𝕿𝖗𝖊𝖉𝖎𝖈𝖎

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Devo sposare Aval.

Le dita mi tremano mentre tento di slacciare il corsetto. So che c'è un cordino alla base della mia schiena, so anche che basterebbe sciogliere quel fiocco e tutto andrebbe a posto, ma niente è a posto nella mia vita.

Devo sposare Aval e devo lasciare la mia famiglia.

Artiglio il cordino con le unghie, ma il petto si mi si gonfia ancora e ancora più velocemente. Sento la stoffa tesa, la compressione del mio respiro contro il corsetto mi sta facendo impazzire e il cordino mi scivola tra le mani.

Dèi, sto perdendo il controllo.

Spazzo una lacrima con dita tremanti, ma ne scivola una seconda e poi una terza. Il corsetto è così stretto che mi manca l'aria, sento ancora la mano di Aval sul viso e il bisogno di vomitare si sostituisce a quello di respirare.

Perché diamine questo maledetto corsetto non vuole saperne di aprirsi?

«Lhena».

Quando la sua voce riempie l'ambiente, sono così sorpresa che scatto contro la scrivania. Il fianco colpisce il legno, strappandomi un gemito, ma faccio appena caso al dolore che vengo travolta dai suoi occhi.

L'oratore è fermo di fronte a me, stringe le mani come se volesse fermarmi e ha lo sguardo di chi si sta imponendo di non farlo con la forza. «Lhena» ripete, «devi respirare più piano».

Solo in quel momento mi rendo conto che sto piangendo e che il desiderio di cercare aria si sta manifestando in una serie di respiri affannosi.

Cerco d'impedirmi di tremare o quantomeno di smetterla di piangere, ma non ci riesco. Non riesco a fermarmi. «Non si toglie» gracchio, tirando la pelle del vestito. Ho la gola così secca che non riconosco la mia voce.

«Ci penso io, okay?» chiede avvicinandosi cauto.

So che non mi sta solo chiedendo se può aiutarmi. Sta chiedendo il mio permesso per toccarmi.

Il ricordo di quello che è successo nella sua stanza è ancora fresco dentro di me, ma non riesco a ragionarci in quel momento. Annuisco e basta. I respiri sono così sconnessi da farmi morire la voce in gola, il petto mi fa male e sento la testa leggera, ma non appena l'oratore ha il mio via libera, una sensazione famigliare mi distrae.

Le sue ombre si sono protese così tanto, da arrivare a me prima di lui. Le sento sfiorarmi la guancia, un tocco delicato che asciuga le mie lacrime e che prosegue più in basso, accarezzandomi il mento e poi il collo. Stringo le palpebre e, quando passano sulla mia clavicola, ho già smesso di singhiozzare.

Tento di regolarizzare il respiro, utilizzando le ombre per distrarmi mentre mi abbracciano la spalla. Quando scendono lungo il braccio in una lunga carezza languida, mi ricopro di pelle d'oca.

L'oratoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora