Capitolo X

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[POV DARYL]

Un grande cancello a rotaia si aprì di fronte a noi. Entrammo cauti con i veicoli mentre le voci si udivano più chiare e distinte.

"Siamo arrivati", le sussurrai all'orecchio ma Shannon non rispose. Sentivo una sensazione vischiosa tra le dita. Mi ritrovai la mano che le cingeva la vita piena di sangue. La ferita al fianco iniziò a sanguinare copiosamente.

"No... Rick muoviamoci!" gridai realizzando che Shannon era in serio pericolo. Rick si girò ed i suoi occhi blu si spalancarono vedendomi con le mani insanguinate.

Rick ci aprì la portiera agitato, scesi dall'auto in preda al panico. La scena si svolse a rallentatore.

La tenevo in braccio ma non sapevo che fare; su chiamata di Rick, Aaron subito ci corse in contro e ci condusse all'infermeria dove ci accolse un uomo grande e grosso. Un chirurgo. Appoggiai Shannon sul lettino con defibrillatore.

"Salvatela", continuavo a ripetere mentre Rick cercava di trascinarmi all'esterno. Mi cingeva i fianchi da dietro con entrambe le braccia, poi mi afferrò per il giubbino alato.

"Ho detto FUORI!", disse con tono autoritario il dottore voltandosi verso di noi.

Mi scosse, facendomi rinvenire da quello stato di panico. Rick cercò di chiudere la porta e l'ultima scena che vidi era lei piena di sangue, altri che cercavano di tagliare la maglietta e una dottoressa bionda che le sentiva il cuore con lo stetoscopio.

Restammo seduti sulle scale, solo immaginando cosa stesse succedendo lì dentro. Aaron si offrì come messaggero, usciva di tanto in tanto per aggiornarci sullo stato della ragazza. Io e Rick aspettammo quasi due ore nella paura di perderla prima di avere conferma della stabilità della sua situazione e così tranquillizzarci. Pete, il chirurgo, ci venne ad informare personalmente di questo.

Sentii liberarmi da un grosso peso che stava quasi per soffocarmi.

"Rick, è fuori pericolo... ti stanno aspettando", borbottai avvicinandomi allo sceriffo. Era distrutto e si vedeva ad occhio nudo. La fronte sudata dall'ansia e agitazione. I capelli appiccicati ad essa. Le mani appoggiate alle ginocchia gli tremavano leggermente.

"Rick, come stai?"

Prese i capelli tra le mani e li tirò all'indietro.

"Non poteva accadere di nuovo", sussurrò con tono quasi impercettibile e lo sguardo perso nel vuoto davanti a sé.

Non poteva cedere così, aveva dei figli e doveva occuparsi di loro specialmente ora che vedevano catapultarsi in una realtà completamente diversa, quasi vicina alla vita di tutti giorni prima dell'epidemia.

Annuì col capo.

"A dopo".

Per me era cambiato poco o niente a confronto. Solo ero, a parte mio fratello, e solo ero rimasto. Anzi, questa catastrofe mi aveva dato il dono di conoscere tutti loro che per me erano diventati più di una famiglia. Erano la famiglia che non avevo mai avuto.

Una madre ubriacona morta in un incendio, provocato dalla sua stessa sigaretta, ed un padre che provava gusto e spasso ad infierire sulla mia schiena con la sua maledetta cinghia di cuoio. Dio sa quante volte ho gridato dentro di me e trattenuto le lacrime per quel dolore lancinante, chino in ginocchio, ma non lo mostravo. Più non lo mostravo e più ripetutamente faceva schioccare quella spessa cintura sulle spalle, non curandosi di tenerla per la fibbia. Ora era diverso, ero libero da quella prigione di abusi e violenza. Potevo essere semplicemente io.

Rick si diresse verso Aaron che lo stava aspettando alla fine del viale.

Salii le scale ed entrai nella casetta bianca chiedendo il permesso. Un sorriso sincero mi accolse.

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