La Contea

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    Confusione. Incertezza. Gioia. Desiderio. Paura. Per secoli, Thranduil era rimasto impassibile ad osservare lo scorrere di quel tempo che non lo toccava e adesso non riusciva nemmeno a respirare con calma.
Nonostante la fermezza, la saggezza e la cinica razionalità acquisite durante interi millenni passati su quella mutevole terra, il Re degli Elfi era, a tutti gli effetti, in balia di un'inaspettata e irrefrenabile tempesta interiore.
L'unica cosa che ancora lo teneva incollato alla realtà era l'incredibile ed irresistibile concretezza del freddo corpo della stella, di nuovo dinnanzi al suo. Oltre ad esso, nemmeno la consapevolezza di essere tornato a diecimila piedi di altezza lo sfiorava e persino rimanere saldo sul dorso della Maia Gwain si stava rivelando un'operazione difficoltosa.
Cosa era accaduto, la sera prima?
Un bacio, certo, di quello era più che sicuro.
Molto più che sicuro.
Al solo pensiero, il Re degli Elfi chiuse gli occhi, costringendosi a respirare a fondo. Per la seconda volta, aveva mostrato alla Stella dei Valar la parte più vulnerabile e intima di sé, giungendo persino a quel contatto che mai avrebbe pensato di desiderare nuovamente.
Ma prima di questo, cosa si erano detti davvero?
In qualche modo, nel silenzio del volo dell'aquila, Thranduil riuscì a scrutare dentro sé stesso, in cerca di risposte. Dopo un comprensibile momento di incredulità e sollievo, nell'animo del Re erano subentrati turbinii di emozioni ben diverse e pensieri senza alcuna logica o razionalità.
Per cercare di far chiarezza, Thranduil ripercorse per intero la discussione avvenuta con Sillen, a partire da ciò che l'aveva scatenata. Gelosia, innanzi tutto: la disorientante immagine della stella in compagnia dell'elfo dorato, durante un'intima situazione che ancora, al solo pensiero, gli faceva ribollire il sangue immortale nelle vene.
Avevano fatto il bagno insieme, dannazione.
Ricordò fin troppo chiaramente i capelli umidi di Glorfindel, quando si era accidentalmente imbattuto in lui nei corridoi della Cittadella. Doveva essere accaduto allora. Oppure, quante altre volte era successo?
Serrò la mascella, allentando la presa su di lei per evitare di attirare l'attenzione con la sua istintiva e rabbiosa reazione, che intanto aveva già teso i suoi muscoli nervosi. Come se non fossero abbastanza infiammati dallo sforzo di non uccidere l'altro maledetto elfo ogni qual volta lo guardava.
Con ogni fibra del suo corpo, avrebbe voluto esternare tutta la sua violenta possessività, che ancora proiettava sulla stella come fosse di sua proprietà, per ricordare al Vanyar di rimanere al suo posto, lontano da loro.
Sospirò, riprendendo pazientemente il controllo delle proprie emozioni. Le cose erano decisamente cambiate, da quanto ancora poteva rivendicare il suo diritto su di lei. Inutile negarlo, aveva già compreso che la stella fosse cresciuta, lontana da lui, come forse era giusto che avvenisse.
Dunque, perché sorprendersi di quella relazione tra i due alleati? Aveva più volte allontanato Sillen da sé, senza permetterle di riacquistare quella dolce familiarità che avevano raggiunto al Reame Boscoso e lei, dopotutto, era pur sempre una giovane donna, come quell'intenso bacio gli avevano ricordato: cercare conforto tra le braccia di qualcuno era un comportamento normale, estremamente... umano. Thranduil poteva non comprenderlo appieno ma lo accettava.
E conosceva bene le abitudini disinibite dell'antico Vanyar, che da secoli, anzi, millenni, si divertiva a sedurre fanciulle e giovani di qualsivoglia razza, solo per mero divertimento.
No, non era sorpreso. Le sue labbra s'incurvarono in un sorriso amaro, quando realizzò cosa stesse provando davvero: avrebbe voluto essere lui a farle conoscere quella parte di realtà che, al tempo della loro convivenza, ancora non era contemplata.
Con tutta la pazienza e l'autocontrollo che possedeva, Thranduil dovette affrontare ancora la sua furiosa e irrazionale invidia, che lo spinse a lanciare l'ennesimo sguardo carico di odio verso l'elfo dorato.
Questo, ignaro di tutto, volava tranquillamente sul dorso dell'aquila bruna, svariati piedi più in alto.
Per fortuna, l'attenzione del Re degli Elfi fu attirata dai movimenti della stella, che si strinse nel mantello con un respiro profondo. Thranduil sapeva che era tesa, e non a causa sua ma di ciò che era accaduto al fiume, a Tharbad. A ben vedere, avrebbe dovuto concentrarsi anche lui su quegli avvenimenti, invece che lasciarsi trascinare dalle emozioni in quel deplorevole modo.
Dopotutto, ancora non era certo di ciò che lei stesse provando e, come la loro storia gli aveva duramente insegnato, giungere a conclusioni da solo non era affatto saggio.
Lui si era sempre comportato con freddezza, distacco e non poteva credere che un bacio, seppur disarmante come quello che avevano condiviso, potesse aggiustare un'intera relazione tanto burrascosa.
E, infine, lui non la conosceva. Almeno, non più.
Non conosceva ciò che le era accaduto in tutto quel tempo passato lontani l'uno dall'altra e sentiva di aver perso dei preziosi momenti che, indubbiamente, l'avevano profondamente segnata, nel bene e nel male.
Lei non era più la ragazzina che aveva raccolto nel cuore del suo Regno, mesi prima. Almeno questo, pensò, lo aveva accettato completamente.
Con un gesto attento, Thranduil aggiustò i lembi del proprio mantello attorno alle spalle della stella, evitando di toccarla. La Maia Gwain aveva preso improvvisamente velocità, seguendo le aquile compagne che planavano più in alto e l'aria fredda del mattino s'insinuava tagliente tra i vestiti dei viaggiatori.
-Ciò che ha detto Glorfindel ieri sera m'impensierisce.- Stava dicendo la stella, preoccupata. Thranduil si riscosse, al suono della sua voce. Abbassò lo sguardo, abbastanza da scorgere il profilo teso della giovane. Lei tormentò il tessuto scuro del mantello, colta dall'improvviso desiderio di piangere: -Sono l'unica che può vedere quell'altra, a quanto pare. Sembra che a voi appaia solo come una... sensazione, mentre io vedo in lei il mio identico riflesso. Non riesco a spiegarmelo.-
Thranduil stesso, nella sua lunga vita, non aveva mai sentito parlare di niente di simile: -Forse è un'illusione del servo di Pallando.- Suggerì, non troppo convinto. Sillen scosse la testa, ricordando fin troppo chiaramente la sua esperienza contro il Maestro delle Illusioni: -No, saprei riconoscerle bene, oramai. Questa cosa agisce sul piano fisico, non solo sulla mia mente. Ha sfondato un muro con un pugno.- Gli ricordò, laconica.
Infatti, con il favore delle prime luci dell'alba, la compagnia aveva ripercorso le stradine di Tharbad con attenzione, cercando indizi risolutivi e, purtroppo, tutto ciò che trovarono allora fu una serie di muri distrutti, ciottoli sconnessi e tetti sfondati, segni evidenti della terribile forza di quell'altra.
L'unica cosa certa, era il fatto che questa attaccasse solo ed esclusivamente Sillen. Svaniva non appena un'altra presenza si avvicinava troppo alla stella, come se non desiderasse uccidere altri tranne che lei. E ciò, in realtà, aveva tranquillizzato non poco tutti i presenti, che avevano momentaneamente convenuto con il Re degli Elfi: Sillen non poteva più restare sola, nemmeno per un momento.
-Una volta scoperto ciò che Mithrandir ha nascosto, avremo più possibilità di venire a capo di questa storia.- La tranquillizzò Thranduil, la voce calda dal tono insolitamente paziente.
La stella annuì, sperando con tutta sé stessa che fosse vero. Istintivamente, cercò la mano dell'elfo sotto al mantello ma, prima ancora di sfiorarla, rinunciò, serrando le labbra. Si erano scambiati un bacio ma, da quel momento, Thranduil non l'aveva sfiorata nemmeno per sbaglio. Era chiaro che non fosse sua intenzione lasciarla avvicinare ulteriormente.
Sillen, nonostante la sua lontananza, aveva imparato a conoscerlo bene e sapeva che il Re degli Elfi non avrebbe più agito senza prima aver preteso delle conferme: lei, dal canto suo, non vedeva l'ora di dargliele tutte, per poi mettere da parte quell'indifferenza che le spezzava il respiro.
D'improvviso, sopra di loro, la voce di Glorfindel risuonò alta e chiara, facendoli sussultare: -Ehi, voi due. Cominciamo ad abbassarci. Stiamo sorvolando la Vecchia Foresta, ci siamo quasi. Mancano poco più di cento miglia.-
Anche le altre aquile erano dunque scese di quota, pronte ad atterrare.
La stella, curiosa, lanciò uno sguardo sotto di sé e i suoi occhi si persero tra le fronde scure degli alberi della foresta e l'ondeggiare dell'erba brillante delle numerose colline. Il Brandivino poi, come una lontana pennellata di luce, li accompagnò nel silenzioso atterraggio nel Decumano Ovest: finalmente, erano giunti nella Contea.

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