25. Lo specchio

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La testa del Berto risuonava del clangore dell'acciaio. Nella sua mente, immagini di sangue e caccia. La casa era vuota, e le assi di legno del pavimento scricchiolavano sotto i suoi piedi. Guardò nelle stanze, senza trovare nessuno.

"Mamma, papà? Serena?"

Tutto era in ordine, come sempre. Il fuoco scaldava ancora una pentola che profumava di brodo di gallina. Nel letto della sorella dormiva un uomo mai visto prima. Il Berto lo svegliò, domandandogli chi fosse e cosa diavolo ci facesse in casa sua. L'uomo prese a protestare energicamente, non aveva gradito l'essere stato svegliato. Il Berto perse rapidamente le staffe, prese il batti burro e lo cacciò fuori casa a pedate. Ma quello non se ne andava. O meglio, rimaneva davanti alla porta.

"Beh sta pure lì quanto cazzo ti pare" lo insultò il Berto, sbattendogli la porta in faccia.

Si mise quindi a inseguire un forte scricchiolio in giro per la casa. Gira che ti rigira, rimaneva solo la botola della cantina. La aprì, ma gli sembrò di guardare nella bocca di un animale feroce.

"Niente paura, niente coraggio" si disse.

La scala cigolava sotto il suo peso, l'odore di cibo stagionato, umidità, galline e conigli riempiva l'aria. Come si abituò alla luce scarsa, vide che tutti i salami erano spariti. Al loro posto, rimanevano solo culi e monconi che penzolavano dalle travi. A terra era caduto tutto il pungitopo che proteggeva il salame dai ratti. Notò quindi che sia le gabbie dei conigli che quelle delle galline erano rotte. Come le aprì per vederne l'interno, si trovò sotto gli occhi lo spettacolo straziante di intere covate morte. Molte creature avevano i visceri sparsi tutto attorno, altre vestivano una orribile collana di sangue, ancora scarlatto. Un forte trambusto alle sue spalle gli fece saltare il cuore in gola. I barili del burro rotolavano, spandendo tutto il loro prezioso contenuto. Afferrò la forca per avvicinarsi cautamente. Qualcosa si muoveva con forza dietro i barili e le ceste. Ovunque, sangue e penne di gallina. Come avvicinò la forca per spostare un po' di roba, una martora si mise in luce.

Il Berto trattenne il fiato. L'animale aveva ancora un coniglio fra i denti insanguinati, e lo scrutava con piccoli occhi luccicanti. Non ricordava di averne mai vista una così grande. La pelliccia era scura, nella fioca luce della cantina, forse nera, ispida per il sangue delle molte lotte e della strage che aveva fatto fra gli animali della famiglia Bertoldi.

"Maledetta bestia, che mangeranno adesso, mamma e papà?"

Ma non sferrò subito il colpo. In qualche maniera, quell'animale gli incuteva timore. Stava lì davanti a lui, una forca contro il petto, col bottino in bocca, senza mostrare nessun rimorso o timore nei suoi confronti. Come scorse la sua esitazione, la martora lasciò cadere il coniglio e gli soffiò contro minacciosa. Il Berto si scosse e affondò la forca. La bestia però ne schivò i denti e azzannò con forza il manico, spezzandolo. Il Berto colpì ancora, costringendola alla ritirata. Questa si arrampicò sulle travi del soffitto. Dall'ombra lo guardava con occhi luccicanti. Il Berto aveva il fiato pesante.

"Come hai fatto a spezzare il manico, bestia maledetta?"

Ne aveva paura. Teneva il moncone puntato contro di lei, guardandosi attorno mentre cercava qualcos'altro con cui armarsi, ma tutti gli altri attrezzi era a terra distrutti. Si girò per avvicinarsi alle scale, e la martora saltò. Il Berto incespicò e cadde, urlando di dolore. Cercò di rialzarsi, ma cadde di nuovo. Con orrore vide che la martora gli aveva strappato i tendini delle caviglie.

Impugnò minaccioso il manico della forca.

"Fatti avanti bestia schifosa!" urlò.

Gridò la sua sfida fra le lacrime. Il dolore era atroce, e sapere che l'animale stava giocando con lui per pura crudeltà lo terrorizzava.

Nel cuore e nella pietraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora