•Capitolo 14•

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Una volta tornata al castello, mi chiusi nella mia stanza e subito sciacquai il viso con acqua gelida. Era la seconda notte di seguito che non dormivo e nonostante il mio corpo fosse più resistente di quello umano, iniziavo ad accusare i primi segni di stanchezza; considerando anche che era ormai una settimana che non mi nutrivo per bene.
Che scema che ero.
Ero uscita per ben due volte dal castello e mi ero dimenticata di nutrirmi.

Dopo essermi data una bella sistemata, mi preparai mentalmente ad affrontare la giornata...  o peggio, ad affrontare il Principe.
Non sapevo come agire, non volevo scusarmi, ma non potevo nemmeno ignorarlo.
Sospirando giunsi al piano inferiore, dove vidi Charlotte con un abbondante vassoio in mano.
<Buongiorno Lien, dormito bene?>, perché era tanto felice?

Annuii, seguendola con lo sguardo mentre poggiava il vassoio su di un carrellino molto grazioso.
<Perché il carrellino?>

<Non puoi nemmeno immaginare! La famiglia reale ha chiesto alle domestiche di farmi preparare la colazione, a quanto pare Drake ha avuto modo di parlare con il Principe e gli ha detto quanto le mie pietanze siano gustose.>
Drake che aveva parlato con il Principe? Per quale assurdo motivo?
<Questo è un giorno veramente speciale, ho sempre desiderato servire le mie pietanze alla famiglia Reale!>

Era davvero felice, se solo avesse saputo cosa avevano fatto i Reali alla nostra famiglia. Come potevo dirle qualcosa che si basava solo su una mia supposizione, non volevo essere la fonte della sua infelicità.
Era una dolce ragazza di qualche anno più piccola di me, amava la cucina e viveva in un mondo di fiabe nonostante fosse uscita da poco dall'inferno come tutti noi. Era troppo genuina per vedere del male nelle persone.
<Sono felice per te.>

<Dove vai?>, chiese quando mi vide allontanarmi.

<Dagli altri, ovvio.>

<Stamani faremo tutti colazione con i Reali, sono già tutti lì.>

<Eh?>, cosa aveva appena detto? <Salto la colazione, vado direttamente nell'ufficio del Principe.>

<Perché? Ti crea disagio?>

<Sì.>

<Ci saremo noi con te, non devi sentirti a disagio. È un evento più unico che raro fare colazione con la famiglia Reale, sono certa che non ti metteranno in imbarazzo. Sei il nostro punto di riferimento, come puoi abbandonarci proprio ora>, assunse la classica espressione di cucciola abbandonata ad un triste destino.

Scossi il viso, consapevole di non poter dire di no a quegli occhioni azzurri.
Perché dovevo mangiare con un sorriso falso in viso e con coloro che maggiormente disprezzavo al momento?
<Va bene, verrò, dammi solo cinque minuti.>

<Promettimi che non scapperai.>

<Per chi mi hai presa? Lo sai bene quanto me che mantengo la parola data. Su, avviati, non farli attendere.>

Lei annuì e, tutta sorridente, si avviò verso il salone centrale.
Dovevo assolutamente calmarmi e trovare delle frasi ideali per una conversazione pacifica.
Ero agitato, non per la famiglia Reale, bensì per la presenza del Principe. Non ne capivo il motivo, non avevo mai dato peso alle discussioni, perché proprio con la sua?

Quando finalmente mi decisi ad entrare nel salone principale, trovai già tutti accomodati. Vi era un chiacchiericcio quasi familiare e quando fui sotto i loro sguardi subito notai un posto libero tra il Principe e Drake. Possibile che mi dovessi sedere lì.
Il Re era al capotavola, alla sua sinistra vi era la Regina, seguita poi dalla Principessa e dalla guardia fidata; mentre alla destra vi era il Principe, un posto vuoto, Drake e i gemelli.
Cos'era uno schieramento di battaglia?
Nemmeno la più ardua delle missioni mi aveva fatta sudare tanto quanto quella assurda situazione.

<Buongiorno Lien, prego>, disse cortese la Regina, indicandomi il posto accanto al figlio.
Devo proprio?
Avrei voluto risponderle, ma mi limitai ad annuire con un sorriso forzato e a sedermi.
C'era sicuramente un doppio fine a quella assurda colazione.

<Devo ammettere che è veramente  squisita>, disse estasiata la Principessa, mangiucchiando una fetta di crostata.

<Ne sono onorata, Principessa>, rispose Charlotte con un beato sorriso sul volto.

Mi sistemai per bene sulla sedia e rimasi in silenzio, non toccando quasi nulla delle pietanze presenti. Potevo dare colpa all'imbarazzo o all'agitazione.
Drake mi lanciava veloci occhiate di tanto in tanto, ma io ero talmente estraniata dalla realtà, che non ascoltai nemmeno i loro discorsi.
Fu solo quando il mio occhio cadde su l'ultimo pezzettino di brownie al cioccolato, che mi risvegliai dal mio stato off.

Sorridente, allungai la forchetta che avevo preso alla mia destra proprio verso di esso, ma caso volle che mi ritrovai quella del Principe proprio accanto.
Ci voltammo all'unisono e nessuno dei due ritirò la forchetta.
<Mi dispiace, l'ho preso prima io>, dissi a bassa voce.

<Non mi sembra, lo avevo adocchiato da tempo, lasciatemelo.>

Sgranai gli occhi sorpresa, <sei un Principe, sii galante e concedimi l'ultimo pezzo>, aggiunsi a denti stretti.

<Non lo sono mai stato!>

A quelle parole, un veloce ricordo mi oltrepassò la mente:
<Vi avevo avvertito, l'ultimo pezzo spetta a me di diritto!>

<Non c'è il vostro nome, questa è casa mia e di conseguenza l'ultimo pezzo di brownie è mio!>

<Quello che avete detto non ha senso, Maestà mi aiuti>, piangucolò una piccola me verso la Regina.

<Suvvia, sii cordiale e concedile l'ultimo pezzo. È compito di un uomo essere galante>, aggiunse proprio lei.

<Non lo sono mai stato.>

<Sei così scortese, Kyle!>, dissi con un innocente broncio.

<Sei così scortese, Kyle>, solo allora mi resi conto di aver ripetuto le medesime parole di quel veloce ricordo. Kyle... era lui?

Lo vidi osservarmi impassibile, sembrava quasi che mi stesse analizzando nel profondo, i suoi occhi erano fissi nei miei.
Perché lo avevo chiamato Kyle? Il suo nome era Benjamin.
Lui ritirò il braccio e si alzò, <vi attendo nel mio ufficio.>

Con un veloce cenno, si congedò e mi fu possibile prendere il tanto atteso brownie.
Ero certa che volesse spiegazioni da me, il problema era che nemmeno io sapevo darne. Lo avevo chiamato con un nome diverso dal suo, eppure quelle quattro lettere erano scivolate fuori con una tale naturalezza, che mi portò a pensare che più volte lo avevo pronunciato

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