Avevo impiegato fin troppo tempo a decidermi a muovere il culo.
Non mi era bastato l'invito – se così si poteva chiamare – di Alec di andare a parlare con Grace per farla ragionare.
C'erano volute diverse ore, una nottata infernale e una sbronza colossale per convincermi che mi sarei prostrato anche ai suoi piedi pur di riportarla tra le mie braccia.
Che cavolo, non lo avrei mai detto, ma quella donna, dalla lingua tagliente e gli occhi di ghiaccio, mi aveva totalmente stregato.
Non riuscivo a fare a meno di pensare a che sapore avesse, ai versi che faceva quando veniva. Non potevo non ricordare il modo in cui si scioglieva tra le mie braccia, come riusciva ad abbandonarsi ai sensi, andando contro la sua stessa natura.
La verità è che Grace mi aveva fatto guardare sotto la sua maschera e quello che avevo visto mi era piaciuto.
Alla fine, ero arrivato alla conclusione che non mi sarei arreso senza lottare.
Alec non aveva protestato quando avevo chiesto una giornata di ferie. Sapeva che ero intenzionato ad andare da Grace per braccarla e convincerla a ragionare. Tuttavia, anche i migliori piani hanno delle falle.
Mi ero presentato a casa sua all'ora di pranzo, convinto di trovarla a crogiolarsi nel dolore e nella sofferenza. Invece, ancor prima che potessi raggiungere il suo piano, il portiere mi aveva fermato informandomi che era uscita.
Di fronte al mio mazzo di rose – stupida idea di Samantha – e alla mia faccia delusa, aveva avuto pietà di me e mi aveva confidato di aver origliato l'indirizzo che aveva cominciato al tassista.
Stava andando a pranzo fuori. Con chi?
Per un attimo la gelosia mi aveva offuscato i sensi, poi, lentamente, ero tornato a ragionare. Stavamo parlando di Grace. Ci aveva messo anni a fidarsi di me, dubitavo fortemente che stesse per avere un incontro amoroso con qualcun altro.
Giunto al Claire de Lune, il ristorante francese più in voga della città, compresi finalmente con chi stesse pranzando: sua madre e quel damerino fastidioso che avevamo incrociato quando eravamo andati a cena dai suoi genitori.
Strinsi gli occhi cercando di valutare la situazione.
Grace era di spalle. Dalla posa rigida delle spalle sembrava stesse affrontando un'orda di orchi pronta a mangiarla e non sua madre e un tizio senza spina dorsale.
Avanzai d'un passo pronto a darle man forte, ma Grace mi stupì spingendo la sieda indietro e alzandosi. I due commensali di fronte a lei la guardarono a bocca aperta. In realtà, la madre aveva un colorito che andava dal verdognolo al grigio e sembrava stordita.
Scommisi che Grace le avesse detto qualcosa che non doveva averle fatto piacere.
La mia micetta aveva le unghie, una perfetta compagna per una lince come me.
Comprendendo che la donna non aveva bisogno di essere salvata, ma ci riusciva benissimo da sola, avanzai deciso a fare quello per cui ero venuto.
Mi bloccai davanti al loro tavolo. Grace, che era in piedi, si voltò verso di me con lo sguardo incredulo. Mi scrutò da capo a piedi, catalogando anche l'enorme mazzo di fiori che mi ostinavo a trascinarmi dietro. Poi ripeté lo stesso percorso all'inverso.
«Che cosa ci fai qui?» gracchiò.
Dio, adoravo vedere la sua maschera tremare quando ero davanti a lei. Quella era la dimostrazione che non le ero indifferente.
«Sono venuto per far ragionare la tua testa dura.»
«Ragionare?»
«Non puoi nasconderti, non da me. Ho visto sotto la tua maschera, Grace e ho capito che mi piace ciò che nascondi.»
La donna mi guardò come se fossi impazzito.
«Ti piace come riesce a maltrattarti la mia lingua tagliente?»
«Tesoro, da te mi farei maltrattare notte e giorno se questo significa averti al mio fianco.»
«Mi stai facendo la dichiarazione?» Lo disse ridendo, ma poi diventò seria quando comprese che io non stavo scherzando.
«Grace La Despota Smith, la tua occhiata glaciale mi ha sedotto dal primo momento in cui ho messo gli occhi su di te. La tua gelida passione mi è entrata sottopelle e mi ha reso tuo. Hai il mio cuore, il mio corpo e il mio...» Mi bloccai ricordando che avevamo spettatori. Per un attimo, mi stavo facendo scappare la faccenda del mutaforma. Grace, però, capì anche senza bisogno di parole.
«Sei catastrofico per il mio sangue freddo. Fai tremare la mia maschera come nessuno è mai riuscito prima, ma adoro come riesci a scaldarmi quando ti insinui sotto di essa.» Si avvicinò, poggiandomi una mano sul petto. «Riesci a capirmi anche quando agisco senza logica. Sei il caos perfetto per la mia vita controllata. Credo proprio di essermi innamorata di te.»
Sorrisi per la sua dichiarazione strampalata. Forse non aveva usato grandi parole, ma da Grace, donna gelida e spesso anaffettiva, non potevo che chiedere niente di meglio.
Mi inclinai di lato e passai il mazzo di fiori alla madre di Grace. La donna lo afferrò in modo automatico, troppo stordita per capire cosa stesse facendo. Tornai a dedicarmi alla mia donna.
«Sei pronta?» chiesi.
«Per cosa?»
«Per andare a casa» dichiarai. Dopodiché mi inclinai in avanti, l'afferrai sotto le ginocchia e me la issai in spalla come un sacco di patate.
Grace scoppiò a ridere. Tra una risata e un'imprecazione, uscimmo fuori dal locale e la feci accomodare in macchina, poi feci il giro e mi accomodai al posto del guidatore.
Partii con un rombo portentoso.
Eravamo pronti a sfidare la vita insieme.
Entrambi avevamo numerosi spigoli, ma quando eravamo insieme ci incastravamo alla perfezione.
Eravamo una coppia stupendamente im-perfetta.
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Gelida
Fantasía** NOVELLA SPIN-OFF DI ALTEREGO - IL CUORE DEL GRIZZLY (disponibile su Amazon) ** -Disclaimer- Novella da leggere solo dopo aver letto il libro principale in modo da non incorrere in spoiler e comprendere meglio gli eventi narrati. Dylan McLogan sa...