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I suoi denti affilati mordevano e laceravano la pelle di Selene, causando una sensazione di tormento. Il suo sangue scorreva fuori dal suo corpo, fluendo inesorabilmente nella bocca insaziabile di lei.

Le sue mani, come morse di ferro, stringevano con forza la vita di Selene, mentre le sue cercavano disperatamente di liberarsi dalla sua presa opprimente, che la soffocava lentamente. Ma Selene rimaneva immobile, imperterrita nella sua determinazione.

I suoi ringhi riecheggiavano nell'aria, e di tanto in tanto la sua bocca si staccava dal collo di Selene.

Il cuore pulsava con una ferocia indomabile contro la schiena di Selene, mentre il suo batteva sempre più debolmente, avvicinandosi inesorabilmente alla sospensione.

Era questione di attimi, poteva sentirlo. Se avesse consumato ancora un po' del suo sangue, avrebbe affrontato la morte imminente.

Implorava con una voce flebile, supplicante, ma lei non cedeva, continuava il suo macabro banchetto.

Fino a quando emise ciò che credeva fosse il suo ultimo respiro.

Selene aprì gli occhi, aspettandosi di ritrovarsi ancora immersa nella tetra foresta o nel vuoto più insondabile.

Un senso di impotenza la avvolgeva completamente; i suoi arti erano irrigiditi dal dolore, mentre una sensazione di bruciore le graffiava la gola. Capogiri acuti tormentavano la sua mente e il suo collo pulsava incessantemente.

Con uno sforzo, batté lentamente le palpebre pesanti, il suo sguardo lentamente si focalizzò sul luogo in cui si trovava. Era nella sontuosa camera del Palazzo.

Un'ondata di tristezza, malinconia e disperazione la travolse. Era chiara la realtà inconfutabile: Damyan l'aveva catturata, aveva trionfato, e ora era prigioniera del suo oscuro destino. Era sua.

Si mosse debolmente, avvertendo un dolore sordo nello stomaco. Con le braccia tremanti, riuscì a sollevarsi e si sedette sul letto. In quell'istante, un brivido le percorse la spina dorsale quando si rese conto che non era sola.

Sulla poltrona accanto al letto, il suo carnefice giaceva seduto con una posizione disinvolta, le gambe aperte, le braccia appoggiate sugli eleganti braccioli, e un sorriso malizioso danzava sul suo volto perfetto. I suoi occhi si spalancarono leggermente quando notò il terrore nei suoi.

«Buongiorno, amore» disse con un tono sibilante e contorto.

In quel momento, avrebbe dato qualsiasi cosa per poter sferrare un altro schiaffo su quel volto perfettamente egocentrico e malvagio.

Il suo sguardo si riempì di rabbia mentre l'odio cresceva in lei come una fiamma avvolgente.

Una fitta dolorosa piombò nel suo collo, facendola digrignare i denti. Istintivamente, portò una mano alla ferita e sentì qualcosa di viscido macchiarle le dita. Erano le erbe curative che Missah usava sempre.

«Mi hai morso» sibilò in un sussurro tagliente.

Lui mantenne il suo sorriso beffardo e alzò un sopracciglio. «Tu mi hai tirato un calcio nelle palle. Siamo pari.»

Gemmai nervosamente, il suo sguardo ancora carico di rabbia per il suo comportamento sprezzante.

«Mi fai schifo» mormorò con disprezzo.

Il suo sorriso si allargò ancora di più, come se godessse della sua indignazione. «Oh, amore, una volta che ti abituerai a me, vedrai che non sono così male.»

Abituarsi. Era una prospettiva terribile, ma sapeva che doveva farlo. Aveva fallito la prova e ora doveva imparare a convivere con lui. Tuttavia, nel suo cuore, pregava segretamente che la sua permanenza in quel Palazzo non durasse a lungo e che prima o poi sarebbe stata portata da Declan, l'unica speranza di fuga che le restava.

La Guerra degli Dei - La Prescelta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora