Mese della Libellula
Il giorno successivo Shadee continua a pensare a quella notte. È stata una follia mostrare il volto a una straniera, una terribile violazione delle leggi imposte dalla casata, ma "follia" e "violazione" non significano "errore". Più rivive quei momenti passati insieme sotto il chiaro di luna, più si accorge di non avere mai commesso in vita sua un gesto altrettanto giusto e sensato.
Appena il mattino sfiora le vetrate della camera da letto, non vede l'ora di scendere nella sala comune e di incontrarla, ma gli basta aprire la porta perché i suoi progetti si frantumino in mille pezzi. Chanti è lì, davanti a lui, lo attende nel silenzio religioso di chi aspetta una reazione e teme di avere vissuto soltanto un sogno. Dopo il bagno in riva al Lago Oceano, si sono congedati senza bisogno di parole e adesso tra di loro resta il fantasma del non detto.
È lei a trovare il coraggio di parlare per prima, a vincere l'agitazione che fa ticchettare il mignolo sul cinturino della tracolla. «Volevo dirti che è stato bellissimo e vero e che per me vale più di tutto. E... Grazie di avere scelto proprio me.» Da come saltella sul posto è chiaro che vorrebbe aggiungere dell'altro. «Ti sei... Ti sei pentito? Del tuo volto, insomma, del tuo nome, di averlo detto proprio a me.»
Come può averlo pensato anche solo per un istante? Shadee corre subito ai ripari, si toglie il cappuccio che indossa e le permette di guardarlo ancora. È un gesto che vale mille parole, per farle capire, senza dubbi e incertezze, che non si pentirà mai di quella scelta. Lascia che lo studi come se fosse la prima volta e pensa sia la sensazione più bella della vita poter guardare ed essere guardato solo per chi è.
«No» precisa ad alta voce per paura che tra di loro resti qualcosa di irrisolto. «Non mi sono pentito.»
Chanti non sembra convinta. Lo fissa come se fosse un essere strano, ruota la testa per provare tutte le angolazioni possibili. «Non ti immaginavo così.»
Il panico gli arpiona la bocca dello stomaco. Shadee non si è mai preoccupato del suo aspetto, non è nato per averne uno, non ha mai pensato di poter essere mediocre o inadatto. Rimpiange di non avere il cappuccio in testa, ora che l'idea di averlo addosso non gli trasmette più la sensazione di una prigionia, ma il vantaggio di uno scudo sicuro dietro cui potersi rintanare. «E allora come? Come mi immaginavi?»
Chanti lo lascia crogiolarsi nel dubbio. Si mette sulle punte per analizzarlo da vicino, lo tortura giocando ad allungare la collana del tempo, ad aggiungere granelli di secondi che per lui pesano più di un secolo infinito. Poi a sorpresa gli pizzica il naso e scoppia a ridere. «Con il naso da caprone! Proprio come ha detto Kemala.»
Dannato lui che le ha dato retta e si è messo in ridicolo solo per lei! Con uno sbuffo afferra i lembi del cappuccio per rificcarselo in testa, ma Chanti lo blocca per i polsi.
«Non offenderti. Era solo uno scherzo.» Lui non si è offeso! «Ora che conosco il tuo segreto non potrai metterlo mai più davanti a me quando saremo soli. Vorrò vederti sempre, ogni volta in cui le Tavole del Destino lo consentiranno.»
È troppo vicina adesso, e lui non è abituato a tutto quel contatto, a essere guardato a viso scoperto con una simile intensità. Si sente andare a fuoco e allora sposta gli occhi su un'interessantissima venatura nella parete di diaspro.
Chanti ridacchia. «Ti ho messo in imbarazzo?»
«Assolutamente no.»
«Invece sì!» Allunga un dito per sfiorargli la fronte con cautela, come per chiedere il permesso di toccarlo. «Lo vedo qui» sussurra. Nella fronte. «E poi qui.» Nell'arco delle sopracciglia. «E qui.» Nelle code degli occhi. «E qui.» Negli zigomi. E poi nel naso e nella bocca e nel mento.
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Una storia di ali e spilli
FantasyLe Bolle di Rovi e Rugiada sono nemiche per un motivo che con il tempo si è scordato. Omicidi, furti e agguati hanno generato una spirale di odio che non è mai sfociata in una guerra aperta, sebbene il terrore di uno scontro sia alle porte. Nella Bo...