44. Leggeri come elefanti in mezzo a dei cristalli

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Alessandro POV

"Puoi restare ancora un po'?"

La mia voce era flebile come una foglia che vola nel centro di una bufera d'aria.

Sapevo quanto Marco avesse tutte le ragioni del mondo per avercela con me, per non fidarsi delle mie parole, per essere diffidente. Sapevo che nonostante tutto io per lui sarei stato sempre importante, ma avevo come la sensazione che quella volta lo avrei perso una volta per tutte. E sebbene fino a qualche mese fa, credevo che non mi importasse, o forse credevo che questo non sarebbe mai successo davvero, questa volta pareva ai miei occhi molto molto diverso.

Era difficile fare i conti con i propri mostri, con l'incapacità di godermi le cose belle, forse per la paura che queste potessero finire presto, o forse semplicemente perché avevo vissuto talmente tanti abbandoni nella mia vita, che ora avevo capito di ricercarli di mia iniziativa per non dare agli altri il potere di fermarmi ancora. Sapevo però che questo comportamento irrazionale, mi portava a stare ancora peggio e non considerare che gli altri prima o poi non sarebbero più stati a questo gioco, non sarebbero stati a mia disposizione.

Guardavo Marco e pensavo che non c'era al mondo nessuno che potesse essere anche solo paragonabile a quello che lui era per me.

Guardavo Marco e sentivo il cuore che impazziva e mi ricordava ad ogni battito quanto fossi stato stupido a privarci di tutto quello che potevamo essere.

"Solo se mi preparai il pranzo e dopo torniamo in studio."

Marco sorrideva e io ci morivo un po' appresso, perché il suo sorriso poteva riscaldare una nazione intera e io ero in confronto mi sentivo il nulla.

"Pasta?"

Lo vidi annuire e sedersi un secondo dopo sul divano, come se fosse sempre stato lì, come se lo facesse quotidianamente.

Mi girai e sparii in cucina, senza chiedere altro, senza scambiare con lui neanche una parola.
Mezz'ora dopo la pasta al ragù era pronta e io lo chiamai per pranzare, si alzò prontamente e con un sorriso timido si mise seduto sulla penisola che avevo in cucina, con le gambe a penzoloni sullo sgabello color miele.

"Hai fatto la mia pasta preferita?"

Continuava a sorridere e io non potevo sopportarlo, il peso che sentivo nello stomaco mi aveva tolto la fame.

"La smetti di sorridere così?"

"Perché se sorrido così cosa succede?"

Il suo sguardo malizioso cadde sulle mie labbra, mi stava provocando e ci stava riuscendo bene.

"Succede che faccio qualcosa che hai appena detto di non volere."

"Ti sbagli."

Iniziò a mangiare, masticando lentamente e senza togliere i suoi occhi dai miei.

"In cosa?"

"Ti sbagli a credere che io non voglia. Quello che ho detto è molto diverso."

Abbassai il viso e distolsi il contatto visivo, non riuscivo più a reggere quel gioco di sguardi, così tanto evidente che avrebbero potuto scriverci sopra una trama di un film.

"Non provocarmi."

"Non sto provocando."

Rise leggermente e mentre giocavo con la forchetta nel piatto, senza mangiare ancora nulla rialzai lo sguardo su di lui. Mi morsi il labbro inferiore, senza neanche accorgermene, fu un attimo ma non passò inosservato.

"Forza mangia." Lo disse dolcemente. "É buona, sei migliorato tanto alla cucina."

"Il ragù é di mamma."

Marco Mengoni & Mahmood - Shades of the MoonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora