Era quasi mezzanotte quando i piedi di Rion sbucarono fuori dalla strada desolata, infondo era pur sempre notte. In molti dicono che New York sia la città che non dorme mai, Rion non condivideva nemmeno minimamente quell'idea, o almeno in parte.
Il centro di New York, quello che fanno vedere alla tv o sui giornali non dorme mai, ma non appena ci si sposta di un bel po' di chilometri, dove le strade si diramano dando vita a delle piccole città, lì si andava a letto molto presto.
Era uno di quei quartieri tranquilli, come se fosse una città a sé. Molti vecchietti lasciavano la grande mela per venire a concludere la propria vita lì, i giovani, al contrario, lasciavano il quartiere per andare nella città insonne.
Anche Rion non vedeva l'ora di andarsene, ma non per trovare lavoro o studiare, ma perché si sentiva fuori posto in quel quartiere. Non si sentiva a casa, era un'estranea.
Non voleva essere accettata dagli altri, era come invisibile per il resto della popolazione mondiale, voleva solo che lei si sentisse a casa e sarebbe anche andata in capo al mondo per trovarsi una dimora dove vivere in pace.
Rion molte volte si ripeteva che quelle erano solo fantasie di un'adolescente, si convinceva che tutti, a sedici, diciassette o diciotto anni si sentissero fuori luogo, era pur normale: ogni adolescente si trovava davanti un mondo pieno di misteri, nuove esperienze, è naturale che una persona si senta indecisa su dove andare e cosa fare.
La ragazza però, pensava che la sua fosse una filosofia che durasse da troppo tempo, infatti aveva quella sensazione non da quando aveva sedici anni, ma da molto prima e non riusciva a spiegarselo. L'unica cosa che poteva, e doveva fare, era quella di rimanere lì nell'oscurità.
Una brezza invernale fece sventolare i capelli neri a Rion, la quale si tirò più su il cappuccio della giacca, odiava tornare così tardi a casa, per di più senza che i suoi genitori lo sapessero, ma quella era l'unica ora della notte per fare quello che lei faceva.
Perché nonostante Rion odiasse il suo quartiere, nonostante non vedesse l'ora di andarsene, sapeva che quel quartiere di New York era la sua unica speranza.
Perché prima che lei se ne potesse andare, c'era una cosa che andava risolta, o meglio: valeva la pena di tentare.
I piedi sul selciato non facevano il minimo rumore, nella strada si sentiva solo il suo respiro. Rion sapeva che a quell'ora non c'era in giro nessuno, neanche un gatto nero che poteva attraversare la strada per portare un po' di sfortuna, nemmeno uno stupratore posto dietro l'angolo.
Rion era a conoscenza di quel fatto, ma nonostante ciò, cercava di fare silenzio, per ascoltare i suoni della notte.
Gli alberi che frusciavano, delle macchine in lontananza, il verso di qualche animale. Erano suoni che la ragazza adorava, le donavano una pace immensa.
Era vita, quella.
Fu proprio mentre sentiva quei rumori che un suono, diverso dal solito, colse la sua attenzione.
Tese l'orecchio e riconobbe dei passi, davanti a lei. Proprio in quel momento comparve una persona da un vincolo lì vicino, portava sulle spalle una borsa e si stava dirigendo a una macchina.
Rion intravide delle valigie su di essa, evidentemente qualcuno si era appena trasferito.
A Rion fece sorpresa questo: la persona era un ragazzo giovane, avrà avuto al massimo vent'anni e nessun ventenne si era mai trasferito lì prima d'ora.
L'apparenza inganna a volte, si disse Rion e proseguì il suo tragitto.
Il ragazzo non si accorse di lei sino a che non passò accanto alla sua macchina.
Non fece niente, semplicemente disse: «Hai una sigaretta?»
Rion si bloccò e ci mise qualche secondo per capire che stava proprio parlando con lei, si voltò lentamente e fissò bruscamente il ragazzo. La luna illuminava solamente mezzo viso, ma comunque non era molto visibile per via del buio, l'unica cosa che si vedeva era un paio di occhi azzurri, ghiaccio.
Rion si sentì quasi congelare, non ne aveva mai visti di così azzurri. Nemmeno sua sorella, che aveva il mare al posto degli occhi, li aveva così chiari.
La bruschezza sul viso di Rion, fece abbassare il capo al ragazzo, che mormorò: «Per favore?»
La ragazza annuì distrattamente mentre si faceva scivolare dalle spalle lo zaino e ne tirava fuori una sigaretta.
Il ragazzo la prese e le fece un cenno d'assenso, poi chiese: «Hai da accendere?»
Rion aveva capito che non avrebbe ottenuto la parolina magica di nuovo, così, sempre in silenzio, frugò nelle tasche della giacca e passò l'accendino al ragazzo che accese la sigaretta e iniziò ad aspirare di gusto.
Rion notò che fumava perché gli piaceva, e non per farsi vedere dagli altri o per farsi grande, la sorprese. Seppur non aveva amici e nemmeno conoscenti, di persone ne aveva viste tante e tutte, fumavano senza il gusto di farlo, quel ragazzo no.
La ragazza prese l'accendino e curvando le labbra in un sorriso muto, riprese il suo cammino. Mancavano solamente pochi isolati e poi sarebbe giunta a casa.
La sigaretta cadde sul selciato con un rumore sordo e si sentì solo la suola della scarpa di Louis che colpiva il terreno nel bel mezzo della notte.
L'idea di andare a vivere a New York lo entusiasmava, ma quando scoprì che era uno squallido quartiere di provincia, si sentì montare dentro di sé una rabbia cieca.
I suoi genitori gli avevano mentito, ma nonostante fosse già maggiorenne, non riuscì a opporsi agli occhi inferociti del padre quando gli annunciò che erano a solo un'ora e mezza da New York.
Un'ora e mezza. Questo significava che Louis poteva benissimo sognarsi le passeggiate notturne illuminate dalle mille luci della grande mela, poteva sognarsi la borsa di Wallstreet, poteva sognarsi il Madison Square Garden, poteva sognarsi New York perché sapeva per certo che sarebbe passato tempo prima che l'avrebbe vista.
Era arrabbiato perché per il lavoro di suo padre, aveva dovuto lasciare tutti i suoi amici a Boston, non poteva più vedere Yasmine, sentire il profumo dei suoi capelli o toccare la sua pelle delicata, l'aveva lasciata e non poteva più vederla.
La rabbia vaporò piano mentre il fumo gli attraversava i polmoni, le sigarette erano uno dei suoi rimedi per andare avanti. Per cinque minuti della sua inutile vita, Louis si sentiva evaporare.
Perché per tutti quei diciannove anni si era sentito arrabbiato, nonostante la vita gli avesse donato moltissime cose, lui era incazzato.
Era sempre incazzato, brusco, secco con il mondo.
Non la odiava però, la Terra.
Louis sapeva che quando c'era una cosa negativa dall'altra parte della medaglia ce n'era una positiva e quindi valeva la pena tentare di cercare quella positiva.
Peccato che la cosa positiva se l'era sempre fatta sfuggire dalla mani, perché Louis respingeva tutte le cose belle.
Era come se avesse attaccato una calamita che attirasse i fatti negativi, allontanando quelli positivi.
Louis era a conoscenza di questo fatto ed era arrabbiato.
Molte volte non capiva con chi o cosa dovesse essere arrabbiato, se con se stesso o il mondo.
Ripensò alla ragazza che gli aveva dato la sigaretta, le era parsa distante, come venuta da un sogno e anche brusca.
Quella ragazza sapeva trasmettere i propri sentimenti attraverso il viso e Louis conosceva quel genere di persone: ti ingannavano, facendoti credere ciò che loro volevano far vedere al resto del mondo. Il ragazzo aveva capito che Rion esigeva da lui una richiesta educata e così le aveva chiesto per favore.
Louis sapeva com'erano quel tipo di persone, questo perché anche lui per una piccola parte della sua vita aveva cercato di far trasparire quello che voleva mostrare al mondo e c'era perfino riuscito, ma poi si era stancato e aveva mandato tutto a puttane.
Entrò nella casa vuota, sembrava molto più grande rispetto a quella di Boston, ma sapeva che una volta riempita con i mobili e tutto il resto, sarebbe stata molto più piccola.
«Mamma, dov'è la mia camera?» chiese entrando in casa.
«Sali le scale, sulla destra.» rispose sua madre mettendosi sulle spalle una borsa.
Louis sorrise leggermente e chiese: «Vuoi una mano, ma'?»
«No, tesoro, non preoccuparti. - Disse dirigendosi verso una stanza vicina. - Anzi, controlla se Evelyn sta dormendo, per favore. È nella stanza vicino alla tua.»
Il ragazzo fece un cenno d'assenso e salì le scale, prima di andare a controllare che sua sorella stesse dormendo, andò in bagno e si tolse i vestiti, avrebbe dormito in boxer.
La camera era buia e si sentiva solo il rumore del suo respiro, la piccola di sei anni stringeva tra le braccina il suo peluche preferito: un coniglietto. Louis sorrise dolcemente, poi scostando leggermente le coperte, si mise a letto con lei.
Evelyn cercò riparo nel petto del fratello, strofinandovi contro il naso.
Louis da parte sua, si beneficò della vicinanza della sorella per placare tutta la sua rabbia.
Gli occhi azzurri di Rylee si aprirono piano e lentamente, a rovinare la sua giornata era sempre quella sottospecie di cosa che suonava a ripetizione tutte le mattine.
La sveglia.
Non era una ragazza che odiava le cose o le persone, ma se c'era un qualcosa a cui si potesse attribuire un moto di odio, quella era la sveglia.
Si stiracchiò e prima di alzarsi, si infilò le calze, poi scese in cucina.
La solita scena mattiniera si presentò davanti a lei. La piccola Renae era seduta nel seggiolone, silenziosa e tranquilla come sempre, da questo punto di vista era la bambina di un anno più solare e tranquilla che Rylee avesse mai visto.
Dall'altra parte del tavolo stava Rion che si reggeva la testa con una mano, profonde occhiaie le attraversavano le guance e come ogni mattina Rylee si chiese perché mai sua sorella in quell'ultimo periodo fosse sempre così stanca.
Non era una novità che Rion fosse silenziosa, raramente sua sorella parlava, era sempre stata estranea alla vita sociale, sembrava che quasi non gliene fregasse niente, preferendo di gran lunga la musica di quei gruppi rock e punk oppure delle sigarette.
Rylee molte volte si chiedeva come facesse a vivere sua sorella, senza amici, un ragazzo o almeno qualcuno da tenere accanto che non facesse parte della famiglia, anche perché Rion in casa non parlava quasi mai, come sempre, era in silenzio.
Non aveva contatti con nessuno e molte volte Rylee si autoconvinceva che sua sorella era una persona estremamente sola.
Negli anni addietro Rylee aveva tentato di far entrare sua sorella nella compagnia di amici che si era creata, ma lei aveva sempre rifiutato e una volta giunte a casa, la ragazza le aveva detto seccamente che stava bene dov'era e non aveva bisogno dell'aiuto di nessuno.
La ragazza con gli occhi azzurri non ci aveva più provato e molte volte si sentiva sofferente nei confronti della sorella, ma dopo si diceva che era solo una sua idea. Rylee si convinceva che sua sorella non stesse bene semplicemente perché lei non era abituata alla sua vita eremita. Infatti Rylee senza l'appoggio dei suoi amici, non sapeva come avrebbe fatto ad andare avanti.
Sua sorella invece, sembrava che se la cavasse molto bene.
Rylee prese un po' di caffè dalla caraffa e si accomodò al tavolo vicino al seggiolone di Renae alla quale diede un piccolo buffetto.
La piccola eruppe con un: «Lylee!» che fece sorridere la sorella maggiore.
Rion da parte sua, sembrava assente, mescolava tranquillamente e senza fretta la tazza in cui c'era del caffè, ormai raffreddato, davanti a lei un paio di fette biscottate.
«Che lezioni hai oggi?» chiese tranquillamente Rylee, prendendo dei cereali.
Rion fece mente locale, da quando era iniziata la scuola, sua sorella le chiedeva che lezioni avesse ogni mattina di ogni settimana e lei gliele ripeteva, nella speranza che prima o poi se le sarebbe ricordate.
«Due ore d'inglese, trigonometria e due di matematica.» vedendo che la sorella non si degnava di rispondere, alzò lo sguardo.
Poste ognuna ai lati del tavolo, sembravano una lo specchio dell'altra, solo se le si osservava bene.
Rion e Rylee erano sorelle gemelle, nate nel mese caldo di luglio diciotto anni prima ed erano completamente diverse.
Fino all'età di tredici anni sembravano una la fotocopia dell'altra eccezione per gli occhi, Rylee li aveva azzurri come il mare; mentre quelli di Rion erano verdi come un prato non appena era finito di piovere.
Entrambe avevano i capelli biondi, ma ben presto Rion se li tinse di nero e quel colore ce l'aveva da quasi cinque anni, tanto che la maggior parte dei cittadini del suo quartiere non si ricordava nemmeno più di una sorella gemella di Rylee.
Il viso era ovale con un naso un po' all'insù per entrambe, labbra sottili e fini, morbide. Le guance erano paffute per entrambe, ma nell'ultimo periodo quelle di Rion risultavano più scavate.
Il fisico era come quello di una ragazza normale, gambe magre e un filo di pancia, seno non troppo prosperoso e spalle piccole su cui si reggeva un collo bianco.
Avendo entrambe una costituzione molto simile ad altre ragazze, in pochi sapevano che Rion era la sorella di Rylee, in pochi sapevano che lei aveva avuto i capelli biondi, in pochi sapevano che le due sorelle uscivano insieme da casa, ma poi si separavano, andando ognuna per la sua strada, per poi ritrovarsi nella stessa scuola.
Scuola in cui Rion era invisibile, o meglio, si nascondeva al contrario di sua sorella, che era una delle persone più popolari. Rylee infatti era nel comitato studentesco ed era una delle più carine della scuola, lo sarebbe stata anche Rion, certo. Solo che la ragazza preferiva stare in un angolo, dietro la scuola, dove raramente passavano gli studenti e dove lei poteva fumare in santa pace o ripassare per una verifica.
A volte nemmeno Rion si spiegava tutta quella solitudine, tutti a quell'età avevano bisogno di amici, ma lei sembrava anche farne a meno. Non aveva la necessità di essere amata e questo in un certo senso la confortava, aveva letto libri e visto film in cui si diceva che l'amore facesse male, e lei non voleva certo soffrire.
«Sabato sera esco, vuoi venire?» Rylee distrasse la sorella dai suoi pensieri.
«Ho da fare.» disse tranquillamente, sorseggiando gli ultimi sorsi del caffè.
Rylee la guardò con un sopraciglio alzato e mormorò: «Il tuo da fare sarebbe quello di andare in giro di notte?» la ragazza aveva notato che da tempo sua sorella usciva di notte, ma non sapeva dove andava. Più volte Rion aveva spiegato che andava in un bar dove suonavano dal vivo, ma Rylee pensava che tornare alle tre o quattro di notte era eccessivo. Nonostante ciò, condivideva il fatto che la sorella uscisse, anche se dubitava fermamente che la ragazza si fosse fatta dei nuovi amici. Secondo la bionda, Rion andava in quel così detto bar solo per ascoltare musica.
La sorella la guardò con sufficienza mentre si alzava e andava a posare la tazza nel lavandino, «Non sono affari tuoi.» non l'aveva detto in modo brusco, ma aveva fatto capire che l'argomento era chiuso.
Rylee sospirò bruscamente passandosi una mano nei capelli biondi: sua sorella era una delle persone più difficili che avesse mai conosciuto, fortuna che dicevano che i gemelli avevano un legame speciale! Da parte sua, sentiva Rion più distante che mai.
Louis si sentiva mancare il fiato e per tal motivo fu costretto ad aprire gli occhi, il gomito di Evelyn era incastrato nel suo petto, togliendogli il poco fiato che gli restava dopo le migliaia di sigarette fumate da quand'era quindicenne.
Non avendo un orologio, decise di alzarsi, non sarebbe di certo arrivato in ritardo il primo giorno di scuola.
Scese le scale fredde e si sentì perso in quella casa vuota, la rabbia divampò di nuovo nel suo petto, facendogli rizzare i nervi. Dormire con la sorellina gli aveva fatto bene, lei riusciva sempre a tranquillizzarlo e forse era soprattutto grazie a lei che non andava in giro a picchiare gente, o meglio aveva smesso di farlo. Dalla nascita di Evelyn era come se il suo cuore avesse iniziato a pompare un po' di più e lui si sentisse più vivo, grazie alla sorella, Louis era riuscito a placare la sua rabbia, ma c'erano comunque momenti in cui si sentiva più incazzato che mai.
Entrò in cucina, al tavolo c'erano già suo padre e sua madre.
Molte volte Louis si domandava perché vivessero ancora insieme, ognuno dei suoi genitori se ne fregava altamente dell'altro, l'unica cosa che avevano in comune era il lavoro e i loro figli, per il resto erano persone totalmente indifferenti. Il ragazzo si era chiesto se si fossero mai amati loro due, eppure la fede posta al dito di entrambi sembrava dare l'idea di una perfetta famiglia.
Louis si ripeteva molte volte che i suoi genitori non si lasciavano per la paura che lui e sua sorella sarebbero stati male, il ragazzo era convinto che lui sarebbe stato di gran lunga meglio se ci fosse stato un divorzio, ma non poteva dire la stessa cosa di sua sorella. Evelyn sarebbe cresciuta con l'idea che prima o poi tutto finisce, avrebbe sentito il divorzio dei suoi genitori come un peso sulle sue gracili spalle e con la paura che non sarebbe mai riuscita a trovare l'amore.
Vista da quella prospettiva, Louis sperava che non si lasciassero mai, ma non per lui, bensì per sua sorella, l'ultima cosa che voleva era che Evelyn stesse male.
Si accomodò al tavolo e disse: «Buongiorno.»
Suo padre posò il giornale sul tavolo, squadrandolo: «Sei sicuro di voler andare a scuola? Puoi benissimo aspettare un giorno, d'altronde siamo arrivati solo stanotte.»
Louis scosse la testa: «Voglio andarci e poi sono già sveglio, quindi tanto vale fare qualcosa.»
Il viso del padre divenne d'un tratto serio: «E' una delle scuole più buone del quartiere, vedi di non farti bocciare.»
Louis aveva già il futuro assicurato: sarebbe diventato capo dell'azienda immobiliare di suo padre. Quando era venuto a sapere quello l'anno prima, si era fatto bocciare di proposito, non voleva assolutamente stare seduto a una scrivania e dirigere le costruzioni di immobili, era l'ultima cosa che voleva fare.
Louis era molto indeciso sul suo futuro, da una parte voleva seguire il suo sogno, dall'altra doveva avere un piano B.
Il suo sogno era quello di diventare un compositore per musica da film, aveva moltissimi CD con le colonne sonore dei film e aveva già composto diversi pezzi per un film di guerra. I pezzi erano racchiusi nel suo mp3, suonati con il suo pianoforte, una passione che coltivava da anni.
Il piano B invece era quello di laurearsi in psicologia. Era sempre rimasto affascinato dagli psicologi e la loro capacità di entrare nella mente degli altri e dettarne stupendi consigli, voleva diventare psicologo per aiutare gli altri, ma soprattutto per comprendere da solo il motivo di tutta quella rabbia.
«Cercherò di farmi promuovere.» disse tranquillo, non voleva litigare con suo padre riguardo il suo futuro lavoro.
«Ti accompagno a scuola io per oggi, poi ci andrai in bus.»
Il ragazzo annuì e si chiese perché non potesse fare l'esame della patente, ma gli piacevano i pullman, quindi avrebbe accettato di gran lunga. Sempre meglio andare in bus che con la compagnia di suo padre in macchina.
Suo padre si alzò e andò a prepararsi.
«Lou, tuo padre lo fa per te.» sussurrò sua madre, lei a differenza del padre, lo ascoltava. Louis la considerava una sorta di psicologa personale, ma sua madre non poteva fare niente. Suo padre aveva l'autorità su tutti in quella casa e nessuno si poteva permettere di contraddirlo.
«Vorrei solamente che mi capisse, o almeno cercasse di farlo.» mormorò sorseggiando il latte.
Finita la colazione, sorrise raggiante e diede un bacio sulla guancia alla madre, poi andò a prepararsi.
La nuova vita del ragazzo era appena iniziata.
Rion entrò nella camera del fratello.
Rich era nel letto, come sempre.
Come sempre, aveva una bandana in testa.
Sembrava un cadavere, come sempre.
La ragazza si avvicinò cauta e gli accarezzò una guancia, solo con lui dimostrava la sua tenerezza.
«Ehi, Rion.» mormorò con voce solare.
La sorella minore si animò sentendo la voce del fratello e lo salutò: «Rich.»
«Cosa hai fatto ieri sera?»
Rion abbassò il capo, nonostante fossero mesi che rientrava così tardi in casa, suo fratello non lo aveva mai detto ai suoi genitori, si teneva le cose per sé, accettando le risposte che la sorella gli dava.
«Sono uscita.» rispose accarezzandogli i capelli.
«Per fare cosa?» domandò e aprì finalmente gli occhi.
Rion aveva sempre amato gli occhi del fratello, uno azzurro e l'altro verde.
Erano speciali, proprio come lui.
Avere gli occhi di diverso colore era proprio una rarità e Rion considerava suo fratello una delle persone più rare che esistessero al mondo.
Era forte e felice nonostante quello che stava passando, era forte perché sapeva accettare le situazioni così com'erano, senza far domande. Era forte perché nonostante la situazione drammatica, Rich riusciva ad accettarla ed essere al tempo stesso felice.
«Per salvarti.» sussurrò Rion, ma era certa che il fratello l'avesse sentita e come sempre non aveva detto niente, così gli lasciò un bacio sulla fronte e uscì dalla camera.
La solita vita della ragazza era appena iniziata._______________________________
Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera!Per chi non lo sapesse, sono Giada, ma in efp e ora anche in questo sito, sono Haev.
Non Lascerò molti spazio autori, ma spero che vuoi vi facciate sentire con tante belle stelline. A presto!
Giada.
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Mission || l.t
Fanfiction«Sono uscita.» rispose accarezzandogli i capelli. «Per fare cosa?» domandò e aprì finalmente gli occhi. «Per salvarti.» sussurrò Rion, ma era certa che il fratello l'avesse sentita e come sempre non aveva detto niente, così gli lasciò un bacio sull...