La prova

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Sentii Hunter urlare il mio nome e lo vidi indicare freneticamente in direzione dello specchio. La lava era colata velocemente dalle fiancate ripide del vulcano e ora stava per ricoprirne la superficie. Avevamo pochi minuti per attraversarlo oppure non sapevo neanche cosa sarebbe successo. Mi voltai dall'altra parte e iniziai a ripiegare, aprendomi una strada per avvicinarmi ad Hunter. Così facendo diedi le spalle ad un Velociraptor che mi gettò per terra.
L'ultima cosa che avvertii fu un forte strappo al braccio, poi vidi tutto nero.

Quando mi risvegliai fu a causa delle urla di Hunter che mi chiamava. Stava iniziando a piacermi il suono della sua voce che urlava il mio nome. Ero distesa a terra e provavo ovunque un pulsante e persistente dolore. La luce mi accecava gli occhi e mi ci volle qualche secondo per ricordarmi di essere distesa su un campo di battaglia di cui mi giungevano alle orecchie solo suoni ovattati. Quando provai ad alzarmi, un'intensa fitta di dolore si diramò dal braccio sinistro, o quel che un tempo era il mio braccio sinistro. Dal gomito pendevano brandelli di carne e il sangue che ne zampillava mi aveva inzuppato i vestiti. Non faceva male, era come se l'intero braccio si fosse addormentato, infatti mi risultava difficile muoverlo. La parte martoriata pulsava come se possedesse un'altro cuore di cui ne sentivo l'eco fin dentro le orecchie. Tutto ciò rendeva la situazione irreale, come se la guardassi accadere a qualcun'altro. Fissavo l'arto amputato con espressione sorpresa senza sapere come avrei dovuto reagire quindi ci pensò Hunter a reagire per me. Si precipitò sul posto cadendo in ginocchio e si strappò di dosso la camicia già a brandelli. Pressò sulla ferita e fu allora che cominciò il dolore. Partiva dal gomito e si propagava ovunque, come delle minuscole schegge di vetro che perforavano la pelle e viaggiavano nelle vene a velocità spaventosa. Mi bastò appena il tempo per urlare che lui aveva già concluso l'operazione. In quel momento ero talmente stordita, frastornata e dolorante che quello che successe dopo fu addirittura troppo perché il mio cervello potesse recepirlo.

Arrivò da destra. L'artiglio di un dinosauro grosso il doppio degli altri, colpì Hunter, che era di spalle, e lo scaraventò dieci metri più avanti. Il corpo cadde a terra in una posizione scomposta e innaturale con un rumore agghiacciante di ossa rotte, che mi si stampò a fuoco nelle orecchie. Non si muoveva e, questo, mi fece salire le lacrime agli occhi perché sentivo che non si sarebbe mosso mai più. Fu come se il tempo si fosse fermato e tutti i dinosauri stessero guardando la scena.
L'unica cosa che volevo fare in quel momento era correre da lui ma questo non mi fu possibile. L'enorme dinosauro che si trovava tra noi aveva perso interesse per il suo corpo senza vita e ora si era voltato verso di me. I suoi occhi guardavano dritti nei miei e nel suo sguardo mi parve di cogliere dell'intelligenza. Se si fosse messo a discutere di genetica non ne sarei stata sorpresa poichè i suoi penetranti occhi neri mi ispiravano saggezza. Il suo manto era verde smeraldo e si scuriva fino a diventare nero sulle possenti zampe.
Con enorme sorpresa capii che non era un dinosauro, ma un maestoso drago. Ormai avevo perso di vista ciò che si definiva anormale perché di cose "impossibili" me ne capitavano ogni volta che battevo le ciglia...
Parlò direttamente nella mia mente. "Raccogli il coltello. Questa è la tua prova." E la sua voce mi riportò ai tempi arcani, alle origini. Il vento che mi muoveva i capelli sembrava portare con sé dei segreti preziosi e intorno a me si respirava un'atmosfera di sacralità. "Dimostrati all'altezza" disse, prima di volare via.
Il silenzio fu rotto da un ruggito e io andai con passo deciso a recuperare il coltello; mi fermai vicino al corpo di Hunter e con un fremito gli premetti due dita sul collo. C'era ancora battito. Mi sembrava impossibile ma era ancora vivo. Questo mi bastò per farmi spuntare un sorriso spensierato sul viso e mi girai verso la battaglia con più determinazione. Ebbi appena il tempo di prendere posizione che l'intero gruppo di dinosauri attaccò, come se fosse guidato da un'unica mente. Quando il primo dinosauro fu nel mio raggio d'azione mi fiondai sul suo collo e lo finii prima che quello poté accorgersi di essere morto. Il secondo fu sfortunato perché con un mezzo giro su me stessa gli mozzai la testa. Hunter era vivo, e doveva rimanere tale, ma questo dipendeva da me. Sentivo dentro una forza inaudita e una ritrovata determinazione, dimenticai il dolore fisico e il mio unico braccio diventò ancora più letale nei movimenti.
Procedendo così, falciai la prima linea ma questo non mi diede il tempo nemmeno per tirare un sospiro di sollievo perché il ritmo con cui i dinosauri attaccavano era sfiancante. E allora anche io aumentavo la velocità e la potenza dei miei colpi. Mi sentivo sopraffatta, schiacciata da quegli enormi corpi ammassati e andavo avanti solo con la forza della disperazione. Ma prorpio quest'ultima mi infondeva più forza di quanta avrei mai sospettato di avere.
Mentre infilzavo, schivavo e squartavo, però, la mia mente era altrove. Mentre urlavo per farmi forza pensavo a quel Velociraptor che si esponeva ai pericoli per proteggere il branco e, senza volerlo, ripetevo all'infinito una parola, come se fosse una litania: sacrificio. Sapevo che in qualche modo era importante e mi accorsi che, inconsciamente, era proprio quello che avevo intenzione di fare, fin da quando avevo sentito il flebile battito del suo cuore e avevo capito che non era finita. Sacrificarmi perché Hunter ne uscisse vivo. Non sapevo perché volevo farlo, insomma, era un perfetto sconosciuto e, in tutta sincerità, non sono mai stata così eroica fino a rischiare la mia vita per un mio ipotetico prossimo. E invece per lui lo avrei fatto. Non mi sentivo affatto un'eroina per questo, in fondo lo facevo per me: non me lo sarei mai perdonato se lo avessi abbandonato lì. Sentivo che se lo meritava più di me, sicuramente aveva più possibilità di sopravvivere lui da solo.
Avere un obbiettivo mi fece sentire più serena. Ora restava solo una cosa da fare: portarlo dall'altra parte dello specchio.

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