XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 2

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          Quando il concerto funebre della processione scema tra i palazzi, Ricciardi fa cenno a Maione di portarsi un poco più appartati, in un vico ombroso che sbuca proprio sul sagrato. Il brigadiere, che ha taciuto sbalordito fino ad ora, lo fissa come se fosse davvero diventato matto, a perder tempo a quel modo nella situazione in cui si trovano.

Adesso, prevede di suscitare ancor più il suo sgomento. Avverte una sensazione spiacevole che gli si arrampica sulla schiena, fredda, opprimente, che diviene più viscosa con ogni minuscolo passo che compie verso la verità in quel caso.

Da qualche parte, Falco lo scruta dal suo trespolo, pronto a farlo inciampare, a render vano ogni suo sforzo. Rivede dietro alle palpebre lo spettro dell'uomo morto in quella cella e, per un istante, ha il volto di Bruno.

Forse, però, adesso ha abbastanza carte in mano per compiere una mossa a sua volta. Due, per la precisione: una rischiosa, l'altra affatto nobile. Ma, in questo momento, è disposto anche a truccare la partita pur di stallare Falco e giocare un altro giro.

Gigliolo, Esposito, l'Annunziata, Annina... il filo che li congiunge è visibile solo in trasparenza, ma intravede la sottile sfumatura di rancore che permea i tasselli di quel mosaico. Almeno, può ragionevolmente supporre che Esposito ne serbasse verso Gigliolo; e che Gigliolo, dalle parole d'indefessa fiducia della sua vedova, potrebbe non essere poi il mostro d'uomo che gli è stato dipinto sinora.

Se così fosse, allora, l'OVRA perderebbe le sue motivazioni nel voler mantenere tanto riserbo sul caso; e ne acquisirebbe altre per voler vedere Esposito consegnato alla giustizia. Un comodo colpevole, uno dei tanti di quelli che bollano come "scemi di guerra", che si è beato dei soldi dello Stato per poi stracciare ogni umana decenza con due efferati omicidi.

Non ne è certo, però. Non ha prove, non ha un movente chiaro, nulla: solo intuizioni e sensazioni che lo mordono allo stomaco, contraddittorie, viscide nel loro aderire a ciò che favorirebbe l'immagine del Partito.

Sa solo che deve lavorare sui due consueti singoli ingranaggi: fame e amore. Sono le due cause a cui si può ricondurre ogni gesto abietto, posto di saper scavare abbastanza a fondo, fino alla radice marcia della gramigna visibile in superficie.

La fame può anche pensare d'intuirla nei furti orchestrati da Esposito, nel vissuto di un uomo storpio, costretto a farsi monaco, ipotizza, per l'indigenza... ma non è abbastanza, non è abbastanza per sfondare la testa di un uomo con quella brutalità e per spezzare di netto il collo a una bambina. Sempre che non si tratti d'un puro folle; e il pensiero gli solletica i nervi sulla nuca in un formicolio d'insetti zampettanti.

L'amore, invece... l'amore non riesce a scorgerlo, in tutta quella storia, non quando pensa al volto di Annina che grida e grida con rabbia contro il suo omicida; e grida anche ora, attendendo giustizia.

Ricciardi prende un respiro sottile dalla bocca, l'aria fredda che gli pizzica il palato: ha in mano solo pezzi scompagnati di un rompicapo dalle forme contorte; ma è tutto ciò che ha, è tutto ciò su cui può basarsi per tentare di costruirsi una scialuppa di salvataggio in quel mare burrascoso. Per lui, per Bruno e per Iannello, destinato a far da capro espiatorio.

«Raffaele,» dice, con un nodo scorsoio alla gola, a voce bassissima, «devo chiederti un favore che non ha a che fare con le indagini.»

Il brigadiere si china appena verso di lui, in apprensivo ascolto. Ricciardi si chiede quand'è l'ultima volta che l'ha visto senza quelle pieghe parallele a segnargli la fronte e scurirgli gli occhi chiari, e fatica a darsi risposta. Forse un mattino che sembra lontano secoli, nell'aria fredda e limpida di quella che sembrava una giornata come tante a Napoli.

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