«Sei proprio sicura?» mi chiede Settimo, per la terza volta consecutiva.
Non perdo neanche tempo a cercare di capire se si riferisca alla mia capacità di infilare l'agocannula nella vena di Derclide o alla mia apparente persuasione che questa miscela di farmaci che ho preparato non la mandi all'altro mondo. Perché, tanto, la risposta sarebbe la stessa, dato che non sono sicura di nessuna delle due cose.
«No» rispondo. «Vuoi provarci tu?»
«No, va bene» concede, facendo un passo indietro. «Cosa le stai somministrando?»
«Quello che ho trovato alla Spelonca» rispondo. «Nifedipina, magnesio solfato e scopolamina. Combinati nei giusti dosaggi, forse, potrebbero riuscire a bloccare il travaglio».
«Forse» ripete, accigliato.
«Se hai un'idea migliore, la mia proposta è ancora valida» rispondo, e intanto riesco finalmente a beccare la vena della povera Derclide, che abbiamo fatto stendere sul letto sgangherato e che si è addormentata all'istante.
«No» ripete. «Senti, scusami. Almeno ci stai provando».
«Oggi è il penultimo giorno di Saturnalia» rispondo, quando i primi chiarori dell'alba iniziano a diffondersi all'interno della stanzetta. «Deve resistere solo fino a dopodomani. Una volta tornati a casa...»
Una volta tornati a casa... che cosa? Una volta tornati a casa per lei sarà, se possibile, ancora peggio. Partorirà un bambino pretermine senza assistenza medica e se uno dei due dovesse sopravvivere si troverà quasi certamente a rimpiangere di non essere morto finché era in tempo.
Alzo lo sguardo su di lui solo per un attimo. Perché so che dopodomani, quando avrà di nuovo un collare elettrico intorno al collo, non riuscirò più a farlo.
La flebo comincia a gocciolare e Derclide emette un gemito sommesso.
«Puoi andare, resto io con lei» gli dico.
«Il Cesare dov'è?» mi domanda.
«È andato a riposare».
«E Fumilla?»
«L'ho mandata a cercare mio fratello, ma ancora non torna».
«Allora resto qui» sospira, passandosi una mano tra i capelli corvini. «Dovessi aver bisogno di qualcosa».
«Come ti pare» concedo.
Tanto la mia serata non potrebbe andare peggio, in ogni caso. Derclide viene colta da una contrazione ed emette un rantolo soffocato, come se non avesse più la forza neanche di urlare, prima di girarsi su un fianco dandoci le spalle e tornare a dormire.
«Avreste dovuto chiamarmi prima» borbotto. «Se una di queste contrazioni dovesse rompere il sacco non credo che riuscirei a—»
«Forse sarebbe meglio» mi interrompe.
«Meglio? Sai che un bambino di trenta settimane, nato in queste condizioni, ha tipo... nessuna speranza di sopravvivere?»
«E, invece, se nascesse alla fine della gravidanza, nell'Urbe, a casa di Valentiniano, che speranze avrebbe?»
«A questo, forse, era il caso di pensarci prima» rispondo.
«Prima? Prima di cosa?» domanda, aggrottando le sopracciglia folte.
«Prima di restare incinta» preciso.
Perché nessuno, a Nova Roma-II può sfuggire al rigido programma di controllo demografico e riprodursi a proprio piacimento. Neanche i cittadini liberi, figuriamoci gli schiavi. Schiavi che, se non specificamente da riproduzione, sono costretti per legge ad assumere i silenziatori ormonali e il cui processo riproduttivo è totalmente in mano al centro di allevamento del Macellum. È il Macellum a selezionare i soggetti migliori da incrociare e riprodurre, a coprire tutte le spese mediche e a far fronte alle eventuali complicazioni. E in seguito, ovviamente, dispone dei bambini come meglio crede, vendendoli in fasce a chi richiede un neonato, crescendoli e vendendoli una volta adulti e già specializzati nelle discipline più richieste, mandandoli a lavorare nelle miniere di serviosite delle colonie, oppure tenendoseli come elementi da riproduzione.
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SATURNALIA
Ciencia FicciónDopo la Grande Glaciazione, gli abitanti di Nova Roma-II sono tutto ciò che rimane dell'umanità. Umanità che riesce a sopravvivere solo grazie a sofisticati sistemi di scongelamento e che, negli ultimi cento anni, ha edificato un rigido sistema so...