Capitolo 23

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Appena sveglia, il primo pensiero che affiora nella mia mente è quello con cui ormai ho imparato a convivere, e cioè che sono in ritardo ed ho esattamente sette minuti per prepararmi e correre a scuola.
Lascio che il panico mi assalga quando l'idea di non riuscire a farcela in tempo sfiora i miei pensieri, ma scuoto il capo e strizzo gli occhi con l'intenzione di scacciare questo presentimento.
Mi alzo in fretta dal letto liberandomi dal groviglio delle lenzuola formatosi intorno a me e correndo scendo giù per le scale, arrivando in cucina ed afferrando un biscotto mentre grido un saluto a mia madre, che mi guarda come se fossi diventata pazza. Riconosco che ha tutto il diritto di pensarlo, mentre recupero una tuta mai indossata dal fondo del cassetto e sul mio viso prende forma una smorfia di disgusto quando la indosso e di colpo ricordo della foto di classe che verrà scattata proprio oggi. Socchiudo gli occhi e sbuffo, portandomi una mano sulla fronte, ma un certo sollievo invade la mia mente quando indosso l'orologio e il mio sguardo si posa sulle lancette ferme esattamente sulle otto. Continuo a ripetere a me stessa di essere in perfetto orario e raccolgo i capelli in una coda evitando di guardare la mia immagine riflessa allo specchio, e cercando di non pensare che quell'orribile tuta grigia apparirà nella foto che verrà appesa a scuola, e che tutti vedranno, sforzandomi nello stesso tempo di credere che non importerà a nessuno.
Raggiungo mia madre in macchina, poggio la testa indietro sul sedile e chiudo gli occhi, respirando profondamente per attenuare il fiatone, mentre percorriamo a velocità abbastanza elevata la strada che porta a scuola.
Varco il grande portone esattamente al suono della campanella e incorcio lo sguardo di Sabrina, che si avvicina a me dopo aver salutato con un rapido gesto della mano la ragazza con cui stava parlando.
«Ehi! Ti sei dimenticata in fretta di me, a quanto pare!»
Ride gettando il capo all'indietro e facendo oscillare i suoi lunghi capelli neri, con l'evidente intento di prendermi in giro, ed io le rivolgo una linguaccia anche se in fondo sono consapevole che nel suo scherzo è contenuta una mezza verità. Non ho risposto ai suoi ultimi messaggi, ma in questi giorni non ho avuto molta voglia di chiacchierare. Spero capisca, ma sono sicura lo abbia già fatto.
«Come va? Con Mirko?»
La vedo farmi un occhiolino complice, che si trasforma però subito in uno sguardo dispiaciuto quando mi limito a scuotere la testa ed a scrollare le spalle.
Posa una mano sul mio braccio facendomi voltare e mi stringe a sé, accarezzandomi la schiena.
«Scusami, davvero non volevo. Avevo dimenticato della sua partenza...»
«Tranquilla, è tutto apposto!»
Caccio via le lacrime che tentano di sgorgare e tiro su col naso, sforzandomi di mantenere un sorriso fin quando non arriviamo davanti la porta della nostra aula e lei si allontana verso il suo banco, dopo avermi rivolto un'occhiata di conforto.
Vedo Andrea guardare nella nostra direzione e lo saluto con un cenno della mano, stupendomi quando ricambia il mio gesto ma indirizzandolo alla mia amica, accompagnato da un sorriso smagliante. Guardo Sabrina con aria interrogativa, ma lei sfugge al mio sguardo arrossendo, ed io avanzo verso il mio compagno di banco combattendo contro la voglia di chiedergli spiegazioni. Per fortuna veniamo interrotti dalla porta che si chiude bruscamente avvisando dell'arrivo della professoressa, che raggiunge la cattedra dei fogli in mano e pronunciando soddisfatta quelle quattro parole capaci di tramutare il mio sollievo in panico: "oggi compito a sorpresa". Lancio un'occhiata carica di terrore al mio amico, che ricambia lo sguardo scuotendo la testa, e capisco subito che la giornata non è iniziata esattamente nel migliore dei modi.
Tamburello la penna sul banco, e passo in rassegna le lezioni che ricordo, cercando nella mia memoria qualcosa con cui rispondere all'ultima domanda in fondo al questionario, ma mi arrendo quando, posando lo sguardo sull'orologio che ho al polso, capisco che mancano pochi minuti alla fine della lezione.
Scrivo sbuffando il mio nome sul foglio e rimetto il tappo alla penna, nell'attesa che il mio compito venga ritirato, quando però un foglio stropicciato raggiunge il mio banco con al suo interno la risposta che stavo cercando. Non ho capito chi sia stato a lanciarlo, ma lo ringrazio mentalmente e trascrivo velocemente quelle parole, prima di consegnare il compito con un sorriso.
Quando, finalmente arriva il tanto atteso suono dell'ultima campanella, sguscio in fretta fuori dalla scuola ed indosso i miei auricolari, mentre percorro la strada verso casa, arrivando proprio quando il mio iPod riproduce l'ultima nota della mia canzone preferita.
Chiamo a gran voce mia madre, ma mi accorgo che la casa è avvolta nel silenzio, così lascio il giubbotto dondolare dall'appendiabiti e mi dirigo in cucina, ricordandomi soltanto quando vedo un bigliettino sul tavolo che i miei saranno via tutto il giorno per delle commissioni fuori città e che probabilmente io rimarrò sola fino a tarda ora.
Dopo aver mangiato svogliatamente un panino, salgo in camera mia e sfilo il cellulare dalla tasca dei pantaloni, rigirandolo tra le mani e reprimendo la voglia costante di chiamare Mirko, imponendomi di allontanare i miei pensieri da lui e distrarmi leggendo un po'. Abbandono la comoda posizione a gambe incrociate e scendo al piano di sotto per recuperare un vecchio libro dalla libreria polverosa. Quando attraverso il corridoio passando davanti alla porta aperta del salone, però la mia attenzione viene attratta dal grande pianoforte in legno lucido che riflette la luce sole e che da molti mesi ormai avevo dimenticato. Mi avvicino istintivamente, e scorro lo sguardo sullo spartito di "River Flows", la mia canzone preferita, poggiato sul leggio.
Mi siedo sulla panca in pelle, che scricchiola venendo usata per la prima volta dopo tanti mesi, e sfioro con le dita i tasti, lasciando che suonino quelle note come se non si fossero mai fermate dal farlo.
Da quando mi sono trasferita qui ho abbandonato la musica, ma avevo dimenticato quanto mi facesse stare bene. È come se suonando, in qualche modo, io riesca a dar voce alle mie emozioni.
Quando le mie mani suonano l'ultimo accordo, mi sento improvvisamente meglio e mi ritrovo a sorridere involontariamente. Il pianoforte mi fa quest'effetto, cambia il mio umore, mi rende subito felice ed è l'unica cosa in grado di farlo.
Suonare, cantare, sono la mia più grande passione ed è veramente un peccato che io abbia pensato di escluderla dalla mia vita. Mi riprometto di non farlo più, e so che questa volta rimarrò fedele alla mia promessa, lascerò che la musica mi accompagnerà sempre d'ora in poi.
Chiudo la coda del pianoforte e copro i tasti, soltanto quando dalla grande finestra alle mie spalle non entra più quella luce che rischiarava l'intera stanza, ma si intravede solo un leggero bagliore proveniente dai fanali lungo la strada.
Sento il cellulare trillare e corro subito a rispondere, mentre un sorriso mi illumina il volto nel leggere il suo nome sul display.
«Mirko!»
«Ehi, ciao bellissima»
Sorrido per il modo in cui continua a volermi chiamare, e percepisco un tono stanco nella sua voce, ma posso immaginare il suo sorriso nel pronunciare quelle parole, con l'intenzione di non lasciar trapelare nulla.
«Com'è andato il primo giorno?»
Mi sdraio sul divano e poggio la testa sul morbido cuscino bianco, mentre scarto una carmella e mi impongo di non pensare a quanto vorrei sentire la sua voce vicina, e non attraverso ad un telefono.
«Tutto bene, sono solamente un po' assonnato»
«Ma questa non è una novità!»
Mi sforzo di assumere un tono divertito, e lo sento ridacchiare prima che la linea venga disturbata facendomi apparire la sua voce sempre più lontana.
«Mirko? Mi senti?»
Riesco a sentire un "ci sentiamo domani" tra le diverse interruzioni e poi il silenzio, segno che la chiamata è stata interrotta.
Sospiro guardando il display che mostra ancora la sua foto, e premo il tasto di spegnimento, che blocca il cellulare con un sonoro click, proprio quando sento armeggiare con la serratura della porta di ingresso, che si apre mostrando mia madre con le mani colme di sacchetti e mio padre che la segue scuotendo la testa.
«Quanti negozi hai svaligiato?»
Raggiungo mia madre, aiutandola, dopo essermi meritata un'occhiataccia da parte sua, e saluto mio padre che mi abbraccia, e posa un bacio sui miei capelli.
Si allontanano chiacchierando sommessamente, ed io li seguo per tentare di carpire anche soltanto qualche parola, ma quando si accorgono della mia presenza si ammutoliscono improvvisamente e mi guardano abbozzando un sorriso.
«C'è per caso qualcosa che vorreste dirmi?»
Mia madre spalanca gli occhi, mentre mio padre tenta di reprimere una risata, e si affretta a negare con un cenno del capo.
«No, Mari, tranquilla!»
Mi rivolge un sorriso per rassicurarmi, ed io inarco un sopracciglio e stringo le labbra, sedendomi al tavolo ed aspettando la cena, che si svolge tra i sorrisi misteriosi dei miei e le mie domande insistenti, rimaste senza risposta.
Si ostinano a ripetere che non hanno nulla da nascondermi, ma faccio molta fatica a credere alle loro parole. Li conosco bene e so per certo che mi stanno nascondendo una qualche verità, e a giudicare dai loro sorrisi trattenuti a stento passerà meno tempo del previsto prima che rivelino quello che fino ad ora è un segreto.

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