Avere un disturbo di personalità mi ha insegnato a non dare nulla per scontato. Quello che per molti è ovvio per me è un'incognita, una variabile che giorno dopo giorno può cambiare. Ci sono io e poi ci sono gli altri; all'apparenza siamo simili ma con una visione della realtà del tutto differente. Ci sono aspetti della mia esistenza sui quali mai mi sarei soffermata se non dopo essermi trovata in situazioni che io e chi mi sta intorno tende a "normalizzare" ma che in realtà non hanno nemmeno lontanamente una parvenza di normalità.Inutile dire che la distinzione tra normalità e anormalità sia un concetto a matriosca che ora non ho intenzione di trattare ma lo tratteremo, ve lo assicuro.
Vi starete chiedendo perché il titolo "PERDERSI" al mio capitolo. Ora posate il libro ovunque voi siate e qualunque cosa stiate facendo, chiudete gli occhi, alzatevi in piedi se non lo siete già e iniziate a girare su voi stessi finché la testa non vi gira.
Siete almeno un pochino confusi? Se la risposta è sì siete pronti ad ascoltarmi.
Siamo in un giorno di sole, è novembre 2021 e a seguito di un evento traumatico, l'ennesimo, subito da parte dei miei genitori, ero così carica di rabbia mista a strazio che decisi di fare una bella corsa per la city. Amo correre e produrre adrenalina, per me ed il mio funzionamento è un atto fondamentale e così anche quel famoso giorno, freddo ma con il sole splendente, uscii per una corsa mentre Cristian era al lavoro.
Ricordo il tragitto che decisi di fare; ero diretta al monte Sella, un parco dove ero solita andare a correre. Otto chilometri esatti, andata e ritorno, una salita sfiancante seguita da una confortevole discesa; perfetto. Quel giorno partii con le cuffie, il contachilometri e via. Correvo a passo cadenzato, il respiro e le falcate erano in sintonia, il freddo sferzava il mio viso e gli occhi erano lucidi per quella brezza invernale. Ricordo che arrivai al parco poi buio. Mi sono persa pur sapendo a memoria il percorso, mi sono trovata un giorno qualunque della mia vita imbottigliata nel nulla.
Oggi mi sembra di rivedere quel frame di me ferma, immobile all'inizio del parco, irrigidita e con una mano vicino al viso.
Mi guardavo le mani, i piedi, mi sfioravo i capelli e il contorno delle labbra e sentivo che il senso di vuoto, lentamente mi stava avvolgendo. Cosa mi stava succedendo? Disturbo Dissociativo, mi diranno poi ma in quel preciso momento riuscivo a sentire la mia paura, non ricordavo più chi fossi, il mio nome, il mio cognome, cosa ci facessi lì... La paura nelle ore a seguire si trasformò in rabbia, frustrazione e lacrime e così mi misi su una panchina.
Pensai:" Se qualcuno mi conosce, se ho una vita, una casa, un parente, mi cercheranno".
Come si spiega una donna di vent'otto anni che può uscire di casa e tutto d'un tratto può dimenticare chi è? Non se lo spiega, non lo accetta, non ci vuole credere. È così, è accaduto va bene, può succedere ma non facciamo della retorica.
Non è normale, non è giusto, non è semplice da accettare. La dissociazione passa, la ferita che lascia dentro noi non ci abbandona, è uno shock più grande di noi. Da quel novembre non è passato un giorno in cui io non abbia riflettuto sulla precarietà della mia esistenza e su quanto vorrei scomparire dalla faccia della terra. Quel giorno, nel tardo pomeriggio, Cristian mi trovò.
Non so come ma mi ritrovò. Non lo riconobbi sul momento, gli chiesi chi fosse e questo rese tutto ancora più doloroso.
Da allora mi muovo di casa con un foglio nello zaino con scritto Nome, Cognome, Indirizzo e Numero di cellulare di Cristian. Da allora sono successi altri episodi come questo.
Se questa è vita io non lo so, ho questa e vivo questa ma sicuramente le incertezze, le frustrazioni e le paure rendono ogni giornata faticosa.
Quando rifletto sulla dissociazione talvolta mi piace vederla come una strana occasione per staccarmi dalla rovinosa quotidianità che l'essere borderline mi regala. Vediamola così: vorrei dissociarmi più spesso, vorrei non sapere niente più frequentemente, vorrei depersonalizzarmi un giorno sì e un giorno no. In quel modo sentirei forse meno dolore all'anima, la testa mi scoppierebbe meno e i pensieri non sarebbero continuativi ma intermittenti. Sarebbe meglio o peggio non si sa ma sarebbe una boccata d'aria, aria inquinata ma pur sempre aria. In apnea non si resiste tanto a lungo.
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COME STAI_La mia storia
Gizem / GerilimCome stai è il racconto autobiografico di una donna che lotta contro un mostro che nessuno vede né sente. Quella donna sono io, trentuno anni e un mondo di emozioni che fanno a pugni nella mia testa. Perché "Come stai", perché è l'unica domanda all...