Siete mai stati a Beccogrifagno?
Inutile che rispondiate, lo leggo dai vostri visi.
Impossibile avere sorrisi tanto sinceri, occhi che conservano un barlume di innocenza, o una postura che tradisce ancora qualche forma di speranza, dopo aver visitato quel gran pezzo di sterco fumante che il demonio in persona ha defecato tra le montagne.
E per quale motivo potreste voler andarci, poi?
Un paesino spuntato dal nulla come una verruca, circondato solo da roccia e alberi. Terra talmente sterile che è più facile imbattersi in un cadavere che un fiore, abitata da gente, se possibile, ancora più arida.
Certo, vengono un sacco di ottime merci, da lì. Gli alberi offrono legno pregiato e frutta secca, le cave sono ricolme di diamanti e vene d'oro, se si scava abbastanza a fondo. Ma credetemi, è mille volte meglio essere povero qui che danaroso a Beccogrifagno.
Ah, e avete sentito della pentola? No? Rimedio subito.
Immaginate la piazza grande di quel villaggio, grande per modo di dire, naturalmente. Al centro esatto, invece di avere, che ne so, una statua o una fontana, i grifagni hanno un grosso calderone, nero come la pece, pieno fino all'orlo di mandorle, pinoli, noci e nocciole. Li raccolgono dagli alberi, e si assicurano che il livello non scenda mai.
Ebbene, se voi vi recaste lì, alla mattina, assistereste alla più bizzarra delle processioni. Li vedreste arrivare uno alla volta, in fila indiana, in religioso silenzio. Simili a tante belle formichine, in ordine dal più vecchio al più giovane, senza farsi mancare qualche sgomitata occasionale tra quelli tanto sfortunati da condividere la stessa età. E ciascuno di loro, quando viene il suo turno, allunga la mano scarna, la affonda nel pentolone, afferra più che può e ci riempie una scarsella di pelle che porta alla cintura. Un pugno di frutta secca. Ognuno può immergere la mano una volta, una volta sola. E quando hanno finito, se ne vanno.
Chi sono, mi chiedete? Sono i mercanti. Essì. Ricordate l'elenco di belle robette che vi ho fatto prima, delle risorse di cui è ricca la vetta? Beh, se siete svegli vi sarete accorti che manca qualcosa di veramente importante... il cibo. L'unico prodotto commestibile di quell'immondezzaio è la frutta secca, per questo sono costretti a importare. E per quanto i grifagni possano avere il cuore di pietra, il loro stomaco rimane di carne, e brama cibo e vino tanto quanto il vostro o il mio.
Ma dovete sapere che quando quei poveri disgraziati tornano da Bellavalle, da Verdepiana o da Lagochiaro, quanti tra loro hanno ancora il loro pugno di frutta secca si dispongono ordinatamente nella piazza e svuotano il sacchetto nel calderone. Perlomeno... così fanno quelli che hanno la fortuna, o per certi versi la sventura, di tornare.
Vi starete chiedendo il perché di una tale, stravagante usanza. Si tratta di un gesto propiziatorio? È forse consuetudine per i grifagni donare frutta secca ai clienti come omaggio per celebrare un affare andato particolarmente bene?
Niente affatto.
Dovete sapere che, tra tutti i malanni che affliggono quella miserabile gente, il peggiore non è la carestia, la neve o i lupi. Il flagello più terribile sono gli orchi di montagna che infestano i sentieri intorno al paesino. Creature blasfeme nell'aspetto e nel comportamento, prive di compassione e ghiotte di carne umana... ma, ancor più, di frutta secca. Un antico patto stipulato tra i grifagni e gli orchi prevede che il viaggiatore sorpreso da tali mostri potrà barattare la salvezza con un pugno di frutta secca. Per questo i mercanti di Beccogrifagno non partono mai senza aver riempito la loro scarsella.
Ci credete? O pensate che sia solo una sciocca superstizione?
Sapete... ho sentito una storia, tempo fa.
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Un Pugno di Frutta Secca
FantasyTra le montagne, sorge lo sventurato paesino noto come Beccogrifagno. La tradizione avvisa tutti coloro che cercano di lasciare la città di portare con sé un pugno di frutta secca, unico modo per sopravvivere a un incontro con i terribili orchi di m...