02. Adam

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Mi mordicchiai un labbro cercando di ricordarmi quella dannata formula: le sapevo tutte, anche quelle che non servivano per il compito, perché non riuscivo a farmi venire in mente proprio quella di cui avevo bisogno?
Accanto a me Michael, il mio migliore amico fin dall'infanzia, era messo molto peggio: come al solito si era ridotto all'ultimo per studiare e non sapeva assolutamente niente. Probabilmente aveva tirato a caso tutte le domande della verifica affidandosi ad una fortuna che spesso lasciava a desiderare proprio nel momento del bisogno.
«Adam, ehi, non è che potresti dirmi la risposta alla cinque? E alla sei? E alla sette già che ci sei?» Bisbigliò guardandomi con aria implorante.
«A, B, B.» Risposi in un sussurro.
Ormai era diventato una specie di tacito accordo tra noi: io lo aiutavo con la scuola e lui si ingegnava in tutti i modi possibili per farci partecipare a quante più feste possibili. A dirla tutta non è che mi importasse molto di passare serate su serate in quei locali dove faceva un caldo pazzesco e dove dovevi pagare dieci dollari per qualcosa da bere, ma lui continuava a dire che, se volvevamo lasciare il segno, non avevamo altra scelta. Questa storia non l'avevo mai capita, ma lo lasciavo fare comunque, un po' per evitare di passare per un asociale, un po' perché era pur sempre il mio migliore amico quindi dove andava lui andavo io. Più o meno.
«Hai una faccia... Che c'è? Non riesci a fare l'esercizio facoltativo per il mezzo voto in più?» Chiese con un sorrisetto divertito sulle labbra.
Fissai il foglio rigirandomi la penna tra le dita. «No, quello l'ho finito da un pezzo. Non mi viene la formula del quattro.»
«Uh, allora non posso aiutarti, scusa: quella è roba per menti superiori.» Replicò. «Comunque se salti un esercizio non muore mica nessuno.»
Sospirai. «Lo so, lo so. Solo che non riesco proprio a farmela venire in mente... Ed è strano, le altre me le ricordo tutte.»
«Già, come al solito. Prima o poi dovrai spiegarmi come fai.» Commentò.
«Non lo so nemmeno io.» Ammisi. «Solo... Riesco a ricordarmi quello che mi sembra strano. Non importa che cos'è in sé, se mi colpisce te lo saprò ridire anche a mesi di distanza.»
Sollevò le sopracciglia castane. «Vorrei diventare un chirurgo solo per vedere cosa c'è dentro la tua testa, sai? Ci potremmo trovare anche la cura al cancro o chissà cos'altro.»
Scossi la testa sorridendo alla sua ennesima battuta squallida.
«Silenzio!» Tuonò il professor Gessen facendo cessare ogni rumore nell'aula.

Nonostante avessi dei buoni voti la scuola non mi piaceva e, come ogni studente in ogni parte del mondo, non vedevo l'ora di andarmene. Ringraziai il cielo quando suonò la campanella che segnava la fine delle lezioni.
Uscii dalla classe insieme a Michael che sembrava molto esaltato per una qualche festa che si sarebbe svolta quel sabato. A me non sembrava un granché: il posto era piccolo e in un quartiere non proprio tranquillo, e conoscevo abbastanza bene il gruppo che si sarebbe esibito da poter dire che avrebbero fatto meglio a trovarsi un altro modo per passare il tempo. Però Michael diceva che ci sarebbero state un sacco di ragazze, alcune anche parecchio belle. In più, quando si metteva in testa qualcosa, era difficile farlo demordere.
«Verrai, vero? Perché se non vieni anche tu i miei non mi lasciando andare.» Disse inclinando leggermente la testa di lato mentre allungava il passo per starmi dietro.
«Oh grazie, mi fa piacere essere così apprezzato.» Commentai passandomi una mano tra i capelli.
«Andiamo, lo sai che senza di te non sono nessuno, no?» Si affrettò ad aggiungere.
Gli lanciai un'occhiata. «Uhm... Più o meno.»
Quando uscimmo nel parcheggio sul retro della scuola per poco non andai a sbattere contro una ragazza con mezza testa rasata. Indossava un maglioncino viola con uno scollo piuttosto profondo, pantaloni neri molto aderenti, e aveva gli occhi truccati di nero. Mi lanciò un'occhiata di sufficienza mentre mi passava accanto, ma si soffermò su Michael per un attimo di più.
«Allora vieni?» Insistette lui, ignaro di tutto.
«Sì, credo proprio di sì.» Risposi cercando le chiavi dell'auto nelle tasche dei jeans. «Basta che la smetti di parlarne ogni cinque secondi.»
«Okay, okay, non ti dirò più nulla.» Promise alzando le mani in segno di resa.
«Bene.» Borbottai. «Ti serve un passaggio?»
«No, oggi esco con Julia.» Ribatté con un sorrisetto.
Aprii lo sportello sul lato del guidatore. «Sì? È già il... mmh, quarto appuntamento, giusto?»
Un sorrisetto soddisfatto gli incurvò le labbra. «Eh già. A quanto pare ho fatto colpo.»
Sorrisi anch'io scuotendo la testa. «Allora divertiti.»
Mi diede una pacca amichevole sulla spalla. «Puoi scommetterci.» Alzò lo sguardo e socchiuse gli occhi. «Ora vado, mi sta già aspettando. A domani.»
«A domani.» Replicai distrattamente.
Lui mi fece un sorriso d'intensa prima di allontanarsi e raggiungere una ragazza mora sorridente e, devo dire, piuttosto carina. Socchiusi gli occhi per ripararli dalla luce del sole e salii in auto: mi aspettava un pomeriggio di studio in vista del compito di storia, il giorno dopo: tanto per cambiare. Probabilmente i professori si mettevano d'accordo per concentrare più verifiche possibili nella stessa settimana.

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