1.7 ● NEL PROFONDO DELLA MIA ANIMA

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Come promesso a mia madre, dopo aver accompagnato la fangirl a scuola, mi recai in città. Per mia fortuna, al mattino presto la gente non aveva ancora affollato negozi e strade, e riuscii a sbrigare quella faccenda in fretta senza essere sopraffatto dall'angoscia che mi provocava la ressa: comprare oggetti tecnologici per la fastidiosa ragazzina.

Arrivato a casa, oltre al Macbook, appoggiai sulla scrivania un I phone 4s, più recente del relitto che aveva in mano quando era entrata e un IPod touch per spararsi la sua musica nelle orecchie.

Tamburellai un po' col dito sulla scatola dell'IPod, indeciso se mettere già le canzoni degli 'Y●EL●L' sopra, magari la versione piratata, così non avrei dovuto pagare quegli stupidi diritti.

«Al diavolo».

Tanto mia madre le darà il credito per comprarsele sull'I-Store.

Tornai in camera mia e mi spogliai davanti allo specchio del bagno. Sfiorai con la punta delle dita alcune macchie gialle che non mi dolevano più.

Devo essere più cauto, ora.

Aprii lo stipetto dei medicinali e ne presi un cilindretto in plastica bianco, ingoiai una delle pillole che conteneva. Fissai il piccolo calendario attaccato sopra: ne avevo per meno di tre settimane, poi Taryn sarebbe tornata per darmene altre.

E per i lividi, avrei dovuto trovare altre soluzioni. Stare più giorni in albergo dopo essere stato con Taryn? Lei mi avrebbe chiesto il perché. Sarebbe stata disposta a pagare il mio soggiorno? Si sarebbe ingelosita? Lei mi considerava sua proprietà.

Il cuore mi precipitò nello stomaco e i battiti che mi arrivarono alla pancia mi provocarono un senso di nausea.

Mi rivestii, aprii la porta della camera e incrociai la cameriera «Buongiorno miss Scarlett».

La mora quarantenne mi sorrise. «Buongiorno, quando vuole le preparo il pranzo».

Scossi la testa «Non oggi, non ho fame». La superai, mi fermai sulle scale e mi voltai «E non lo dire a Nate, grazie».

In sala l'orologio segnava le dieci.

A proposito di Nate, a quest'ora sarà sveglio.

Avevo bisogno di parlare con lui.

Presi il cellulare e digitai.

[Sei sveglio?]

Attesi qualche minuto, ma non vi fu risposta.

[Sei sveglio?]

Forse è in bagno, aspetto ancora.

Tornai in camera e per passarmi il tempo, mi misi sulla sedia multifunzione a fare esercizi. Dopo qualche serie, ripresi in mano il cellulare. Ancora niente.

[Sei sveglio?]

Nessuna risposta. Lo chiamai. Il telefono squillò diverse volte, poi si azionò la segreteria. Chiamai ancora, al quinto tentativo ci fu uno scatto dall'altra parte.

«Che?» Nate sbadigliò.

«Nate, allora sei sveglio».

Dall'altra parte ci fu un mugolio «Sì, da circa sette secondi».

I miei piedi non stavano fermi, sentivo il bisogno di girare per tutta la casa «Nate, dovresti vederla. Il mio incubo peggiore.»

«Che? Chi?»

«Nate! È malata!»

«Chi?»

Arrivai in cucina e deviai per la sala di nuovo. «La ragazza che è venuta a stare da noi. Accidenti a mio padre».

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