2. Come la Cicatrice di Inuyasha

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Milano - Agosto 2021

Stavo tornando in macchina dalla palestra, ero distrutto, quel giorno il mio personal trainer aveva spinto più del solito e sentivo i muscoli ora che ero rilassato, così tesi che non vedevo l'ora di buttarmi a letto e riposare. Stavo canticchiando una canzone che passava alla radio proprio in quel momento, quando vidi in lontananza del fumo, poi le luci delle sirene, erano i pompieri. Sentii una bruttissima sensazione percorrermi il corpo, la mano sul cambio tremava e poi istintivamente decisi di raggiungere il punto da dove veniva il fumo.

"Non può essere quella casa." Dissi ad alta voce, ero agitato, speravo di sbagliarmi.

Quando arrivai fino a dove possibile, abbandonai la macchina, mi guardai in giro e presi il telefono. Non riuscivo a respirare, era proprio il suo palazzo, il palazzo di Alessandro. E se fosse lì dentro? E se fosse morto fra le fiamme? Perché stava succedendo questo?

Le mani tremavano mentre componevo il suo numero sulla testiera del telefono. Il telefono squillava, nessuna risposta. Chiamai senza sosta, una, due, tre volte. Nessuna risposta.

La paura mi stava schiacciando il petto, mi misi seduto sul marciapiede. Buttai il telefono a terra, le lacrime scesero come non facevano da tempo. Sussultai quando dopo minuti infiniti sentii il telefono vibrare, era lui, risposi immediatamente.

"Dove sei?" Piangevo, per la tensione e la paura.

"Marco che succede? Perché piangi?" La sua voce era sorpresa, stava bene e già quello mi bastava, quello era tutto quello di cui avevo bisogno.

"Non sei a casa vero? Sei in salvo?" Un sussurro il mio.

"Si Marco sono da mia mamma, perché me lo chiedi?"

"Ascolta io non so come dirtelo, stavo tornando a casa in macchina e ho visto una cosa brutta. Sono sotto casa tua, io... la tua casa sta andando a fuoco, pensavo tu fossi lì dentro, pensavo tu fossi morto."

Non riuscii a mantenere un tono calmo, un tono rilassato, i singhiozzi erano troppo forti, ero felice come mai nella vita di sentire la sua voce, di sentire il suo respiro corto.

"Cosa?" I suoi sospiri erano forti, non ne sapeva nulla. "Marco smettila di piangere, io sto bene. Stai lì arrivo fra cinque minuti."

-

"Cosa ti hanno detto?" gli chiesi dopo che tornò da un incontro con vicini, pompieri e polizia davanti al suo palazzo, osservai il suo viso era teso, aveva gli occhi sbarrati, come se venisse da una nottata insonne.

"Stanno cercando di spegnere le fiamme, non sanno dirmi ora che danni ci siano all'edificio. Io.. devo chiamare mia mamma, devo..." Era sconvolto, tremava, era in un evidente stato di shock, decisamente comprensibile.

"Ale ascolta vieni da me per stanotte, puoi dormire nella camera degli ospiti e domani quando sarai più tranquillo vedremo cosa fare." Avevo usato il plurale, l'avevo fatto per abitudine? La mia mano si appoggiò al suo braccio, non mi importava in quel momento dei nostri recenti problemi, mi interessava solo che lui fosse al sicuro.

"Non ho più niente."

Sussultai sentendolo parlare in quel momento, non potevo neanche immaginare cosa provasse in quel momento, sapevo che aveva sudato molto per comprarsi quella casa. E forse il destino era stato davvero bastardo con lui, dopo la nostra rottura. Io non riuscivo a smettere di pensare ed essere grato che lui fosse vivo, che respirasse davanti a me, sapevamo entrambi che poteva andare molto ma molto peggio.

"Va bene."

In macchina fissava le luci fuori dal finestrino, non aveva ancora detto neanche una parola . Sospirai leggermente prima di prendere la sua mano, appoggiata fino a qualche secondo prima sul suo ginocchio, la intrecciai alla mia e la strinsi forte. Lui con le dita accarezzò subito il palmo della mia mano, era un gesto dolce, ma molto profondo per entrambi.

Marco Mengoni & Mahmood - Shades of the MoonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora