Capitolo Ventuno - Terra Bella E Maledetta

32 7 1
                                    

Mi votu e mi rivotu suspirannu
Passu li notti 'nteri senza sonnu
E li biddizzi tòi vaiu cuntimplannu
Li passu di la notti nzinu a gghiornu
Pi tia non pozzu ora cchiu durmiri
Paci non havi chiù st'afflittu cori[1]

Mi votu e mi rivotu - Rosa Balistreri

Ero sempre stata convinta che il verbo obbedire dovesse essere cancellato dal vocabolario, dalla storia dell'umanità. Che ogni donna, uomo e bambino sarebbe stato veramente libero solo quando tutti avessimo dimenticato l'esistenza di quella parola.

Sin da bambini insegnano invece che bisogna obbedire. Ai genitori, ai parenti, agli insegnanti, alle regole implicite dettate dalla società, dallo Stato, dalla mafia.

Se mi fossi fermata a riflettere, mi sarei resa conto che ogni singola azione della mia vita era stata fatta per alzare un monumento alla disobbedienza. Ogni mattone, una mia scelta e, dopo appena venticinque anni di vita, quel monumento era già molto alto, quasi maestoso. Accanto ad esso c'erano i monumenti altrettanto maestosi che avevano eretto i miei compagni, che in quel momento correvano sulle moto accanto a me per le strade di Palermo.

Avevamo la presunzione di voler costruire una città della disobbedienza, di spingere tutti a disobbedire, che solo disobbedendo a un sistema marcio e corrotto potevamo liberare noi stessi e la nostra amata, ma maldetta, terra, da una società marcia e corrotta fino al midollo.

Incurvai la moto per schivare una macchina, il mio ginocchio toccò quasi l'asfalto.

«Vi state avvicinando all'obiettivo» ci informò Daniele.

Subito si unì il suo gemello, entrambi ci seguivano come al solito dalla base tramite i GPS impiantati nelle moto, con loro ormai fissa c'era anche Silvia. «Dalle telecamere sembrano essere in tre.»

«Abbiamo visto di peggio negli ultimi mesi» la voce di Alex era carica di quella spavalderia che lo contraddistingueva.

Sorrisi sotto il casco. Era vero, tre tizi che spacciavano sembravano niente a confronto di entrare armati a una riunione di boss durante un'iniziazione.

Ricordavo ancora l'odore del sangue che quel ragazzo aveva donato di sua spontanea volontà per entrare a far parte del clan dei Mersiglia, pronto a obbedire a quel sistema. Ricordavo perfettamente anche il lampo di vergogna negli occhi di Adriano, e mi ero ripromessa che alla fine di quella storia, lui non avrebbe mai più provato vergogna per una sua azione.

Conoscere sua madre e sua sorella qualche giorno prima, era stato un passo importante per la nostra relazione. Mi faceva capire che lui si fidava totalmente di me, tanto da farmi entrare nella vita delle due persone più importanti per lui.

Era stato difficile all'inizio stare con loro, soprattutto sapendo ciò che sua sorella gli nascondeva, mi ero sentita una bugiarda per tutto il tempo. Avevo parlato senza sosta con Angelica, era una ragazza intelligente, brillante, premurosa, ma allo stesso tempo combattiva, mi ricordava un mix tra me e Luna. Stava studiando Architettura e sognava di realizzare qualcosa che fosse utile alla parte più povera della città, soprattutto ai più piccoli. Voleva cercare di creare delle possibilità diverse a quei bambini.

Il suo modo di pensare mi aveva ricordato molto quello di Tommaso. Mi domandai perché non uscisse con lui, piuttosto che vedere quel pezzo di merda di Francesco che la stava solo usando.

Tommaso mi aveva comunicato che le aveva parlato, ma che non aveva ottenuto il risultato sperato: Angelica era convinta che Francesco potesse cambiare, che potesse essere salvato.

Ma Francesco non era un bambino, era un ragazzo che si era perso nella profonda cattiveria delle sue stesse azioni. Non poteva essere salvato.

Avevo deciso che l'indomani avrei raccontato tutto a Adriano. Avevo già perso fin troppo tempo. Lui meritava di sapere, e anche se quella notizia lo avrebbe distrutto, avremmo trovato una soluzione, insieme.

SYS 3 - La società degli splendenti. Capitolo finaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora