«Come si sente?» Le domando, in apprensione.
«Meglio...meglio, grazie. Dammi pure del tu.» Risponde con tono più vivace, e pian piano si rimette in piedi.
«Perfetto.» Annuisco, accennando un sorriso. «Avrai un'esperienza piuttosto insolita da raccontare adesso. Queste scene si vedono soltanto nei film, e invece a quanto pare succedono anche nella vita reale...» Cerco di sdrammatizzare la situazione per strapparle un sorriso.
«Ora ne abbiamo la conferma.» Annuisce e ride di gusto. «E comunque sembra meno pauroso quando accade nei film, e soprattutto non c'è nessuno pronto a soccorrerti, anzi, il malcapitato resta lì per ore, quindi direi che mi è andata piuttosto bene.» Annuisce guardandomi negli occhi per la prima volta.
«Non devi ringraziarmi, ho fatto quello che dovevo. Anzi, ne approfitto a rinnovarti le mie scuse per l'inconveniente, non so davvero come sia potuto succedere.» Il suo sguardo su di me mi sta facendo andare a fuoco, letteralmente.
«Non preoccuparti, sono cose che succedono, raramente, ma succedono. Non sono abituata alla campagna, nè a vedere una mucca che mi viene incontro perciò ho reagito d'istinto, strillando come una pazza isterica.» Mi sorride, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio quasi imbarazzata.
«Allora io vado...grazie per essere stato così gentile. Buona giornata.» Sorride ancora, e subito dopo si dirige verso lo sportello per rientrare in auto e ripartire.
Sono incredulo, sembra un sogno e se così fosse guai a chi osa svegliarmi. No, credo che sia tutto vero... non posso lasciarmi scappare l'occasione di conoscerla, devo almeno chiederle come si chiama. Così prendo coraggio e mi faccio avanti.
«Ehm...» La raggiungo. «Perdonami...un'ultima cosa... che maleducato non mi sono neanche presentato, io sono Tobias.» Le porgo la mano. «E' stato un piacere conoscerti.»
«Piacere mio...Tobias.» Si libera la mano dalla borsa per stringere la mia. «Io sono Christine, il piacere é mio.»
Al momento non presto troppa attenzione a quello che mi frulla nella testa, consapevole che questi saranno gli ultimi attimi con lei, voglio godermeli al massimo. «Buon viaggio allora.» Sorrido guardandola negli occhi per qualche secondo. Lei si limita ad un sorriso, accompagnato da un cenno del capo. Subito dopo si rimette in macchina e tira dritto.
Io resto lì, immobile, mentre la guardo allontanarsi sempre di più, sino a diventare un puntino nell'orizzonte. E' successo tutto così in fretta e in maniera del tutto inaspettata...
Ci sono giorni in cui esisto e basta, data la monotonia delle mie giornate che condiziona il mio umore, altri in cui vivo, come questo. Ma oggi, è stato qualcosa di diverso, di nuovo, d'intenso. Avrei voluto durasse di più. Ho il suo volto scolpito nella mente e, conoscendomi, ci scriverò poesie su poesie.
«Tobias.» Evelyn mi corre contro urlando, facendomi sobbalzare, mentre sono ancora fermo in mezzo alla strada. «Si può sapere cos'è successo?» Mi domanda, guardandomi con sguardo preoccupato.
«Niente Evy, niente...» Giro lo sguardo un'ultima volta, verso l'orizzonte, sperando di scorgere ancora la sua macchina. Il puntino che qualche attimo prima seguivo a vista, adesso è sparito completamente. «È tutto ok.» Sposto lo sguardo su di lei. «Dai, rientriamo.» Le sorrido, poi le avvolgo un braccio sulle spalle per abbracciarla mentre camminiamo verso casa.
Una volta rientrati, spiego in maniera approssimativa cos'è successo. Mia madre e mia sorella scoppiano in una grassa risata, mentre mio padre si limita ad alzare le sopracciglia, per poi rimettersi seduto a mangiare da dove aveva lasciato.
In tutto ciò mi è anche passata la fame. Ma per non dar un dispiacere a mia madre, e non buttare cibo, mi metto seduto e finisco il mio piatto. Subito dopo, corro a stendermi sul mio letto per rilassarmi una mezz'oretta in attesa che arrivino le quindici, orario in cui torno al lavoro.
Porto le mani dietro la testa e fisso il soffitto per almeno cinque minuti, ripensando ad ogni dettaglio della vicenda. Mi spunta un accenno di sorriso, completamente spontaneo. Ricordo tutto...le sue labbra sottili, il viso a diamante, la sua voce armoniosa e angelica, e il modo in cui mi ha guardato per quei pochi secondi...E' stato tutto così inaspettato e al tempo stesso indimenticabile. Devo subito raccontarlo a Sebastian, così prendo il telefono e gli mando un sms dicendogli di vederci questa sera, alle nove, in piazza. Nel centro del paese.
Mi sento malinconico e terribilmente demoralizzato perché so che non la rivedrò mai più, ma al contempo compiaciuto, se penso che nonostante sia stato un caso, l'ho incontrata e mi ha anche detto come si chiama. Due emozioni apparentemente contrastanti ma che in questo momento coesistono dentro di me. Tiro un sospiro e decido di tirarmi su, finire il lavoro rimasto, e andare quanto prima possibile a casa di Sebastian. Anche se qualche minuto fa gli ho scritto di vederci in piazza dopo cena.
Sono elettrizzato, nonostante il mio malumore. Ho fretta di raccontargli tutto e ho anche bisogno della sua compagnia. Lo conosco dai tempi delle elementari ed è uno dei miei pochi amici. Sono molto selettivo sulle persone che frequento, ho sempre amato e ammirato le persone intelligenti, mature e con vene artistiche, mentre escludo quelle ignoranti e superficiali. Al giorno d'oggi è raro trovare qualcuno che sia capace di avere un proprio pensiero senza seguire la massa, essere se stesso senza paura del giudizio altrui e che riesca a dirti la verità, sempre. Lui è uno di questi. Vedo abitualmente solo lui, tutti gli altri del nostro gruppo quando capita. Vivendo fuori dal nostro paese riescono a venire a trovarci solo qualche volta al mese.
Così, senza perdere altro tempo, corro verso l'orto che stavo curando stamattina, per finire il lavoro lasciato in sospeso prima di pranzo. Riempio le casse di verdura, portandole in casa nel minor tempo possibile, facendo avanti e indietro almeno cinque volte. Dopo questa bella sudata, vado subito nell'altro orticello, che fortunatamente è meno esteso e non molto lontano da questo. Qui procedo con la semina di melanzane e pomodori, che mi porta via tre ore piene. In questo lasso di tempo non è passato momento in cui non abbia pensato a lei e ai secondi in cui ci siamo guardati negli occhi.
Finito anche questo, raccatto tutto il materiale da lavoro che ho utilizzato, e a passo molto svelto, mi dirigo verso casa. Devo darmi una rinfrescata perchè puzzo di sudore e terra, e cambiarmi i vestiti per andare da Sebastian, urgentemente.
Sono sul punto di entrare in casa, mancano una centinaia di metri, quando mio padre, che con il suo solito fare scorbutico e maleducato, mi urla dai paddock. «Tobias! Dove stai andando?»
«Sto andando a darmi una sistemata per andare da Sebastian, passeremo la serata insieme.» Gli rispondo alzando la voce per far si che mi senta.
«Tu non ti muovi da qui finchè non avrai girato alla corda, Itaca! Forza... devo anche dar loro da mangiare, e chiudere la stalla quanto prima.» Ribatte.
Dopo aver udito le sue parole, rallento talmente tanto da bloccarmi, per poi chiudere gli occhi con sguardo rassegnato. Non posso crederci, mi è completamente passato di mente, come ho fatto a dimenticarmene...
«Cosa fai lì impalato, muoviti!» Sbraita.
«Si, lascio questa roba e arrivo.» Gli rispondo.
Ogni giorno i cavalli devono essere girati alla corda o montati. Mio padre si occupa di Alastor perchè molto più gestibile, mentre a me tocca Itaca, una vera e propria forza della natura. Adesso devo sbrigarmi ancor più di prima, o rischio di fare tardi all'appuntamento di stasera, visto che il mio piano di raggiungere Sebastian a casa sua è definitivamente saltato...
Mi affretto a lasciare l'attrezzatura da lavoro nello stanzino accanto al portico e corro da Itaca, nella stalla.
«Non ho tutto il tempo del mondo, fai presto.» Mi dice mio padre, mettendosi seduto vicino al portone d'ingresso della stalla, in attesa del nostro ritorno.
Mi limito a fargli un cenno con la testa in segno di assenso.
Mi avvio verso la stanza dove teniamo tutti i finimenti e le cassette per la pulizia dei cavalli, e quando ci arrivo accendo la luce. Recupero velocemente il contenitore assegnato ad Itaca dove vi sono una brusca, una striglia, un nettapiedi e la spazzola per coda e criniera. Mi precipito dalla cavalla e apro la serratura scorrevole per poter entrar nel suo box. Prima di entrare lascio il necessario fuori e afferro la capezza appesa sul pomello fissato alla parete. I miei piedi affondando nel paglione pulito mentre mi avvicino. Dopo di che gliela infilo e fisso il gancio all'anello, aggancio la longia sotto il suo mento usando il moschettone. Lego Itaca all'anello nel box usando la corda che gli pende dalla capezza, così da farla star ferma dov'è.
Torno indietro per prendere la striglia di gomma e la brusca di legno. Uso prima l'una e poi l'altra, successivamente prendo il nettapiedi per pulire la sporcizia incastrata sotto i suoi zoccoli e le spazzolo per bene sia la criniera che la coda.
Finito il lavoro, poso tutto nella cassetta.
«Ora sei pronta Itaca.» Le do qualche pacca sul collo robusto e la guardo sorridente, facendole anche una carezza sulla fronte, all'altezza della stella.
Tolgo il nodo di sicurezza che ho fatto alla lunghina e la porto fuori dal box, direzione campo. Non appena apro il cancello, stacco la lunghina per poter usare la longia piu lunga ,e in tutta libertà inizia a sfrecciare come una furia sulla sabbia fina. Passerei giorni a guardarla correre. Lei è la definizione di spirito libero.
Poi, a quest'ora del pomeriggio, il tramonto è imperdibile. Il cielo è colorato di arancione vivo mischiato con il rosso, un vero spettacolo. Il sole pian piano sta calando e io sono qui, appoggiato al recinto mentre mi godo tutto quello che la natura ha da offrire al tramonto. A parer mio, il momento più bello e incantevole di tutta la giornata. Non a caso l'ispirazione per le mie poesie e pensieri arriva quasi sempre in quest'arco temporale.
Quando riesco a recuperarla e ad agganciarle finalmente la corda la faccio lavorare per bene.
Dopo circa quaranta minuti è tempo di rientrare, anche perchè devo arrivare puntuale all'appuntamento di stasera con Sebastian e devo assolutamente sbrigarmi. Riporto Itaca nel box e frettolosamente mi accingo ad andare in camera il più in fretta possibile.
«Alt... dove vai così di corsa tu?» Mi domanda nuovamente con aria arrogante e spavalda come se prima non mi avesse ascoltato, squadrandomi per bene.
«Te l'ho detto, devo uscire con Sebastian.» Lo guardo stranito e inorridito dal suo atteggiamento e dai suoi modi maleducati.
«Vai a piedi, il carburante serve per lavorare non per cazzeggiare con gli amici.» Mi guarda dritto negli occhi come se volesse spaventarmi.
Lo guardo per qualche secondo scuotendo la testa, per poi andarmene senza fiatare. Ho imparato a mie spese che con lui non serve a nulla. Ha davvero la faccia tosta di farmi andare a piedi dopo una giornata intera di lavoro, e se dobbiamo dirla tutta si è potuto permettere un furgone anche grazie a me, che ho speso giorni a trattare con il venditore, dato che da tirchio cronico qual'è non voleva pagare la cifra richiesta. Pazienza, salterò la cena a casa per colpa sua, dato che per arrivare al bar dove ci diamo sempre appuntamento, ci impiego sempre un'ora di camminata. Mangerò un boccone in giro o a casa di Sebastian, se dovessi morire di fame.
Entro di corsa in casa e mi dirigo dritto in bagno per lavarmi a pezzi. Ho la testa offuscata da mille pensieri: Christinè, mio padre, la mia famiglia, il lavoro... Mi sento come se un peso abnorme mi schiacciasse ogni giorno e io lottassi per non cadere. Mi sciacquo il viso, con acqua fredda e sapone, più volte, come se così facendo riuscissi a scacciare via i pensieri. Successivamente passo ad ascelle, collo e petto. Dopo essermi lavato anche dalla vita in giù, resto per qualche minuto con le mani poggiate sul lavandino a fissarmi. Mi guardo negli occhi, e vedo un ragazzo di ventiquattro anni, che lotta inesorabilmente contro suo padre, e che vorrebbe fare ben altro nella vita.
Ce la farò in qualche modo, non so come, ma ce la farò.
Guardo l'orologio e sono quasi le ventuno, è tardissimo. Mi affretto a vestirmi, prendendo le prime cose che trovo nell'armadio. Una camicia bianca infilata nel jeans blu scuro, un maglioncino grigio molto pesante ed infine delle stringate nere ed opache. In fretta e furia, mi sistemo i capelli all'indietro stando attento a delineare la riga nel mezzo utilizzando il pettine, poi sistemo le basette, metto il mio solito profumo di fragranza legnosa e sono pronto per l'ora di camminata che mi aspetta.
«Allora io esco, buona serata.» Sceso di sotto saluto la mia famiglia che è in cucina a preparare la cena.
«Ma come Tobias? esci senza cenare? sto preparando pollo e patate... il tuo piatto preferito.» Dice mia madre, cercando di convincermi a restare a cena.
«Dai Tobi, esci più tardi.» Mia sorella quasi mi supplica, afferrandomi dal polso.
«Ho un'appuntamento e non posso arrivare in ritardo.» Dico alternando lo sguardo dall'una all'altra. «Lasciatemi da parte la mia porzione, la mangerò quando torno. A dopo.» Do un bacio sulla guancia a entrambe. «Vi voglio bene.» Le lascio così, sull'uscio della porta. Non volevo trattenermi un minuto di più, sono in ritardo ed inoltre ho un assoluto bisogno di prendere aria. Un'aria diversa da quella che respiro in casa mia.
Sono sulla strada che da casa porta in paese, e di conseguenza al bar "Leaf and Bean", così scrivo a Sebastian che in un ora sarò lì. Non vedo l'ora di raccontargli quello che è successo e di godere della sua compagnia. Quando sto con lui è come se il tempo si fermasse e tutti i problemi che ho, si azzerassero temporaneamente.
È già tutto buio, fanno luce dei lampioni lungo la strada, posti ogni duecento metri l'uno dall'altro. Mentre cammino rimugino sull'incontro di questa mattina con Christine. Ripenso a quanto era affascinante, elegante ed incredibilmente incantevole. A momenti mi do del cretino, domandandomi come faccio ad essere così infatuato dopo un incontro durato non più di quindici minuti .
Dopo un'interessante conversazione con me stesso fatta ad alta voce, arrivo al bar prima del previsto, e mi siedo sulla panchina lì accanto, in attesa che arrivi quel matto di Sebastian. Che come al solito è sempre in ritardo.

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