7. Finisco un Uramaki e NON vado via

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Milano - Marzo 2017

"Sembri un bambino quando mangi il sushi" Commentai osservando Ale mentre faceva cadere tutto il riso del suo Uramaki sul tavolo.

"Mengo' che due palle che sei, pari mi madre"

Gli feci una linguaccia e lui con sguardo divertito mi tirò addosso la bacchetta pulita che teneva accanto a lui. Era sempre così con lui, ci eravamo visti per lavorare forse anche un pò più del necessario, oltre agli aspetti lavorativi era divertente stare in sua presenza. L'energia che mi metteva ogni volta che ci ritrovavamo a discutere di qualcosa, era ossigeno puro per la mia vita in quel momento; probabilmente non l'avrei ammesso ad alta volta, ma era quello che pensavo quando la sera mi ritrovavo a pensare alla giornata appena trascorsa in sua compagnia.

"Non sembro tua madre, sei che tu che mangi come un bambino di due anni."

Rise e poi si alzò per posare il suo piatto nel cestino. Si mise seduto sul divano accanto a me, accarezzando il cuscino peloso che era poggiato sopra di esso. Lo osservai, ormai un pò lo conoscevo, aveva la sua solita espressione pensierosa, aspettai qualche secondo e poi si girò a guardarmi.

"Ma tu sei fidanzato? Ormai sono due mesi che ci conosciamo ma non abbiamo mai parlato di nulla di davvero privato."

Mi sorprese la sua domanda, non amavo parlare di me in quel senso, poche persone potevano "vantare" di sapere qualcosa di privato della mia vita; lui invece era l'opposto di me, era molto più disinibito, più volte mi aveva parlato delle sue frequentazioni. Lo ammiravo per questo, perché probabilmente le mie erano insicurezze così forti, da diventare sovrastrutture molto difficili da sradicare.

"Non sono fidanzato, non frequento nessuno da tempo ormai. Ho le mie storielle, ma nulla di più."

"Mengoni puoi dirlo apertamente che ti scopi uno diverso tutte le sere."

Risi istintivamente, aveva reso leggero un momento per me molto più pesante di quello che lui immaginava. Ed era proprio questo il bello di lui.

"Chi te lo dice che mi piacciono gli uomini?" Rimasi serio a fissarlo, aspettando che lui rispondesse. Intrecciai le braccia, alzando le ginocchia fino al petto. 

"Scusa, non volevo..." lo fermai perché stavo scherzando e lui sembrava così a disagio in quel momento, mi sentii quasi in colpa.

Scoppiai a ridere, osservando il suo visino smarrito e perso. "Stavo scherzando."

"Sei uno stronzo. Mi devi una birra, anzi due." Continuai a ridere e gli toccai il braccio in modo amichevole, in segno di perdono.

"Mi stai invitando ad uscire?" Chiesi ammiccando un sorriso.

Lui annuisce. "Va bene. Stasera?" Il mio sguardo era luminoso e il mio sorriso spontaneo.

In quell'esatto momento, mi sarebbe piaciuto accarezzargli il viso con un dito, per sentire se la sua pelle fosse realmente morbida come sembrava.

"Ah-ah" sentii un colpo di tosse che mi riportò alla realtà. "Mi stai ascoltando?"

"No scusa, mi ero un attimo perso nei pensieri."

Lui ridacchiò lievemente. "Mi stavi fissando" ci scherzò sopra, senza smettere di ridere. Che bella che era la sua risata, era così spontanea a tratti forse ingenua.

"Ale smettila di provocare." Mormorai, dandogli un leggero colpetto sul braccio.

-

Ci ritrovammo quella stessa sera a casa mia, non amavo uscire per locali, soprattutto per una questione di privacy, prima che il mondo ci potesse costruire sopra dei castelli grossi come, l'intera Italia. Presi le birre che lui aveva portato e le versai in un bicchiere, e poi ci mettemmo a sedere. Io mi sentivo agitato, forse perché era la prima volta che ci ritrovavamo da soli, fuori dal mio studio. 

Marco Mengoni & Mahmood - Shades of the MoonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora