Habibi

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Di quando incontrai Sarra Ahmadi ricordo che era un venerdì sera di settembre. Mattia era tornato al lavoro da poco e ci eravamo fermati al pub per festeggiare. Non che quella sera fosse in qualche modo memorabile, semplicemente era una scusa come un'altra per stare fuori a bere, per ritardare il più possibile il ritorno dal malessere con cui mi ero sposato dieci anni prima e scordare il resto. Lei era lì: era stata assunta da poco e la si vedeva correre come una pazza per fare bella figura con i capi della nuova gestione del pub. Ciò nonostante, aveva un sorriso per ogni avventore, una parola per ogni pazzo mezzo ubriaco che stava nel locale. Proprio per questo, forse, rimase alquanto stupita di vedere l'atteggiamento degli altri camerieri nei confronti del nostro tavolo: a forza di passare le serate a bere lì, ci avevano riservato un tavolo e portavano il primo giro di birra senza nemmeno ordinarla. Il resto erano tutte chiacchiere e pacche sulle spalle, come facessimo parte dello staff anche noi.
Sarra era davvero qualcosa: sui vent'anni, occhi ambrati, grandi e "all'insù" come solo le donne mediorientali hanno, con un sorriso che definire contagioso è a dir poco riduttivo. Me ne innamorai a prima vista.
Serata dopo serata, settimana dopo settimana, birra dopo birra, qualcosa in lei si sciolse e le sue non furono più solo chiacchiere da convenevoli. Ogni battuta pareva avvicinarci, ogni sguardo divenne il preambolo per una serie di ammiccamenti e risate: pareva davvero che ogni parola si incastrasse perfettamente nei discorsi dell'altra, fino a che ci trovammo fuori, una sera, a baciarci sotto la pioggia di febbraio, perché il ristorante ci aveva cacciato all'ora di chiusura. La amavo alla follia. Poi arrivò il Covid.

Non si poteva uscire, non si poteva vedere nessuno se non per via telematica. Non era facile, però, spiegare a un anziano padre siriano cosa facesse "la sua principessa" in videochiamata con un bizzarro cinquantenne italiano, invece di dedicare il tempo a sentire la nonna che era rimasta in patria.

Quando la rividi in video chiamato, mi misi a piangere. I capelli sciolti, gli occhi tanto grandi che pareva fosse appena uscita da un cartone animato giapponese e, soprattutto, mi sorrideva come le avessero appena mostrato la fine di quell'incubo.

I mesi che seguirono, furono affannosi, senza nemmeno il tempo di pensare: a ogni sblocco sulla quarantena, ci precipitavamo a fare l'amore, incuranti se fosse in una stanza di un motel o parcheggiati in piazza nel suo paesino. C'era la fame di libertà, la voglia di vedersi, il bisogno di tornare alla vita come la conoscevamo e lei era diventata tutta la vita che volevo ricordare di prima della pandemia. Assaporavo ogni sussurro detto con quell'accento così strano, ogni ti amo rubato alle notti fuori dal pub, prima che il padre chiamasse per accertarsi che fosse viva. Ero tornato a essere un adolescente innamorato e non ci credevo nemmeno io. Cosa poteva andare storto?
Quando finalmente il COVID parve dare finalmente tregua al nostro martoriato mondo, successe l'irreparabile. Mi confessò che ero stato il suo primo amore e non aveva esperienza, al punto tale che i primi mesi era terrorizzata all'idea di fare sciocchezze con me, perché non sapeva cosa avrebbe fatto se mi fossi stancato di lei. A quel punto, però, le cose erano cambiate: lei era maturata nella coscienza di sé stessa e sicura di ogni aspetto del suo essere donna, forte e bellissima. Solo una cosa le restava a minare la sua sicurezza: e se un giorno avesse trovato qualcuno, più giovane, più elegante, più libero dalle insicurezze che, invece, l'età mi aveva malamente donato? Lo avrebbe rigettato, sicura del nostro amore o avrebbe rovinato tutto, per la mancanza di esperienza amorosa?

La guardavo con le lacrime agli occhi, quegli occhi grandi e sinceri, pieni di dolore per la confessione di un bisogno profondo, che non ce la faceva più a nascondere e feci la cosa più stupida che può fare un uomo innamorato: if you love somebody set them free, diceva la canzone, e così feci io. Lei ci mise un attimo a trovarsi un altro: Cesare si chiamava. Lo avevo cercato su Facebook e sembrava un tipo a posto, simpatico, belloccio, pieno di amici veri, non di quelli da social. Alla prima foto insieme sul web, anche la fitta al petto che provai fu reale.
"È più giovane. È libero. È tutto quello che potevi desiderare. Che arma posso avere contro di lui? Solo la pazienza..."
"Habibi" disse lei, "Non ti serve altro. La tua arma migliore sei tu."

Ma, evidentemente, non bastava.
Dopo tre anni il nostro amore finiva lì.
Dopo tre anni il loro sarà coronato da nozze grandiose e da un viaggio atrovare la nonna in Siria

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 19 ⏰

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