Alla Battaglia - Parte I

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    Il sole picchiava senza pietà sulle armature argentee degli Uomini dell'Ovest, disposti in file serrate. Elessar posò istintivamente una mano sull'elsa di Andúril, concentrato a osservare l'orizzonte.
-Sono tutti in posizione?- L'aquila al suo fianco spostò il peso da una zampa artigliata all'altra, annuendo.
Faramir affiancò il Re degli Uomini, respirando affannosamente nell'elmo: -Non mi piace questa situazione. Un esercito di quasi centomila individui non può scomparire nel giro di una notte.-
Aggrottò le sopracciglia in un'espressione preoccupata e gocce di sudore gli solcarono la fronte. Elessar strinse la mascella, teso e altrettanto infastidito dal caldo.
Non appena le Aquile avevano riportato la notizia che il nemico era giunto a Gondor, gli eserciti si erano meticolosamente preparati, allestendo in fretta e furia le infermerie.
Dalla sua posizione, alle porte della città vuota, Elessar non riusciva a scorgere nient'altro che le distese del Pelennor, che stava per diventare di nuovo un campo di battaglia, dopo trent'anni.
Poi, quella mattina, Landroval era rientrato dalla ronda più sconvolto che mai, annunciando che, inspiegabilmente, il nemico era scomparso nel nulla, all'ombra delle fronde del Nord Ithilien.
E, per un attimo, c'era stato solo il panico.
Solo la Stella dei Valar riuscì in qualche modo a placare gli animi spaventati degli alleati, prendendo in mano le redini della situazione. Aveva incoraggiato tutti quanti a mantenere fede al piano e aveva riprogrammato le ronde delle Aquile, rendendole più brevi ma più numerose, in modo che non si stancassero troppo prima dello scontro.
E, ora, attendevano.
Perché qualcosa sarebbe dovuto accadere a momenti, Elessar lo percepiva nelle dita tremanti delle sue mani di Dúnadan.
Se non fosse stato per Sillen, lo sconforto lo avrebbe piegato, ne era certo. Invece era pronto, forse più di quanto non fosse mai stato in vita sua.
Con un gesto secco, si portò una mano al petto, all'altezza del cuore. Piantò gli occhi grigi in quelli bruni dell'aquila al suo fianco, allungando la mano: sul suo palmo ruvido, brillava una spilla. -Siamo pronti allo scontro. Ti chiedo solo un favore. Da' questo a Sillen da parte mia.- L'aquila squadrò il Re degli Uomini, poi prese con delicatezza l'oggetto, chiudendolo nel becco duro.
Spiccò il volo, tra i nitriti contrariati dei cavalli e gli sguardi tesi dei soldati di Gondor.


**


    Sillen, dall'alto delle mura della Cittadella, riusciva ad abbracciare con lo sguardo tutto il campo di battaglia, ancora vuoto e silenzioso. Con un gesto meccanico, sistemò per l'ennesima volta l'alta coda di cavallo che le tratteneva i capelli neri, testando la tenuta del fermaglio elfico che Miniel le aveva regalato.
L'armatura in mithril, sottile ed elegante come l'aveva sempre immaginata, le donava un aspetto fiero e potente, fasciandole le forme come una seconda pelle, più dura delle scaglie di drago.
Ibûn aveva ragione: era un dono degno di un Re.
Su ogni placca lucente erano state lavorate delle leggere filigrane, tanto sottili quanto manieriste; i gambali erano slanciati, per permetterle piena libertà di movimento e, a destra, lo spallaccio* si delineava ampio e regale. Sul corpo, le placche verticali le stringevano il busto come le stecche del più resistente dei corsetti, eppure parevano quasi flessibili sotto i suoi movimenti; erano di una pesantezza rassicurante e andavano unendosi infine in un intreccio di ferro e lacci di cuoio, lungo la linea della spina dorsale.
Sillen passò una mano sull'avambraccio destro, dove le placche dell'armatura si facevano più spesse per proteggerle il braccio armato e sospirò. Nonostante detestasse ammetterlo, si sentiva perfettamente a suo agio in quelle vesti, in quell'intera situazione.
Dopotutto, era nata per vivere quel momento.
Sistemò malamente le placche che le ricoprivano il petto, in modo che non ostacolassero i suoi movimenti ma, probabilmente, aveva stretto male i lacci sulla schiena e queste si spostarono nuovamente. Cercò di capire dove avesse sbagliato, scocciata: Ibûn aveva impiegato pochi minuti a infilargliela correttamente, mentre lei a malapena era riuscita a capire quale fosse il fronte e quale il retro. Morse il labbro inferiore, concentrata, tastando i laccetti di cuoio.
Proprio in quel momento, Glorfindel la raggiunse, smontando dal dorso piumato di una delle aquile: -Gli Elfi sono schierati e pronti.- La informò, serio. Si arrestò proprio dietro di lei, le braccia incrociate e il sopracciglio sottile alzato.
Non l'avrebbe mai rivelato a nessuno ma, per un attimo, sentì il cuore mancare un battito alla vista della Stella dei Valar fasciata in quell'armatura lucente. Il nano che l'aveva forgiata meritava onore e gloria, indubbiamente.
Lei incontrò il suo sguardo e tentò di sorridere ma ne uscì solo una sorta di smorfia tesa, che intenerì l'elfo.
Si fece più vicino: -Sono lacci difficili da stringere da sola.- Commentò, con voce profonda. Le sue dita sicure sciolsero i lacci con gesti secchi, per poi apprestarsi a stringerli nel modo corretto. Sillen non protestò quando Glorfindel strinse con forza i nodi all'altezza della vita e cercò di rimanere il più immobile possibile mentre sentiva finalmente il mithril adeguarsi in modo impeccabile alle sue forme.
Quando si voltò verso l'elfo, si stupì della sua espressione seria.
-Sei perfetta.- Concluse lui. Lo disse come se quell'affermazione fosse tutt'altro che un complimento e lei percepì la sua preoccupazione piombarle addosso come un macigno.
Appoggiò una mano sul suo braccio, coperto dall'armatura dorata: -Andrà tutto bene, Glorfindel. Siamo qui per combattere, non possiamo farci assalire dalla paura. Non oggi.- Disse, incitandolo con lo sguardo a mantenere saldo il suo spirito. Glorfindel abbandonò il solito atteggiamento scostante, osservando a lungo quegli occhi terribilmente grandi e viola.
Era poco più che una bambina e si preoccupava di tranquillizzarlo?
Inaspettatamente, non senza un respiro scocciato, il Vanyar si avvicinò di un passo e la circondò delicatamente con un braccio. Maledisse mentalmente quelle armature che gli impedivano di stringerla come avrebbe voluto, ora che la sua apprensione era tale da mozzargli il respiro.
-Tu cerca solo di non farti uccidere, Sillen. Per favore.- Lei sgranò gli occhi, ritrovandosi con la fronte poggiata al metallo freddo.
In quel momento, un'altra aquila atterrò pesantemente al loro fianco, facendo cozzare le zampe artigliare al suolo di pietra, e i due si voltarono subito verso di lei.
Il Maia si sporse, aprendo piano il becco e Sillen tese le mani a coppa, intuendo le sue azioni. La spilla di Elessar le ricadde sui palmi: era una pietra verde smeraldo, grossa come una noce, incastonata nella sagoma d'argento di un rapace dalle ali distese.
-Elessar ti ha chiesto di darmela?- Sussurrò, Sillen. L'aquila annuì seccamente, poi si rialzò in volo, tornando da dov'era venuta.
-è molto bella.- La contemplò lei, mostrandola a Glorfindel.
L'elfo sgranò gli occhi: -La Gemma di Eärendil!** Elessar deve avertela ceduta in custodia, nel caso dovesse accadergli qualcosa durante la battaglia. Questa pietra è legata al legittimo sovrano di Gondor ed è uno dei massimi simboli del suo potere.- Sillen deglutì, rendendosi conto del vero valore di quella spilla: -Allora sarà per me un onore custodirla, anche se non sono certo all'altezza di indossarla.-
Scostò i capelli neri e la appuntò velocemente alla casacca, sopra al cuore, in modo che fosse protetta dall'armatura. Si premurò di nascondere sotto la veste anche la collana in mithril dalla pietra viola, fonte del suo potere.
Ora era davvero pronta per la battaglia.
Con una dozzina di Aquile e Glorfindel al suo fianco, la Stella dei Valar si sporse nuovamente dal parapetto delle mura, il fodero scuro della spada elfica che le picchiettava sul fianco.
Oramai, il nemico sarebbe dovuto essere lì, alle porte della città.
Invece, v'era solo quiete, calma, silenzio, in tutta la valle.

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